I capi vengono scelti tra le persone che sanno decidere velocemente, facendo una sintesi rapida delle informazioni disponibili, colmando i vuoti e avendo la capacità di dare indicazioni chiare a chi li circonda. La capacità di sintesi e la necessità di colmare le asimmetrie informative – ovvero le situazioni in cui non si sa veramente abbastanza per decidere sulla base di dati esaustivi – si traducono nell’efficacia del prendere decisioni in condizioni di incertezza: è facile immaginare quanto questo sia più critico oggi e come diventi fondamentale quanto più aumenta la complessità di ciò che deve essere gestito. Perché, se da una parte la mente umana è fatta proprio per intuire i collegamenti tra le informazioni, generando comprensione, dall’altra siamo istintivamente portati a evitare situazioni del genere, che richiedono un notevole dispendio cognitivo. Costano, insomma, fatica.
I capi dunque nascono – oppure diventano, ob torto collo – capaci di prendere decisioni e di guidare gli altri in condizioni di incertezza. Maggiore il peso della decisione e maggiore l’incertezza, maggiore il valore di leadership di un capo. Ma come fanno?
Secondo l’analisi longitudinale fatta da alcuni ricercatori irlandesi e americani su 118 articoli scientifici che trattavano di sicurezza degli executive, appare una generale inclinazione ad essere “super-sicuri”: molto, molto sicuri di sé. Executive, imprenditori, top manager e leader in generale mostrano insomma una propensione diffusa verso un’enorme autostima, una notevole precisione e più in generale una super fiducia nelle proprie capacità. I ricercatori vedono spesso nella “executive confidence”:
“La tendenza di alcuni individui a ritenere di essere meglio di ciò che realmente sono in termini di caratteristiche come l’abilità, il giudizio e le prospettive di una vita di successo”.
Se però è sistematicamente presente, nei capi, una dose di sicurezza in più rispetto a tutti gli altri, questo indica che si tratta una caratteristica che viene selezionata a monte: non una conseguenza, ma una precondizione dell’assumere ruoli di leadership. Il perché lo abbiamo visto sopra: condizioni di complessità e di incertezza non consentono esitazioni, l’obiettivo viene raggiunto più facilmente da chi vede “solo” quello, un po’ di miopia quindi è gradita e non può non rivolgersi anche verso sé stessi. “Non mi vedo tanto bene, e quel che vedo mi piace”, potrebbe tradursi quindi così la super-sicurezza dei leader – elemento di efficacia ma a rischio di sconfinamento in alcune patologie abbastanza note a tutti i cosiddetti “sottoposti”.
La più nota è il narcisismo: “un senso esagerato – anche se fragile – della propria importanza e influenza, caratterizzato da una persistente preoccupazione del proprio successo e da pensieri grandiosi”. Il narcisismo incontra la super-sicurezza nel fatto che entrambi portano a ostentare un forte senso di sicurezza, ma, obiettano i ricercatori, il narcisismo potrebbe nascere dalla ragione opposta, ovvero dal bisogno di doversi costantemente riaffermare perché ci si sente insicuri, e questo è dimostrato anche dal fatto che i capi narcisisti tendono a circondarsi di persone meno capaci di loro.
Più sottile la descrizione di un altro incrocio patologico: quello tra la super-sicurezza e la cosiddetta “hubris”, che si manifesta con comportamenti di eccessiva sicurezza, come per esempio farsi coinvolgere in operazioni particolarmente azzardate o strapagare un’acquisizione, fino a sconfinare nell’abuso di potere e nell’arroganza. Le conseguenze della hubris possono essere particolarmente onerose, come per esempio le crisi finanziarie. La hubris incontra la super-sicurezza anche a un altro incrocio: quello con l’autovalutazione. Se c’è hubris, questa può infatti rivelarsi sbilanciata in positivo, mentre in termini non patologici questo tratto è il primo dei tre tratti positivi della super-sicurezza.
Sentirsi abbastanza sicuri per decidere per gli altri e guidarli in condizioni di incertezza e di rischio, spesso contando più sul proprio istinto che su informazioni oggettive, può trovare molta della propria forza in un nucleo di “self confidence, autostima, senso della propria capacità e libertà dall’ansia” che la ricerca chiama “Core self-evaluation”. Qui è dove i capi mostrano una sicurezza molto più sostanziale e low profile, che non ha bisogno di essere sbandierata e che si traduce in una coerenza di fondo, in un locus of control interno (penso di poter influenzare ciò che accade) e in stabilità emotiva.
Parente stretto della core self confidence è, non a caso, l’ottimismo, che all’incrocio con la super-sicurezza manageriale si traduce in una generale aspettativa che le cose in futuro andranno bene. E’ difficile infatti guidare qualcuno da qualche parte, quando la destinazione è incerta, senza avere sotto sotto qualcosa di più della semplice speranza che tutto andrà bene: gli ottimisti, che lo siano per aspettative interne oppure esterne, hanno bisogno di meno energia per convincere gli altri a seguirli perché sono i primi a essere convinti che le loro scelte ricadranno in un futuro positivo.
Ultimo tratto che la ricerca correla alla super-sicurezza dei capi è quello dell’umiltà: questa emerge dall’autoconsapevolezza delle proprie capacità reali e trova il proprio fondamento nella visione che “esiste qualcosa più grande di sé”. Inutile dire che l’umiltà implica diverse dimensioni utili, come l’apertura al feedback, l’apprezzamento degli altri e la ricerca di uno scopo che non è solo legato al sé. Sono purtroppo poche le ricerche che dimostrano la presenza di umiltà in contemporanea a quella della super-sicurezza, ma i ricercatori invitano a farne l’oggetto di studi aggiuntivi, viste le potenziali sinergie tra questi due tratti.
Tra narcisismo e umiltà, è evidente che il tratto della super-sicurezza può manifestarsi in molti modi diversi nei nostri capi ed è utile saperne riconoscere gli aspetti più comuni; la super-sicurezza, secondo i ricercatori, è infatti un tratto che può essere appreso e migliorato: sarebbe utile provarlo a farlo “evitando le buche più dure”.
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