Violenza, la cura è anche lotta: la storia della Casa delle donne di Bologna

Lavorare contro la violenza maschile sulle donne, prendersi cura delle vittime, sicuramente non è un’occupazione che lascia indifferenti, che non incide e non scava nella vita personale. Tutt’altro: è un’esperienza tanto forte che le vite delle operatrici dei centri vengono cambiate per sempre. “Di Lotta e Di cura”, romanzo scritto da Maria Chiara Risoldi, intreccia la storia della fondazione e della crescita della Casa delle Donne di Bologna, faro per quanti si occupano di centri antiviolenza, con la storia della protagonista, Francesca, chirurga che nella vita ha dovuto fare i conti con la violenza in famiglia, con un padre che picchiava la madre per ogni nonnulla.

Storia del patriarcato

Altri tempi, altre generazioni. Ma lei, una prima della classe a scuola e all’università, non sopporta quanto vive in casa e sente di disprezzare anche la madre per il fatto che non riesce a ribellarsi. Solo grazie al suo attivismo e alla decisione poi di aprire la casa per le donne vittime di violenza, riesce a comprendere la madre, ad aiutarla. Le racconta allora la storia del patriarcato come una favola, che può avere un suo lieto fine.

Più la società è arretrata e arcaica, più i comportamenti maschili sono patriarcali, le donne non hanno diritti e sono proprietà degli uomini. Ogni minima ribellione viene domata, con le buone e con le cattive. L’educazione alla sopportazione di un destino ‘naturale’ fa sì che le donne sopportino lo stato delle cose. Solo l’età le salva a volte. I figli adulti se ne vanno e se hanno un posto dove andare, abbandonano il marito il più presto possibile. Io sto cercando di costruire un posto dove le donne possano rifugiarsi”.

30 anni di Casa delle Donne

Risoldi vive a Bologna, dove ha lavorato come psicoterapeuta, e collabora con la Casa delle donne fin dalla sua fondazione. Il libro, i cui protagonisti sono frutto di fantasia, è incentrato sulla storia della Casa, dalla nascita nel 1991 fino al 2021, suo trentesimo anno di vita, che a causa della pandemia non si è potuto festeggiare.

Raccontare alla madre e parlare anche a sé stessa per la protagonista del romanzo non è facile: certi traumi infantili hanno bloccato la crescita di Francesca a livello relazionale, ma la catena deve essere spezzata. “Anche mia nonna e la mia bisnonna erano state picchiate” .  La creazione della Casa, che diventa un centro di riferimento culturale sempre più importante non solo a livello nazionale, ma internazionale, è per Francesca un modo per rispondere al dolore che hanno dovuto subire le donne della sua famiglia.

Alla Casa c’è passione e amore per quello che si fa, una passione contagiosa. “Alle nuove che arrivavano – racconta Francesca – veniva detto che una volta entrate avrebbero fatto una esperienza di sé stesse che avrebbe cambiato le loro vite. Più o meno per prima cosa chi era fidanzata si separava. Non sapevamo perché, ma succedeva. E dopo cena spesso c’era qualche iniziativa da seguire, qualche nuovo gruppo di donne da incontrare perché, da qualche parte in regione, stavano per aprire un centro. Praticamente noi andavamo nelle nostre case solo per dormire. Era come se mi fossi sposata con quel progetto”.

Storia di una generazione

La generazione di Francesca, anche se vanta molte donne che si sono emancipate e hanno avuto successi lavorativi, fatica ad allontanarsi dal modello patriarcale, e questo Francesca lo nota anche tra le sue amiche: “Le feci notare che anche lei faceva la stessa cosa, perché ogni volta che Guido si alzava da tavola per portare un piatto in cucina, lei lo ringraziava. Ma di che? Si ringrazia quando qualcuno ti aiuta a svolgere un compito che è tuo, ma la cura della casa perché deve mai essere un compito delle donne?”.

Passano gli anni e Francesca ci conduce attraverso i cambiamenti e miglioramenti della Casa, così come le novità legislative che nel frattempo si compiono nel Paese. Legislazione che segue il costume e una morale che cambiano davvero con troppo ritardo: solo nel 1996  lo stupro diventa finalmente delitto contro la persona e non contro la morale. “Sapevamo – nota Francesca – che si trattava di un passaggio epocale e che lo era perché esistevamo noi che lo rendevamo concreto”.

Fra politica e privati

Negli anni ci sono attacchi anche politici nei confronti della Casa di Bologna, con “una vera macchina del fango nei nostri confronti da parte della giunta di Guazzaloca che met­teva in discussione non solo il lavoro che svolgevamo ma la nostra onestà e credibilità. Furono mesi difficili, incontri e riunioni su riunioni, decisioni da prendere velocemente con la paura magari di non fare scelte positive”.

Quel periodo storico lascia alla Casa una lezione: non era giusto dipendere esclusivamente dalle istituzioni pubbliche, e quindi le donne avviano una raccolta di fondi privati. È allora che cambiano nome, prendendo quello attuale: “Associazione Casa delle donne per non subire violenza Onlus”.

Fino ad arrivare ai nostri anni e agli ultimi successi della Casa, come il Festival La Violenza Illustrata, arrivato nel 2022 alla XVII edizione: un progetto culturale e multidisciplinare che nasce per celebrare il 25 novembre. Fino alle battaglie sul linguaggio, sull’uso della parola femminicidio, sulla raccolta dei dati. Il rischio è sempre dietro l’angolo.

“È proprio quello che combattiamo di più, è sempre in agguato il rischio di abituarsi, di dare per scontata la cultura patriarcale, anche se modernizzata”, dice la protagonista. “Di considerare ovvio il dominio maschile. E la violenza che può scatenare”.

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Titolo: “Di lotta e di cura”
Autrice: Chiara Risoldi
Editore: Iacobelli, 2023
Prezzo: 16 euro

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