La morte di un ragazzo e il futuro che non c’è

Francesco Pio ha 18 anni, vive a Napoli con i genitori e fa il rider, ma spera di trovare un secondo lavoro come muratore per poter realizzare il suo sogno: aprire una pizzeria tutta sua insieme alla sorella e al cognato, magari usando i fondi di “Resto al Sud”.

Ma Francesco Pio ha anche 20 anni, quando ne aveva 10 suo padre è stato assassinato, quando ne aveva 16 suo fratello è finito in galera per droga, oggi lui vive con la nonna e veste firmato. E gira con una pistola.

Francesco Pio ci guarda da due foto sui quotidiani di oggi: in una ha il pizzetto e la capigliatura tenuta in ordine con il gel, un piumino griffato e una catenina; nell’altra siede su un motorino, ha una felpa nera e la frangetta. In nessuna delle due foto, Francesco Pio sorride. In entrambe, guarda in camera con un’espressione interrogativa, che sembra una domanda di senso.

La pistola di Francesco Pio ha ucciso Francesco Pio e di motivi, se mai potessero essercene, non ce n’erano. Come porte scorrevoli che si aprono e si chiudono in modo casuale, determinando destini, queste due vite sono corse in parallelo fino allo scorso 19 marzo e poi si sono incontrate. Avrebbero potuto essere fratelli, o essere addirittura la stessa persona: invece uno dei due ha causato la fine dell’altro, e la fine di entrambi.

Senza senso

Francesco Pio Valda ha ucciso Francesco Pio Maimone senza un perché, inutile parlare della scarpa griffata macchiata di vino e della dimostrazione di efficacia della sua pistola: questi due ragazzi napoletani dallo stesso nome, colore degli occhi e dei capelli, nemmeno si conoscevano, né si conosceranno mai. Ma noi non possiamo accettare che qualcosa non abbia alcun senso. Allora cerchiamo la storia che si nasconde dietro lo sguardo perplesso di Valda: quale concatenazione di eventi fuori dal suo controllo lo ha portato alla sera del 19 marzo, ad avere quelle scarpe, quei valori e quella pistola? E cerchiamo di dare un senso alla vita di Maimone, i cui genitori hanno già cominciato a pensare a come aiutare tutti gli altri ragazzi di Napoli, tutti quelli che, come lui, rischiano di finire con i sogni interrotti.

Quella di Francesco Pio è però una storia senza una morale. Ci riempiamo la bocca parlando di nuove generazioni, ma la strada che ha condotto alle porte scorrevoli di questi ragazzi l’abbiamo costruita noi, gli adulti, e quindi dobbiamo guardare a questa storia per comprendere di cosa parliamo veramente, quando parliamo di giovani. Sia le speranze dell’uno che le colpe dell’altro sono l’esito di progetti e intenzioni che li hanno preceduti nel tempo, facendoli arrivare in questo modo, e in nessun altro, al 19 marzo 2023.

Proveranno a dirci che Francesco Pio è un “killer” e che Francesco Pio è un “martire”, perché le etichette ci tengono al sicuro da una verità molto più complessa e difficile da accettare.

Erano solo due ragazzi

Erano solo due ragazzi che, come migliaia di altri ragazzi, hanno pagato le scelte che abbiamo fatto come società: la scelta di non investire su di loro, di non crederci, di pensarli ancora e soprattutto come categorie, di mettergli di fronte e alle spalle strade impervie, di lasciarli soli con un destino che non merita nemmeno un secondo sguardo.

E’ questo tutto ciò che posso essere?

Sembrano dire gli occhi di entrambi, nelle due foto accostate. Davvero oggi, una civiltà avanzata come la nostra, al massimo ai giovani può dare questo destino?

Non cerchiamo allora il killer, né il bravo ragazzo sacrificato sull’altare di un destino cinico e baro. La fine dei sogni di Francesco Pio – di entrambi loro, anche se per uno dei due è avvenuta dieci anni fa e per l’altro il 19 marzo – è stata determinata dalla nostra società, dalle nostre scelte politiche ed economiche, dalla nostra convinzione che non abbiamo il potere di fare diversamente, e che quindi, alla fin fine, tutto questo non ci riguarda.

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