Lo stupro in guerra è sempre strumento di genocidio

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La mozione approvata al Senato, su proposta della Commissione speciale per i diritti umani, in merito al supporto all’attività della Corte penale internazionale con particolare riferimento ai casi di donne vittime di violenza durante le guerre, rappresenta un’importante rivoluzione. Viene infatti riconosciuta la natura genocidaria dello stupro come arma di guerra, condannato già come crimine contro l’umanità dalla giurisprudenza internazionale.

La memoria delle “marocchinate” nel centro-sud Italia, i campi dello stupro nella ex Jugoslavia, la violenza sessuale in Ruanda: è lungo il drammatico elenco della storia del corpo femminile trasformato in territorio di conquista, in bottino di guerra. Bambine, ragazze e donne vittime del sistematico stupro, spesso di gruppo, esercitato per terrorizzare e umiliare ma anche e soprattutto – in quanto genitrici – per distruggere o modificare la comunità considerata nemica per ragioni etniche, religiose, culturali.
Vite spezzate dalla scelta del suicidio, per lo stigma della violenza sessuale subita, a cui spesso segue una gravidanza non desiderata e mal vista dalla comunità di appartenenza perché “gravidanza del nemico”. Vite spezzate dalla difficoltà di accedere all’assistenza sanitaria (aborto compreso) e al supporto psicologico. Vite spezzate in quanto donne, in quanto genitrici, in quanto strumento per conquistare e piegare il nemico di guerra in una logica proprietaria tutta maschile che intreccia pericolosi nazionalismi.

Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia o per il Ruanda hanno segnato un passo avanti sul fronte della giustizia per le donne vittime di stupro di guerra, ma ancora molta strada va compiuta sul piano delle indagini internazionali e del dibattito pubblico internazionale per accrescere l’attenzione su questo tema.

Da componente della Commissione diritti umani ho ancora in mente le parole di denuncia, durante le audizioni, della vice presidente del Parlamento ucraino, Olga Stefanishyna, e del premio Nobel per la Pace, Nadia Murad, vittima di stupro in quando donna e in quanto yazida. Proprio grazie al suo impulso è nata la Transnational feminist solidarity with ukrainian feminists: campagna internazionale che vuole rilanciare l’impegno a difesa delle donne ucraine. Non è possibile infatti restare indifferenti rispetto a quanto accaduto a Bucha oppure a Kharkiv oppure a Mariupol, dove secondo alcune ong pressante è la richiesta di contraccettivi di emergenza per la crescita delle aggressioni sessuali degli occupanti russi. L’Onu ha firmato un accordo quadro con l’Ucraina che riguarda proprio la fornitura di servizi di salute sessuale e riproduttiva, i servizi medici e di salute mentale. Penso che questa Rete vada sostenuta con ogni mezzo. Non solo per le bambine, le ragazze e le donne ucraine, ma per tutte le bambine, le ragazze, le donne del mondo che, nei conflitti in corso (49 secondo l’Unhcr), rischiano la vita, la salute, la libertà perché il loro corpo di possibili genitrici è ridotto a bottino di guerra.

*Senatrice e capogruppo PD in Commissione speciale diritti umani