I nostri laureati sono troppo pochi: solo una persona su 5 è laureata nel nostro Paese contro una media europea di una su 3. In Francia e Spagna, poi, i laureati sono il doppio dei nostri. Ma come influisce questa carenza di personale qualificato sul sistema produttivo italiano?
Grafico: Persone con laurea sul totale della popolazione in età 25-64 anni – EU27 – 2021
Essendo così poche le persone con titolo di studio terziario nel nostro Paese non è sorprendente che anche la quota di laureati tra gli occupati dipendenti sia altrettanto esigua; infatti, siamo ultimi in graduatoria anche in questa classifica, non raggiungiamo neppure il 25%, contro il 46% della Francia, il 48% della Spagna, e il 39% della media europea. Anche tra i datori di lavoro (con dipendenti) siamo ultimi in graduatoria: i laureati sono solo il 17%, contro il 50% della Francia, il 41% della Spagna e il 40% della media europea (Eurostat 2021).
La presenza di laureati non è uniforme tra le varie attività produttive e cambia molto da settore a settore. Ad esempio, per l’insieme dei Paesi europei, la percentuale di laureati supera il 60% nell’Istruzione, nelle Attività professionali, scientifiche, e tecniche e nei Servizi di informazione e comunicazione, mentre è al disotto del 20% in Agricoltura, nei Servizi di alloggio e ristorazione e nelle Costruzioni.
Nel nostro Paese è da notare il fatto che la distanza dalla media europea si dilata proprio nei settori in cui i laureati sono già pochi; prendiamo ad esempio il settore delle Costruzioni: sono così diverse le nostre costruzioni rispetto a quelle di Francia e Spagna che da noi i laureati sono solo il 5% del totale e da loro sono 5 volte tanti? E nei Servizi di alloggio e ristorazione cosa cambia nella qualità delle prestazioni? Perché in Italia solo il 7% degli addetti ha una laurea mentre in Francia e in Spagna i laureati sono più del triplo (NACE_R2 2021)? Qualcosa di diverso ci dovrà pur essere, alla base di tale differenza, e non sono le retribuzioni, perché i compensi dei laureati italiani in queste attività sono abbastanza simili, un po’ più alti di quelli spagnoli e poco più bassi di quelli francesi (Eurostat 2018).
La dimensione aziendale può essere una variabile importante per spiegare questa situazione perché la presenza dei laureati cresce al crescere dell’ampiezza delle imprese[1]; infatti, anche in questo caso, l’Italia si posiziona in fondo alla graduatoria dei Paesi europei: solo lo 0,7% delle imprese ha più di 50 addetti contro l’1,2% della media europea (Figura 2).
Grafico: Quota percentuale di imprese con più di 50 addetti sul totale delle imprese nei settori non finanziari[2] – EU27 – 2019
Ma, come si vede nel grafico, la distanza tra Italia, Francia e Spagna non è così marcata, da questo punto di vista; e in ogni caso ricondurre la scarsa presenza di laureati alla dimensione troppo piccola delle aziende porta inevitabilmente ad una successiva domanda: perché le imprese italiane sono così piccole? Perché non crescono? E se le differenze nei settori produttivi e nelle dimensioni aziendali non bastano a spiegare la scarsità di laureati nel nostro Paese, quali altre variabili sono da considerare?
Secondo l’Istat, vi è un legame evidente tra il numero di laureati e la crescita delle aziende: “le imprese che disponevano di addetti più istruiti sono anche quelle che hanno guidato la dinamica occupazionale e del valore aggiunto” nell’ultimo decennio (Rapporto sulle imprese 2021 p. 19); e la Banca d’Italia concorda sul fatto che “l’incremento della disponibilità di personale laureato … sembra favorire una maggior attività innovativa e una maggior crescita della produttività” (Banca d’Italia 2011 p. 21).
Quello che emerge da queste analisi è dunque una specie di circolo vizioso: le imprese italiane assumono pochi laureati perché sono piccole, e restano piccole perché assumono pochi laureati. Solo un intervento esterno che produca un cambiamento rilevante nella struttura degli incentivi può rompere questa sequenza ciclica che blocca la possibilità di reazione alla crisi del nostro Paese, e ne frena la ripresa e le prospettive di sviluppo.
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[1] Secondo il Rapporto Nazionale Sisprint 2021 la quota di laureati presenti nelle imprese italiane nel 2020 (in percentuale rispetto al totale addetti) era pari al 25% nelle imprese con più di 250 addetti; al 17% nelle imprese della classe 50-249 addetti; al 10% nella classe 10-49 addetti; e all’8% nelle imprese fino a 9 addetti (p. 66).
[2] L’ economia non finanziaria comprende i settori dell’industria, delle costruzioni, del commercio e dei servizi (sezioni da B a J e da L a N e divisione 95 di NACE Rev. 2).