Perché il benessere psicologico non è una cosa da uomini

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Gli uomini non piangono, sono forti, ce la fanno. Il peso degli stereotipi di genere grava sulla salute mentale della popolazione maschile. Che di privilegi ne ha tanti, ma non quello di poter liberamente parlare dei propri vissuti psicologici. E così finisce per mascherare, celare, tacere il proprio malessere, che finisce per diventare un peso spesso insostenibile.

Non è forse un caso, allora, se in Italia il 78,8% dei morti per suicidio sono uomini o se sono sempre loro i maggiori consumatori dannosi di alcol, con un’incidenza quasi doppia rispetto alla popolazione femminile. A questi dati, si aggiungono quelli sull’abuso di sostanze e relative tragiche conseguenze: secondo l’European Monitoring Center for Drug and Drug Addiction, il 77% dei morti per overdose in Europa è di sesso maschile.

Una diversa distribuzione dei dati si rileva invece se si guarda ai disturbi mentali più diffusi, ossia ansia e depressione. In entrambi i casi, infatti, risulta che a soffrirne siano maggiormente le donne. Ma se queste evidenze nascondessero la difficoltà che gli uomini hanno nel riconoscere ed esprimere il proprio malessere? Se risultassero dunque meno esposti ad ansia e depressione non tanto perché non ne soffrano, quanto piuttosto perché non chiedono aiuto se stanno male? Alcuni dati risalenti al 2019 sembrerebbero confermare questa ipotesi. Solamente il 5,2% degli uomini in Europa dichiara infatti di aver chiesto sostegno e supporto a professionisti della salute mentale nel momento del bisogno. In Italia, la percentuale scende drasticamente, attestandosi al 2,8%. Per le donne, si parla invece rispettivamente del 7,7% e del 4,3%.

Da dove si genera questa difficoltà maschile nel prendersi cura del proprio benessere psicologico? Le ragioni sono senz’altro da ricondurre a stereotipi e rappresentazioni di genere, ma la questione è più sfaccettata di quello che sembra. A questi, si aggiungono infatti altri due aspetti: cultura di appartenenza e auto-stigma. Vediamoli tutti e tre nel dettaglio.

Cultura di appartenenza

Ogni cultura interpreta a suo modo la sfera psicologica, tanto da esserci disturbi mentali culturalmente caratterizzati. Uno di questi è l’”Ataque de nervios” (letteralmente: attacco nervoso), una condizione riscontrata tra gli individui di origine latina e caraibica.
Al di là di patologie specifiche, la cornice culturale dà forma alle proprie convinzioni e valori. Di conseguenza, determina sia il significato che si attribuisce al malessere psicologico, sia il modo in cui si chiede – o meno – aiuto. Nella cultura italiana, ad esempio, è centrale la famiglia, motivo per cui molto spesso le persone tendono a parlare delle proprie difficoltà a casa, chiedendo supporto agli affetti piuttosto che a professionisti qualificati. Nel momento in cui si è “pater familia”, anche questa possibilità sembra venir meno.

Stereotipi di genere

La cultura machista e patriarcale impone un concetto di mascolinità tossica, all’interno del quale il ruolo di genere maschile appare virile, forte, coraggioso, razionale. “Boys don’t cry”. Nessuno spazio per lacrime, emozioni, fragilità. Le difficoltà psicologiche vengono percepite come cose “da femmine”, soprattutto se hanno a che fare con stati emotivi legati alla tristezza o alla paura. Come nel caso di ansia e depressione. L’unica emozione a potersi esprimere liberamente sembra essere la rabbia, tanto che atteggiamenti aggressivi e violenti possono diventare un modo per dar voce a un disagio interiore.

Auto-stigma

L’auto-stigma è lo stigma percepito, ossia una forma interna di stigmatizzazione che la persona inconsciamente si impone. Capita infatti che si interiorizzino le rappresentazioni negative relative alle difficoltà psicologiche e ai disturbi mentali, finendo per vergognarsi dei propri vissuti. Negli uomini, l’auto-stigma è spesso associato agli stereotipi di genere: se da un lato il disagio psichico è percepito come una debolezza (auto convinzione), mentre dall’altro la fragilità viene considerata una prerogativa femminile (stereotipo di genere), si farà doppiamente fatica ad ammettere – e concedersi – di non stare bene.

Quando il benessere mentale non riesce a declinarsi al maschile, sono più che mai necessarie attività di sensibilizzazione e divulgazione sul tema. Ne è un esempio l’iniziativa Movember, che si tiene ogni anno nel mese di novembre al fine di promuovere consapevolezza sulla salute degli uomini. Iniziative spot non sono però sufficienti. Come scritto da Albert Einstein, è infatti più facile spezzare un atomo di un pregiudizio. Motivo per cui ci vuole estrema sistematicità per farlo. Oltretutto, avvicinare gli uomini alla sfera psicologica – e fare in modo che si prendano maggiormente cura della loro salute mentale – è un beneficio che va a vantaggio dell’intera popolazione. Al di là di qualsivoglia declinazione di genere.

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  • Gloria DI Rienzo |

    Molto lucido e critico l’articolo che condivido pienamente.Ancora attualmente in una grossa fetta della popolazione non solo per gli uomini chi si rivolge ai servizi di salute mentale viene stigmatizzato a vita e a volte anche da quelli che si definiscono operatori sanitari
    Il panorama è molto complesso e delicato anche nella dinamica familiare per cui si perde di valore, di potere, di ruolo.Siamo alla soglia del 2030 ma i disagi che si sperimentano acuiscono ancora più dinamiche distorte nelle relazioni interpersonali.ACcanto alla stigmatizzazione del disagio degli uomini cge ricorrono meno alle cure è pur srmpre vero che è la donna ad essere maggiormente stigmatizzata.Abche qui ci vorrebbe una cultura dell’educazione che non si esaurusca negli spit ma che inizi ,in tutti gli ambiti, in fasi molto precoci

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