Ansia e stress da lavoro: il destino della GenZ?

Cosa succede quando il futuro smette di essere sinonimo di speranza, promessa e progettualità e comincia ad essere associato a concetti come minaccia, disincanto, ansia?

È quello che sta succedendo trasversalmente nella psiche delle persone, ma soprattutto in quella della Generazione Z. Le persone appartenenti a questa fascia d’eta, infatti, sono entrate nel mondo del lavoro in un periodo storico, politico, economico e sociale senza eguali. Nel quale il futuro è un gigante punto interrogativo. Eppure, sono loro ad essere il futuro del lavoro. Entro il 2025, la Generazione Z costituirà infatti il 27% della forza lavoro nei paesi OCSE e un terzo della popolazione mondiale.
Cosa succederà, dunque, se le persone appartenenti a questa categoria, saranno troppo stressate e ansiose per lavorare bene? Le conseguenze economiche e sociali potrebbero essere devastanti.

I presupposti non sono favorevoli. Secondo l’edizione 2023 dell’indagine di Cigna International Health su quasi 12.000 lavoratori in tutto il mondo, il 91% di età compresa tra 18 e 24 anni dichiara di essere stressato, rispetto a una media generale che si assesta comunque all’84%. Gli stessi dati, ci dicono inoltre che quasi la totalità (98%) dei giovani ha a che fare con sintomi correlati al burnout.

Ai vissuti di stress e al peso delle richieste provenienti dal proprio lavoro, si aggiungono quelli legati all’ansia e alla preoccupazione per il futuro. Una ricerca di McKinsey, ad esempio, mostra che i giovani sono i più preoccupati per la stabilità del loro impiego. Quasi una persona su due si dichiara infatti angosciata rispetto alle prospettive future.

Questo tuttavia non impedisce alla GenZ di essere la più propensa a lasciare l’azienda. Soprattutto laddove non sussistano le condizioni per stare bene. I già citati dati McKinsey, infatti, ci dicono che a livello globale il 77% degli appartenenti a questa generazione è alla ricerca di un nuovo lavoro. Una percentuale quasi doppia rispetto agli altri cluster generazionali.
Cosa si può dunque fare non solo per ingaggiare e trattenere i giovani talenti, ma anche farli stare bene e mitigare i vissuti di ansia e stress che inchiodano il loro benessere psicologico?
I principali aspetti da attenzionare sono tre: lo stile di leadership dei manager, l’attenzione alla dimensione psicologica e il rapporto con il lavoro.

Stili di leadership

La GenZ desidera rapporti autentici, fondati non sul precario equilibrio tra ruoli e job title ma su ciò che le persone sono. È fondamentale che i manager si mostrino come individui e non solo come responsabili e adottino stili di leadership orientati al benessere psicologico e alla dimensione umana. I più giovani vogliono un capo che sia un complice, un mentore, un coach e non (solo) un esperto tecnico.

Dimensione psicologica

La GenZ è quella più disposta a lasciare il lavoro per motivi legati a malessere psicologico. I dati 2022 della ricerca BVA-Doxa e Mindwork sul benessere psicologico nelle aziende italiane ci dice che il tasso di dimissioni per questo motivo arriva addirittura al 75%. È pertanto essenziale che l’azienda sia in grado di mantenere i livelli di ansia e stress entro certi parametri. Come? Attraverso interventi che impattino sui fattori organizzativi, certo, ma anche grazie a servizi di ascolto e supporto psicologico che siano sempre a disposizione di chi ne ha bisogno.

Rapporto con il lavoro

Chi appartiene alla GenZ si riconosce in un lavoro del quale è in grado di osservarne l’impatto. Il desiderio è quello che quest’ultimo sia positivo e in linea con i propri valori e priorità.Tra queste, senz’altro, quello della flessibilità. La volontà, è quella di poter essere padroni e padrone del proprio tempo, percepire fiducia da parte del capo e dell’azienda ed essere così in grado di ritagliare il lavoro su di sé e non viceversa. L’azienda deve necessariamente mettersi in ascolto di una generazione che sta urlando: i vecchi paradigmi non ci fanno stare bene.

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