Stress, ansia e burnout. Se si chiedono a una persona le definizioni e le differenze tra questi concetti, quasi sicuramente avrà difficoltà nel rispondere. A meno che – ovviamente – non lavori nel campo della psicologia o li abbia approfonditi in qualche modo. Eppure, tutti e tre vengono quotidianamente e diffusamente utilizzati: “Sono stressato”, “Che ansia”, “Sono in burnout”.
Recentemente mi sono più volte ritrovata a spiegare questi vissuti a persone che pensavano che “più o meno sono sinonimi”. Il risultato? “Grazie, ora finalmente so dare il giusto nome a ciò che sento.” Abbiamo un estremo bisogno di conoscere per poter riconoscere ciò che proviamo.
A tal proposito, dopo lo stress, voglio questa volta parlare dell’ansia. In Italia i suoi sintomi interessano più del 20% della popolazione e l’incertezza che l’attuale situazione storica, sociale, climatica ed economica genera, certamente non aiuta a mitigarli. Al di là dei sintomi conclamati, tuttavia, ogni persona fa quotidiana esperienza di vissuti d’ansia. Si rapporta, in altre parole, con la paura anticipatoria che si sperimenta in assenza di un esito certo. L’immaginazione comincia a correre veloce per riempire il vuoto originato dal “non sapere” e in poco tempo si finisce per proiettare nella propria mente un vero e proprio film dell’orrore. Come scrive il filosofo Emil Cioran:
“Non contento delle sofferenze reali, l’ansioso se ne impone di immaginarie.”
I luoghi di lavoro non sono certo esenti da questi meccanismi. Non solo perché il mercato è precario, ma anche perché – a prescindere da quale sia la fonte d’ansia – non siamo in grado di isolare le preoccupazioni a comando. Va da sé, dunque, che le traghettiamo nei nostri diversi domini di vita. A ciò, si aggiunge il fatto che molto spesso è proprio in azienda che si nascondono le ragioni del proprio malessere. Se infatti manca un disegno e una visione a livello organizzativo o di funzione l’incertezza viene alimentata e, di conseguenza, crescono i vissuti ansiosi.
Manager e responsabili possono fare la differenza. Chi è in grado di offrire una visione chiara, condividere informazioni e comunicare opportunamente, ha infatti la possibilità di riempire il vuoto che il non sapere genera. Solo così le persone possono ottenere gli elementi necessari a sapere cosa sta succedendo e – soprattutto – dove si sta andando. Conoscenze fondamentali per evitare di perdersi nella propria paura anticipatoria.
Se, al contrario, mancano allineamenti periodici, feedback, prospettive, condivisione di aspettative, l’ansia del team verrà inevitabilmente alimentata.
È necessario, dunque, offrire alle proprie persone quelli che un altro filosofo, M. J. Cresswell, chiama “mondi possibili”. Ossia:
“cose di cui possiamo parlare o che possiamo immaginare, ipotizzare, in cui possiamo credere o che possiamo auspicare.”
La vera sfida della leadership oggi è – di fatto – sostenere la visione di un futuro che ancora non esiste, offrendo un domani diverso da un punto interrogativo. Solo non lasciando vuoti ma riempiendoli, si possono supportare i propri collaboratori e collaboratrici nella gestione dell’incertezza.
Eppure, per fare ciò, è essenziale lavorare prima su di sé e sulla propria autoconsapevolezza. Ancora una volta, torna la necessità di conoscere per poter poi riconoscere. È qui che l’azienda può e deve intervenire: garantire a manager e responsabili la giusta formazione e il giusto sostegno, anche in ambito psicologico, per poterlo fare.
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