Dal quiet quitting al quiet recruiting. L’ondata del “licenziamento silenzioso” che lo scorso anno ha travolto il mondo del lavoro parallelamente a quella delle “grandi dimissioni”, nel 2023 potrebbe lasciare il posto alle “assunzioni silenziose”. Cosa significa? Acquisire nuove competenze, senza assumere nuove persone a tempo pieno. Ma quiet recruiting non è l’unica parola chiave del nuovo anno. Ad accompagnarla sono anche diversity, flessibilità e benessere. Andiamo con ordine.
Quiet recruiting
A fotografare i principali trend del lavoro nel 2023 è Gartner, società di consulenza globale, che avverte: aspettiamoci più che nuove assunzioni, un focus maggiore sulla mobilità interna dei talenti, un potenziamento delle skills e approcci alternativi, fatti di networking e ricorso a gig workers. Secondo le previsioni, i talenti utili alle aziende diventeranno sempre più “a chiamata”.
Del resto, anche secondo l’ultima indagine di YouGov per LinkedIn realizzata intervistando 2.929 dirigenti di alto livello in tutto il mondo, il 34% delle imprese italiane, vista l’incertezza per il futuro, sta pensando di ridimensionare i piani di assunzione (molto più della media europea, che si ferma al 29%) o bloccarle del tutto nel 25% dei casi. Non solo: il 27% delle aziende italiane ha ridotto i fondi per la formazione e per lo sviluppo delle carriere.
Un tema scivoloso: per il Global Workforce of the Future di Adecco, il mancato avanzamento di carriera è stato il terzo motivo più comune di dimissioni nel 2022 (i primi due motivi erano stati: la ricerca di uno stipendio più alto e di un miglior equilibrio vita-lavoro). Le preoccupazioni dettate dal momento storico, però, rischiano di portare molti leader a definire nuove priorità: per il 44% degli intervistati da LinkedIn l’attenzione principale, in questo momento, va all’assetto finanziario dell’impresa, per il 40% alla riduzione del consumo energetico aziendale.
Flessibilità
Cosa ne sarà della flessibilità? Resta una parola chiave anche nel nuovo anno. Il 58% delle organizzazioni, afferma Gartner, ha investito per migliorare l’esperienza lavorativa dei dipendenti, anche se, a conti fatti, la flessibilità ha messo a dura prova il management. La doppia pressione derivata dal lavoro a distanza e dalla necessità di rispettare obiettivi aziendali e aspettative dei dipendenti in continua evoluzione ha fatto emergere diversi nervi scoperti. Per questo, nel 2023, le organizzazioni dovranno intraprendere due azioni chiave per alleviare la pressione sui manager: fornire loro maggiore supporto strategico e chiarire meglio le priorità legate alla gestione del tempo.
Attenzione però, perché la flessibilità ci sarà, sì, ma in molti casi sarà minore rispetto agli ultimi anni. Secondo LinkedIn, il 36% delle imprese intervistate ha già programmato una riduzione del lavoro ibrido o da remoto. Negli Usa, ad esempio, le offerte di lavoro da remoto avevano raggiunto un massimo storico a febbraio 2022, attestandosi al 20% del totale delle offerte nazionali e attraendo oltre il 50% di tutte le candidature, ma a settembre 2022 erano già scese al 14%. Un trend rintracciabile anche in Italia. Eppure, continua il Global Talent Trends 2022, per i dipendenti la flessibilità resta prioritaria, così come una corretta retribuzione, un percorso di carriera che favorisca lo sviluppo delle competenze e un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata.
“Questi sono aspetti fondamentali sui quali non si possono fare passi indietro”, commenta Marcello Albergoni, Country Manager di LinkedIn Italia. “Sono punti cruciali per un ambiente di lavoro inclusivo ma anche per costruire aziende diversificate e resilienti, in grado di adattarsi a un mondo in rapida evoluzione”. Un disallineamento tra ciò che chiedono i lavoratori e ciò che le aziende offrono potrebbe essere, oggi più che mai, drammatico.
Diversity
La terza parola chiave nel mondo del lavoro 2023 sarà diversity. Le organizzazioni continueranno a investire su diversità, equità e inclusione (Dei), così come già fatto nel 2022, nonostante alcuni dipendenti mostrino segni di resistenza. Il 42% degli intervistati da Gartner ritiene che la Dei crei divisioni. A pesare su questa percezione sono le tendenze politiche e ideologiche che valutano la diversity come una forma di discriminazione contro gruppi storicamente favoriti. Parliamo di reazioni e pregiudizi, anche non intenzionali o molto sottili, che spesso però, rendono difficile il percorso lavorativo.
Il 2023, perciò, sarà l’anno in cui le organizzazioni dovranno affrontare queste resistenze, prima che diventino più impattanti. Anche perché, come ricorda il rapporto dell’Ilo “Transforming enterprises through diversity & inclusion”, per valorizzare la diversità in azienda non basta avere una forza lavoro eterogenea, ma è fondamentale che i lavoratori e le lavoratrici vivano in prima persona un senso di appartenenza rispetto a valori e culture diverse. Solo se le strategie di D&I vengono comprese e applicate a tutti i livelli, infatti, si possono ottenere importanti benefici sia per l’azienda che per i lavoratori.
Benessere
Infine, ma non ultimo: il benessere. Molti dipendenti stanno ancora affrontando le difficoltà di salute mentale derivate dalla pandemia, prima, e dalle crisi geopolitiche ed economiche, poi. Molti sono andati incontro a fenomeni di ansia, depressione e burnout che hanno generato molteplici conseguenze: dalle dimissioni senza preavviso all’aumento dei conflitti sul lavoro. Per questo, le imprese dovranno prestare sempre più attenzione al benessere psicologico delle persone.
L’82% degli intervistati da Gartner afferma che è importante che le organizzazioni li vedano non solo come dei dipendenti, ma come individui a tutto tondo, prevedendo per loro momenti di riposo proattivo e preventivo (ad esempio: venerdì senza riunioni e una gestione più oculata delle agende per avere giornate bilanciate), opportunità di confronto per affrontare argomenti difficili senza giudizio e terapeuti in azienda per ricorrere a consulenze anche durante gli orari di lavoro. Il tutto, accompagnato da una accurata formazione dei manager affinché riescano a mettere, davvero, le persone al centro, costruendo con loro percorsi fiduciari e mantenendone alto il livello di coinvolgimento. Tema che, nell’anno appena conclusosi, si è rivelato decisamente farraginoso.
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