“La giudice”, il senso e il valore dell’essere donna

“Racconto questa storia, la mia e quella di altre, non perché la ritenga particolarmente significativa, ma perché mi ha insegnato che esserci, come donne, nei luoghi decisionali non basta affatto. Bisogna esserci con il coraggio e la consapevolezza del proprio punto di vista”.

(Paola Di Nicola Travaglini)

Un percorso di maturazione personale e privato che diventa “pubblico”. È questo il senso del bel libro firmato dalla giudice Paola Di Nicola Travaglini, che testimonia come un percorso di maturazione interiore, di presa di consapevolezza e di coscienza di sé possa aprire al reale cambiamento. Non solo di se stessi ma della società in cui si vive. Di Nicola Travaglini parte da sé, dal suo essere donna, del suo riscoprire il valore dell’essere donna e della propria femminilità, proprio nel ruolo di giudice. Una riscoperta che diventa testimonianza, anche attraverso quelle parole che ancora troppo spesso vengono sottovalutate.

Di Nicola Travaglini è “La giudice – Una donna in magistratura” (HarperCollins), un appellativo che è un punto d’arrivo del suo percorso, un cammino che vale la pena leggere e seguire, insieme a lei.

Lo sguardo dell’altro e lo sguardo su di sé

Quello che colpisce subito, nelle pagine del libro – uscito per la prima volta nel 2012 e rivisto, ampliato e approfondito in questa nuova stesura – è il grande lavoro di autoanalisi e svelamento di sé, delle proprie paure, dei propri stereotipi che l’autrice ha fatto raccontandosi e, così, mettendo in discussioni convinzioni, abitudini e pregiudizi.

La paura della giovane magistrata a inizio carriera, i pensieri di mamma costantemente in affanno per conciliare la propria professione con la presenza in casa per i propri bambini, il timore – e la certezza, nei fatti – di non vedere riconosciuto nello sguardo dell’altro il proprio ruolo istituzionale (come quando l’ergastolano, trovandosi davanti a lei, chiede in maniera arrogante e provocatoria: “Dov’è il magistrato?”), tradizionalmente appannaggio maschile: tutto questo è raccontato con energia e passione, pagina dopo pagina, in un crescendo di elementi che guidano chi legge a una riflessione comune con l’autrice.

La femminilità, da punto di debolezza a punto di forza

L’immagine del ticchettio dei tacchi delle scarpe nei lunghi corridoi di Poggioreale, prima dell’interrogatorio resta impressa. “Prima di essere un giudice e un detenuto eravamo una donna e un uomo”, recita l’inizio del primo capitolo: è proprio sull’essere donna che si concentra la riflessione, quell’essere donna che fa vergognare quando incrocia lo sguardo arrogante e sfrontato del detenuto, ma che diventa poi orgoglio e forza, diritto e professionalità. In quell’interrogatorio che inizia vacillando, tra le paure e il senso di inadeguatezza, rinasce l’orgoglio della propria professione e del proprio ruolo istituzionale, insieme a quello dell’essere donna.

Così la giudice trova la voce che è sua, come ogni donna è chiamata a fare, staccandosi dai modelli del passato, tutti maschili: a partire da suo padre, figura amata e ingombrante. Perché il mestiere del magistrato a lungo è stato considerato “inadatto” alle donne, come racconta bene l’autrice, ripercorrendo la storia della presenza e del ruolo femminile nella magistratura italiana, senza mancare di narrare episodi recenti e molto significativi di quanto ancora sia lunga la strada verso la parità, come dimostra la scarsa presenza femminile nei ruoli apicali della professione.

Un viaggio dentro agli stereotipi, dunque, dentro e fuori di noi, che racconta anche con un attento lavoro di ricerca come il pregiudizio di genere sia stato (e in parte sia ancora) molto presente nelle aule dei tribunali e nelle parole delle sentenze.

L’importanza delle parole e la lotta alla violenza sulle donne

Alcune delle pagine più intense del libro sono quelle che parlano di violenza sulle donne, la drammatica punta dell’iceberg della disparità di genere, a lungo studiata e trattata dalla giudice Di Nicola Travaglini che, oltre a essere stata consulente giuridica della Commissione parlamentare sul femminicidio della scorsa legislatura, ha firmato sentenze che hanno fatto scuola in questo campo, come quella storica del 2014 sulla prostituzione minorile ai Parioli di Roma.

“La violenza maschile contro le donne – dice nel libro la giudice – non è solo un pugno che ti rompe il setto nasale, ma è anche l’omissione del valore del femminile, è l’annullamento linguistico della nostra presenza, è l’interruzione continua dei nostri ragionamenti, è una parata di maschi che discute degli effetti sulle donne del post Covid o del futuro del pianeta”.

È così che va letta la violenza, nel suo contesto, esattamente come per il fenomeno mafioso. In un contesto che relega la donna un passo indietro, che la lega a quei doveri che la società tradizionalmente le riconosce, senza possibilità di libera scelta nella sua vita, che la rende un oggetto in balìa dell’uomo che detiene il potere. E di questo contesto fanno parte anche le parole, così tanto sottovalutate, e per cui vale invece la pena lottare, come “La giudice” insegna.

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Titolo: “La giudice. Una donna in magistratura”
Autrice: Paola Di Nicola Travaglini
Editore: HarperCollins
Prezzo: 15 euro

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