Laura Giuliani: “Andiamo ai Mondiali per scrivere una nuova pagina del nostro calcio”

Foto di Daniele Portanome, UDB studio

L’estate dei Mondiali, quelli del 2023 in Nuova Zelanda, inizia per le azzurre il 18 giugno. Quella domenica prenderà il via il raduno della Nazionale Femminile e il percorso di avvicinamento all’appuntamento iridato prevede 10 giorni di lavoro a Riscone di Brunico prima del trasferimento a Ferrara, dove sabato 1° luglio allo stadio ‘Paolo Mazza’ l’Italia affronterà il Marocco nell’amichevole che precederà la partenza per la Nuova Zelanda, in programma il 5 luglio.

Un calendario che è già nella mente delle 24 calciatrici convocate per questa prima fase e in tutte quelle che puntano ad avere un posto nella rosa finale dell’allenatrice Milena Bertolini.Al primo ritiro partecipa anche Laura Giuliani, portiere della Nazionale e dell’A.C. Milan, nonché testimonial del progetto “La passione per il calcio non fa distinzioni”, della Figc in collaborazione con Gillette. Ho avuto modo di avere con lei un lungo colloquio in cui siamo scivolate dalla professione sportiva alla crescita personale e viceversa come in un fluire naturale. Nella concezione che si è un tutt’uno con le esperienze che si fa.

“Una competizione di questo livello è da accogliere come un’occasione di crescita personale incredibile, non solo come una sfida sportiva. E’ l’opportunità per cercare di portare noi stesse ad un altro livello di crescita, come calciatrici e come persone. I Mondiali sono eventi che non ti permettono solo di portare a casa nuove e accresciute competenze tecnico-tattico, ma anche una maturità psicologia e mentale. Questa è una cosa a me molto cara” sottolinea Giuliani, che il 5 giugno scorso ha compiuto 30 anni e ha vissuto l’evoluzione e le conquiste del calcio femminile in Italia

Come è cambiato il calcio femminile in Italia da quando hai cominciato a giocare?

Il calcio femminile italiano ha iniziato a cambiare radicalmente quando sono entrati in campo i grandi club di calcio maschili, con l’ingresso di Fiorentina e Juventus. Da lì è iniziato un processo di crescita che ci ha portato anche ad essere riconosciute ufficialmente come professioniste dal luglio 2022. Abbiamo avuto una crescita a livello di campi, strutture, visibilità, allenatori e staff competente che ti dà la possibilità di allenarti in un contesto professionistico che ti fa crescere.

Quali cambiamenti ha portato il professionismo?

Il professionismo non ha cambiato il nostro modo di essere e di vivere il nostro lavoro. Vivevamo già di calcio come la nostra attività principale, la nostra professione. Quello che è cambiato è stato il riconoscimento e le tutele sanitarie, contributive e finanziarie. Il fatto di essere professioniste dà delle garanzie e dà la tranquillità anche a chi arriva dall’estero di lavorare in un contesto riconosciuto. Nel nostro campionato, per altro, ci sono sempre state giocatrici straniere e sono un valore aggiunto, perché ti danno la possibilità di avere una mentalità diversa, prospettive diverse e diverse modalità di lavoro. E poi attraverso le loro competenze e le loro esperienze in altri campionati abbiamo l’occasione di conoscere come si gioca negli altri Paesi.

Foto di Daniele Portanome, UDB studio

La Nazionale è stata una sorpresa positiva ai Mondiali di Francia, poi ci sono stati gli Europei del 2021 e ora la nuova avventura dei Mondiali in Australia e Nuova Zelanda. Quanto conta la crescita personale e di esperienza nel giocare in queste competizioni internazionali?

Il calcio è come la vita. nessuno nasce imparato e c’è sempre una prima volta. Quando hai la possibilitò di affrontare le cose per la prima volta, hai una sana paura, un’entusiasmo e un’adrelanta che ti fa vivere tutto al masismo. Quando questa esperienza è stata affrontata nel modo giusto, hai la volontà di replicare. In questo senso ci sono dei pro e dei contro.

Rispetto a Francia 2019 siamo tutte cresciute, abbiamo un percorso importante e abbiamo una consapevolezza diversa. Quel Mondiale ha rappresentato per noi un punto di svolta importante, perché è da lì ha avuto avvio la crescita del nostro movimento. Da allora ci siamo portate dietro l’entusiasmo che abbiamo avuto attorno.

D’altra parte, però, sono passati 4 anni e quello è il passato. Rimanere nel passato non aiuta, perché non ti permettere di andare oltre. Noi invece vogliamo scrivere una nuova pagina della nostra storia.

Quali competenze hai sviluppato nel tuo ruolo di portiere?

Il portiere è un ruolo molto particolare. Siamo dei singoli inseriti in un contesto di squadra, come d’altra parte anche le altre individualità con cui ci si confronta giornalmente. Noi facciamo un allenamento a parte, però, rispetto alle altre.

Essere un portiere mi ha dato la possibilità di lavorare su tanti aspetti gestionali personali: ho imparato a gestire le emozioni, la capacità di rimanere concentrata, la capacità di comunicare con le compagne, il mettermi a disposizione della mia squadra. Ci sono molti aspetti legati al mio ruolo che sono rivolti verso le compagne e tutto il team, ma che partono da me. Se io non gestisco il mio corpo, il mio ruolo e la palla non riesco poi ad essere di supporto alla squadra, non solo delle calciatrici ma di tutto lo staff.

Quanto è importnate la testa?

