Comincia dall’aborto il Parlamento appena eletto

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Comincia dall’aborto il lavoro del nuovo Parlamento. Il primo atto a firma Maurizio Gasparri è il ddl n. 165 dal titolo difficilmente equivocabile. La rubrica dice “Modifica dell’articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito“.

Quello presentato il 13 ottobre – alla prima seduta utile – è un disegno di legge rimasto in fondo ai cassetti in tutti questi anni.

Che venisse fuori da quei cassetti proprio adesso era circostanza tutt’altro che imprevedibile. Perché una cosa sono i toni – a dir poco sterilizzati – da campagna elettorale, altra cosa sono i programmi sui quali la destra si coagula da sempre.

L’atto richiama infatti integralmente precedenti illustri. Il più prossimo è il ddl n. 950 partorito dalla diciottesima legislatura, sempre a firma Gasparri e altri.

Il cuore della questione è tutto giuridico ma non è solo giuridico.

Modificare il disposto dell’art. 1 del codice civile che oggi riconosce che «la capacità giu­ridica si acquista dal momento della na­scita» e ancorare quella soggettività al momento del concepimento, di fatto annulla per le donne qualsiasi possibilità di aborto legale. Anche nel caso dell’aborto terapeutico, vi sarebbero in gioco due vite, entrambe con uguali diritti e meritevoli di identica tutela. Le conseguenze sono evidenti.

Passata questa sciagurata legge, l’interruzione di gravidanza si trasformerebbe in atto delittuoso, da perseguire al pari dell’omicidio. Le donne ricomincerebbero ad abortire clandestinamente.

A rileggere la relazione che accompagnava l’ultimo testo rimasto all’esame del Senato, ora tornato di prepotente attualità, si trova una traccia chiarissima dei ripetuti assalti. Tentativi lunghi un ventennio. Oggi la direzione pare essere segnata: «Nel 1995 il Movimento per la vita italiano ha presentato un disegno di legge di iniziativa popolare costituito da un solo articolo sostitutivo dell’attuale articolo 1 del codice civile, in modo da anticipare al momento del concepimento il riconoscimento della capacità giuridica, che oggi è, invece, fissato al momento della nascita. Tale proposta non venne discussa né in quella legislatura, né in quella successiva, nella quale la proposta rimase iscritta nel ruolo parlamentare in quanto di iniziativa popolare. Nella XVI legislatura il disegno di legge fu riproposto dagli stessi primi due firmatari del presente testo, unitamente ad altri colleghi, e ci sembra doveroso sottoporlo nuovamente all’esame del Parlamento».

L’elezione alla presidenza della Camera di Lorenzo Fontana – che delle proprie posizioni antiabortiste e pro-life non ha mai fatto mistero – va letta insieme al comizio di Meloni a Vox per capire che espressioni come “sì alla cultura della vita, no a quella della morte”, sono una enunciazione di principio, saldissima, un programma di governo per i prossimi anni.

L’aria che tira in Italia è un’aria pesante per i diritti, certamente. E non è neanche la sola isola infelice, il nostro Paese.

Come non è un caso che nei dossier che accompagnano questo testo sia richiamata una sentenza della Corte Costituzionale di Varsavia, datata 27 maggio 1997. La pronuncia, intesa ad affermare il riconoscimento del diritto alla vita di ogni essere umano sin dalla fecondazione, mira alla attribuzione del nome e con questo della qualifica di «bambino» anche all’embrione e al feto umano.

Posizione reazionaria quella polacca anche in tempi più recenti, dal momento che nel 2020 la Consulta arrivava a dichiarare incostituzionale l’aborto nell’ipotesi dell’anomalia del feto. Era il 2021 e si registrava la bocciatura di una legge per legalizzare l’Ivg.

L’Italia si allinea insomma all’ultradestra cattolica che tanto in Europa quanto nel mondo (si pensi alla sentenza della Suprema Corte statunitense del giugno di quest’anno) prova a rimettere in discussione il più osteggiato tra i diritti delle donne. Come emerge dall’ultima relazione del Ministro della salute al Parlamento, infatti, la quota di obiezione di coscienza risulta ancora molto elevata, specialmente tra i ginecologi (67%) e significativa tra anestesisti e personale non sanitario.

In un clima internazionale in cui le donne si stanno facendo portavoci di lotte per diritti e libertà, a partire dall’Iran, non è difficile ipotizzare che se si andasse avanti su questa linea anche le italiane sarebbero pronte a scendere in piazza.

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  • Giorgio |

    Premesso che in Italia il “diritto all’aborto” non esiste semplicemente perchè non esiste alcuna legge dello Stato in cui il “diritto all’aborto” sia proclamato. Infatti per il diritto penale dello Stato italiano a) l’aborto è un omicidio b) la legge 194 non prevede pene nel caso in cui l’aborto sia praticato fino al 90esimo giorno dal concepimento. Pertanto non capisco proprio dove sia la “diminuzione dei diritti delle donne”, dal punto di vista legislativo. Sempre poi che la maggioranza delle donne desiderino l’aborto quale possibilità prevista dalla legge. Visti i risultati elettorali, qualche dubbio che il sentiment pro-aborto sia maggioritario nel Paese viene a molti …
    Infine, paragonare quanto sta succedendo in Iran dove i diritti delle donne sono davvero calpestati, con una possibile revisione della legislazione che preveda che il concepito abbia “capacità giuridica” fin dal momento della nascita pare piuttosto azzardato.

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