Giovani, come si combatte la sindrome del biancore?

Forse quel che serve è un’iniezione di fiducia. Adolescenti e generazioni più giovani affrontano una fase in cui le prospettive appaiono difficili e il futuro genera inquietudine, come mostrano diverse ricerche. Parte da qui un progetto che punta a ridare fiducia ai giovani sul proprio futuro, mettendo al centro il ruolo della scienza e delle STEM. Fattore J è un progetto che vede l’unione delle forze di Fondazione Mondo Digitale e Janssen Italia, l’azienda farmaceutica di Johnson & Johnson, e il coinvolgimento di centinaia di ragazzi che si mettono in gioco in ambito salute e scienza, coltivando una nuova consapevolezza verso l’importanza dei progressi scientifici in ambito medico e una nuova empatia verso chi è affetto da patologie.

La sindrome del biancore
Secondo il 55esimo rapporto del Censis, infatti, il 71% degli adolescenti guarda con inquietudine il proprio futuro. Mancano prospettive chiare sui progetti di vita dei ragazzi, secondo il 76,8% dei dirigenti scolastici, e sempre di più si diffonde la sindrome del ritiro o del “biancore”, nella definizione del sociologo David Le Breton. Ovvero, quel torpore ed apatia che colpiscono soprattutto i giovani, quando non riescono più a reggere le pressioni. Si inizia a far spazio il bisogno di prendere congedo da sé come risposta alla fatica di essere sé stessi. Una sorta di fuga come via per alleggerire la tensione. Sensazione che il Covid ha prepotentemente rafforzato. È anche  per provare  a rispondere a questa mancanza di fiducia e prospettiva, che nasce Fattore J.

“Più fiducia, più salute, più futuro”
È il claim del progetto. Perché tra gli studenti di oggi possono esserci i ricercatori di domani. Fattore J propone diverse attività, a partire da sessioni di confronto e sensibilizzazione sul tema della malattia e delle conseguenze che porta anche in termini di percezione di una “diversità” che spesso emargina, grazie all’intervento di alcune associazioni di pazienti. Fino ad approfondimenti scientifici e momenti più informali e pratici come laboratori e contest creativi, e sessioni su tecniche di podcasting, video making, grafica e storytelling.

Intelligenza emotiva
L’ambizione del progetto è educare i giovani a sviluppare l’intelligenza emotiva, che li porti a rispettare le unicità e le diversità. Il rispetto e l’empatia sono valori centrali, che vengono promossi dal progetto, come chiave per comprendere le persone che vivono una situazione di grave disagio o che sono affette da malattie. Grazie alla collaborazione dei medici specialisti dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, partner scientifico del progetto, sono stati realizzati dei video formativi, da diffondere nelle scuole, su diverse aree terapeutiche: dall’ematologia, all’immunologia, ipertensione polmonare e neuroscienze. La serie dal titolo “Avrò cura di te” è consultabile sul canale Youtube.

Un “Manifesto della Salute” scritto dai giovani
Ed è proprio sul tema della salute che i ragazzi hanno dato prova di avere le idee chiare, presentando un manifesto, in cui hanno dato voce alla loro visione su temi delicati e complessi. Il documento è stato consegnato nei mesi scorsi all’Istituto Superiore di Sanità e presentato pubblicamente in Consiglio Regione Lombardia.
I dieci punti del Manifesto parlano della salute come un diritto di tutti, della scienza come progresso, della medicina come cura e prossimità, dell’importanza della prevenzione, ma anche del ruolo della comunità e del fare rete, perché condividere esperienze e saperi rende più forti e meno soli.

“Contrariamente a quello che molti possono pensare, i giovani hanno una visione chiara del mondo – osserva Mirta Michilli, direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale – Quello che emerge dal Manifesto è un sogno di gioventù che molti di noi condividono e hanno condiviso: la speranza di un futuro migliore, di un progresso che sappia tener conto della persona, nella sua complessità. I ragazzi e le ragazze che hanno lavorato quest’anno alla stesura del manifesto hanno dimostrato di avere una visione veramente umana della salute e un rapporto sano con la malattia, costruito su empatia e rispetto. Chi meglio di loro è adatto a sviluppare, per temi chiave come salute, scienza e medicina, nuovi paradigmi comunicativi più chiari, empatici e trasparenti? Coinvolgere i giovani su temi importanti, ascoltare quello che hanno da dire, dare risalto alle loro opinioni e valutare le loro esigenze ci consente di costruire, già oggi, una società inclusiva, aperta, per un futuro di scienza”.

“La scienza è vita”
La scienza è vita, è la risposta di Alessandra Baldini, direttrice medica di Janssen Italia e componente del Leadership team da settembre 2022, alla nostra domanda sul perché le ragazze dovrebbero scegliere una materia STEM. “Grazie alla ricerca e all’innovazione scientifica possiamo cambiare il futuro – continua – vorrei che le ragazze non fossero intimidite dalle materie STEM per eventuali pregiudizi o stigma che possono riecheggiare nella società, ma è fondamentale che sappiamo che non esiste solo un talento innato, ma un talento diventa tale anche perché frutto di una maturazione, di una crescita da un interesse e, che se coltivato, arriva a splendere come un diamante. Per riuscirci occorre essere molto resilienti, ancora di più oggi che il mondo del lavoro è più complesso.”

Alessandra Baldini è rientrata in Italia dopo un’esperienza all’estero di 12 anni nel gruppo J&J, dove ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità nella regione EMEA e Southeast Asia. L’ultima esperienza come Medical Affairs di Johnson & Johnson a Singapore è stata significativa, arrivata in pochi anni (unica italiana) a guidare un team composto da professionisti di 5 diverse nazionalità. Questo suo punto di vista internazionale le ha permesso di avere un quadro ampio dell’approccio delle ragazze alle STEM in altre nazioni. “Le mie esperienze professionali – racconta – mi hanno portato a vivere in diversi paesi, dalla Francia all’America, all’Oriente, ho potuto notare che tutte queste realtà avevano in comune un aspetto di meritocrazia nel mondo del lavoro che permetteva a chiunque, uomo o donna, di poter avanzare professionalmente. Inoltre nel caso specifico delle donne in questi paesi il sistema aiuta la carriera della donna supportandola per tutti gli aspetti della vita, soprattutto legati alla creazione di una famiglia.”

Se noi giovani non crediamo nel nostro futuro chi altro dovrebbe farlo?”
Così si presenta Benedetta, una ragazza che ha preso parte al progetto Fattore J e che ha deciso di parlarci della sua esperienza. “Siamo noi i primi che devono credere di poter cambiare le cose – ci racconta – e per farlo serve una sensibilità, già presente dentro di noi, che questo progetto aiuta a far emergere.”

Cosa ti ha lasciato questo progetto, quali gli insegnamenti?
“Questo progetto mi ha insegnato tante cose: a credere nell’informazione scientifica per confutare le cosiddette fake news, a mostrarmi più sensibile nei confronti della malattia, che spesso è causa di disagi all’interno delle relazioni sociali, a credere nella stessa ricerca medica, che sta facendo continui progressi… Ma la cosa più importante per me, che questo progetto è riuscito a lasciarmi, è la fiducia, la speranza in un futuro migliore.
Spesso noi giovani ci lasciamo demoralizzare dall’idea uggiosa che abbiamo del nostro futuro, ma questo progetto è riuscito a farmi capire quanto invece la scienza possa, con i suoi continui sviluppi, garantire un futuro ed una vita migliore, e soprattutto nella salute”.

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