Diritti, la sepoltura dei feti potrebbe diventare obbligatoria?

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Moltissime sono le questioni irrisolte, sul terreno dei diritti delle donne. Quella che riguarda la sepoltura dei feti in apposite aree cimiteriali sparse per tutta la penisola, tra le tante, è probabilmente una delle vicende più significative. Ce ne siamo occupati più volte. E la Giornata del 25 novembre, tradizionalmente dedicata alle azioni per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne, è stata, in questo inizio di legislatura, giro di boa per riflessioni e bilanci anche su questo tema.

L’esposto alla Procura di Roma del 2020
La questione della sepoltura dei feti diventava di dominio pubblico all’incirca nel 2020 a Roma, dopo un esposto in Procura che denunciava l’esistenza al cimitero di Flaminio – Prima Porta di un campo dedicato ai feti abortiti: per ognuno era stata issata una croce che identificava, con precisione anagrafica, le donne che avevano fatto ricorso all’aborto. Violazione della privacy, indubitabile e gravissima; inaccettabile lesione del diritto alla interruzione volontaria della gravidanza che, da fatto intimo e profondamente privato, diventava motivo di gogna e di pubblico ludibrio.

La proposta di legge del 2017
La questione non è nuova. Nel 2017 una proposta di legge a firma del deputato Mario Sberna (Democrazia solidale – Centro democratico) parlava di “seppellimento dei resti mortali dei bambini non nati”, con espressioni come questa: “La pietà verso i bambini non nati costituisce un gesto, forse il più semplice, nell’opera della promozione della vita umana da cui non si può prescindere”. Materia del contendere sono principalmente i prodotti del concepimento che hanno meno delle 20 settimane. Di questi, in mancanza di richiesta di seppellimento da parte dei genitori entro le 24 ore, fino a oggi per legge dispone l’azienda sanitaria, provvedendo anche allo smaltimento.

L’attacco alla legge 194
Le posizioni antiabortiste sono da sempre bandiera di alcuni dei partiti di centrodestra oggi al Governo. L’attacco alla legge 194/1978 è obiettivo dichiarato senza infingimenti da un coagulo di deputati e senatori tra i quali manca ormai il leghista Simone Pillon, non rieletto. Il suo collega del Carroccio Lorenzo Fontana, che si distinse da ministro della Famiglia per l’appoggio al Family Day, oggi è presidente della Camera dei deputati. La novità è che dal 25 settembre i promotori del congresso di Verona (i pro-life o pro-vita) sono in Parlamento, pronti a intervenire sulle leggi. Anche se la ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari opportunità, Eugenia Roccella, come la stessa premier Meloni, hanno più volte pubblicamente assicurato che la legge 194 non sarà toccata.

Il Ddl per rendere obbligatoria la sepoltura dei feti
Non sorprende, però, l’intenzione del senatore di Fratelli d’Italia Luca De Carlo circa la ripresentazione del Ddl del 2021, cofirmato con i colleghi di partito Isabella Rauti e Lucio Malan, volto a rendere obbligatoria la procedura di sepoltura dei prodotti abortivi in assenza di consenso o richiesta della donna. De Carlo si ispira al “suo” Veneto, dove è in vigore la legge regionale 45/2017, che all’articolo 40, fortemente voluto dall’assessora Elena Donazzan, prevede l’obbligo di seppellire i feti abortiti anche prima delle 20 settimane di gestazione e anche senza il consenso dei genitori. Parlare di feti, va chiarito, non è parlare di bambini: la questione infuoca i dibattiti. Da una parte le femministe e tutti coloro che assumono una visione laica e laicista dello Stato, dall’altra il mondo cattolico e ampie fasce della destra. Non solo Fdi e Lega, ma anche una parte di Forza Italia, che con il Ddl Gasparri a ogni nuova legislatura tenta di retrodatare al momento del concepimento l’acquisto della capacità giuridica (che è invece atto proprio della nascita) con risvolti in grado di rendere reato l’aborto tout court.

Roma Capitale, stop croci e nomi
Ma quei campi di croci sparse che seppelliscono feti abortivi sono di una violenza evidente: toccano insieme sia il tasto dell’autodeterminazione sia quello della dignità della persona. Sepolture imposte, contro o indipendentemente dalla volontà delle donne: il tema è sempre centralissimo. Mentre in Abruzzo, la maggioranza in quota Fdi tenta di istituire nuove aree cimiteriali, Roma Capitale ha approvato una mozione che dovrebbe far sparire dal cimitero al Flaminio croci e nomi, per lasciare posto ad anonimi cippi funerari identificabili attraverso codici alfanumerici.

La strada in salita della parità
È chiaro che quella che conduce alla libertà delle donne sia una strada tutt’altro che in discesa. Che la parità sia (almeno nel nostro Paese) ancora di là da venire, lo dicono del resto moltissimi indicatori. Tra questi, i femminicidi che superano regolarmente il picco del centinaio di vittime all’anno; la violenza domestica, vista come fatto privato o pubblicamente affrontata come urgenza da relegare a questione securitaria; lo dice il gender gap o l’uso ancora prevalentemente sessista della lingua e la resistenza, del tutto ideologica, a una declinazione al femminile rifiutata a priori; lo testimoniano gli stereotipi che rinfocolano di argomenti tossici il dibattito pubblico favorendo la vittimizzazione secondaria, anche in ambito istituzionale. E, molto chiaramente, lo dice proprio l’attacco continuo alla salute e alla libertà sessuale e riproduttiva delle donne.

La “rivoluzione antropologica positiva”
Tutto ciò malgrado i passi in avanti che sono stati fatti nell’ultimo ventennio e che ci consegnano, in questo 2022, la prima volta di una presidente del Consiglio (qualunque siano le sue posizioni personali e politiche, il dato di novità è incontestabile). In un momento, dunque, in cui la destra estrema è primo partito e la maggioranza ha espresso un Governo guidato dalla sua leader, bisogna fare i conti con ciò che qualcuno, tra i Fratelli (e le Sorelle) d’Italia, chiama “rivoluzione antropologica positiva”: il sogno di portare avanti un tentativo di restaurazione, fatto di posizioni conservatrici contro le libertà e i diritti civili, stendardi issati nel nome della famiglia e della natalità, entità preconfezionate, asettiche e quasi astratte, scritte in lettera maiuscola.

Il lascito della 18esima legislatura
Eppure l’ultimo scorcio della 18esima legislatura ha visto anche la chiusura dei lavori della Commissione d’inchiesta contro il femminicidio e la violenza di genere che ha prodotto una mole di dati di cui tutti i decisori dovrebbero tenere conto. Elaborazioni, audizioni e studi sono culminati sul finire del mandato in una relazione finale e in un interessante report dal titolo “Donne, violenza e salute“. Proprio a Palazzo Madama è stata approvata l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere, per la prima volta nella forma della bicamerale.

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