E’ molto interessante vedere lo sport come acceleratore di esperienze, che ti dà la possibilità di gestire situazioni in condizioni difficili e sotto pressione. Una cosa che magari in altre professioni si impara con il tempo. Nello sport ti è richiesto di leggere le situazioni, gestire un errore, di dare un’indicazione in brevissimo tempo. La capacità di gestione della testa, che ti dà la possibilità poi di affidarti al tuo istinto e alle tue qualità per fare la scelta giusta. Se questo viene fatto da tutte le giocatrici e tutte mettono a disposizione le loro potenzialità peculiari si crea un contesto di collaborazione e diversità stimolante per tutti.

Il portiere ha anche un aspetto di responsabilità solidaria?

Il portiere è un ruolo di indubbia responsabilità. Chi sta davanti a noi ha sempre qualcuno che para le spalle, noi dietro di noi non abbiamo nessuno. Dobbiamo fare scelte con la nostra testa e prenderci le nostre responsabilità. Non c’è cosa più brutta che fare scelte sbagliate non per propria scelta. Io so perché chiamo una palla o non la chiamo e so come gestirla a livello mentale.

Il mio ruolo è come una moneta a doppia faccia. Il portiere ha il bellissimo ruolo di salvatore della patria, di supereroe ma allo stesso tempo può essere il primo fautore di una sconfitta. Quando scegli di fare il portiere devi esserne consapevole. Ma oltre alle due facce c’è una terza dimensione importante, lo spessore della medaglia, quello che sta fra le due facce: il lavoro e la consapevolezza di se stessi. Qualunque cosa accada se hai quella profondità sai che cosa fare. I portieri più grandi sono quelli che si prendono le reponsabilità e magari sbagliano, ma restano i punti di riferimento della squadra.

I più grandi portieri sono dei leader naturali o si lavora per diventarlo?

Non puoi, però,  essere di riferimento per qualcuno se non lo sei innanzitutto per te stesso. Io comunico con le mie compagne, perché se loro fanno bene il loro lavoro io non ho da fare. La partita perfetta per me è quella in cui io esco dal campo senza aver avuto molto da fare, perché vuol dire che le mie compagne hanno potuto muoversi sapendo che io ero dietro a parar loro le spalle. Esserci nel momento in cui serve ma di base supportare le compagne in tutto quello che vogliono fare.

La leadership viene esercitata quando qualcuno sa che cosa può offrire alla squadra e agli altri e lo mette a disposizione e allo stesso tempo gli viene riconosciuto dagli altri.

La vostra generazione di calciatrici ha fatto da apripista per le calciatrici di domani ed è di forte ispirazione per le bambine. Cosa diresti ai genitori di una bambina che vuole giocare a calcio e che sono un po’ scettici su questa scelta?

Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre supportata nelle decisioni che ho preso: ho voluto fare rugby, tennis, ciclismo, arrampicata, nuoto e poi calcio e mi hanno sempre sostenuto. A scuola giocavo con i miei compagni e il denominatore comune per essere accettata era quello proprio di giocare a calcio. Quando ho preso la decisione di andare a Como e frequentavo ancora il liceo scientifico i miei mi hanno supportata. Mia mamma mi ha sempre detto: “Tu puoi fare tutto quello che vuoi, basta che tu sia consapevole degli impegni che hai e che tu riesca a gestirti”. Già a 15-16 anni avevo il sogno di andare all’estero e quando dopo le superiori ho detto loro che volevo andare in Germania i miei mi hanno supportato anche in quel caso, sebbene mia mamma pensava sarei tornata prima. Poi gli anni all’estero sono stati 5 prima di approdare a Torino.

Foto di Daniele Portanome, UDB studio

Partendo dalla mia storia, ho imparato una cosa: i miei desideri erano più importanti della volontà dei miei genitori di fare della mia vita quello che avrebbero voluto loro. I genitori devono essere delle guide per i figli e per le scelte che devono fare. Un genitore che mette la propria volotà davanti all’entusiasmo e alle richieste di una figlia rischia che in futuro questa volontà ritorni. Mi sono accorta che quando si vuole qualcosa e si ha una visione forte, intensa, importante di cui sei sicuro, anche quando vieni costretto a metterla da parte, prima o poi la tua strada torna, trova il modo di venire da te.

Genitori, quindi, provate ad assecondare il desiderio delle vostre figlie di fare quello che desiderano. Poi magari si accogeranno da sole che non è la loro strada, ma non avranno il rimpianto di non averci provato e di non aver perseguito questo fuoco magari solo per un pregiudizio.

Il progetto con Gillette partiva proprio con l’obiettivo di abbattere i pregiudizi dei genitori per dare la libertà alle bambine di giocare a calcio. Il giorno che abbiamo girato il video è stata una delle più belle giornate della mia vita con mio padre, per altro quel giorno era il suo compleanno. E la frase di quel video era: per giocare a calcio è necessario davvero avere un figlio maschio? Il calcio e lo sport devono essere conduttori sociali e il calcio e lo sport non fanno distinzioni.

Foto di Daniele Portanome, UDB studio

• Cosa diresti a una bambina, che vuole giocare a calcio?

Se hai un sogno, una visione, le farfalle nello stomaco fai ciò che ti senti di fare, senza ascoltare pregiudizi e critiche. Provaci! Non aver paura di sbagliare perché non ci sono errori se si fa quello che ci dice il cuore. Al massimo ci sarà un altro modo per arrivare a fare quello che vogliamo. Non farti dire da nessuno che non puoi fare qualcosa. Tu puoi fare tutto quello che sogni di fare.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com