Pnrr, il ruolo decisivo del Terzo settore

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L’esperienza drammatica della pandemia – rincarata da quella del conflitto in Ucraina – rende necessario fare del Recovery Plan un’occasione di svolta della governance del Paese in chiave democratica, sostenibile e responsabile. Ciò significa guardare al Pnrr non solo come a un piano di ripresa economica, ma piuttosto come a uno strumento attraverso il quale ricostruire una relazione di fiducia tra cittadini e istituzioni, che getti le basi di un futuro che vada ben oltre il 2026.

Nella pratica, questo approccio comporta la piena condivisione con la società civile delle strategie del Pnrr, del progressivo avanzamento delle sue azioni, nonché del monitoraggio, anche attraverso una piattaforma di open government aggiornata in real time. Cosa, peraltro, espressamente richiesta dal Regolamento europeo relativo al NextGenerationUe, che parla di necessaria co-progettazione dei piani di ripresa nazionale con le parti sociali e con la società civile organizzata.

Avv Giovanni Caronteuto, Presidente Prp Bono Italia, e Tiziano Treu, Presidente Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale Pnrr della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 27 aprile 2022

Avv Giovanni Caronteuto e Tiziano Treu,

Oggi sappiamo che, almeno “in fase di programmazione, in Italia, questo non è avvenuto”. A dichiararlo senza mezzi termini è Tiziano Treu, Coordinatore proprio di quel Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale Pnrr della Presidenza del Consiglio dei Ministri (oltre che Presidente del CNEL) preposto a occuparsene, peraltro costituito solo nel nostro paese, dal Dm 14 ottobre 2021.

L’occasione è il seminario promosso da Pro Bono Italia, in collaborazione con I-Com e The Good Lobby Italia, lo scorso 27 aprile. “Oggi si cerca di costruire quell’alleanza mancata nella prima fase – ha continuato Treu – perché il Piano è molto sfidante per la Pa: tutti i comuni, dai grandi sino ai più piccoli, devono essere messi in grado di scrivere i bandi, seguire la progettualità e garantire la capacità di spesa, oltre a svolgere un’attività di monitoraggio – non solo tecnico, ma anche partecipato – che è fondamentale per misurare sia l’output sia l’outcome, ovvero l’impatto degli interventi”.

La spinta del premier, Mario Draghi, su questo fronte è forte e chiara e non potrebbe essere diversamente. La posta in gioco è alta, perché nelle mani dei Comuni ci sono 40 miliardi di euro, che devono essere spesi rispettando un timing molto severo – pena la restituzione delle risorse – e che andrebbero spesi nel miglior modo possibile, per una ripresa sistemica, che tenga insieme le esigenze del sistema produttivo e occupazionali con le emergenze sociali, esacerbate dalle recenti crisi, sanitaria, prima, e bellica, poi.

In questo complesso scenario, il ruolo che può svolgere il Terzo settore è molto rilevante. In forza della sua capillarità e conoscenza dei territori potrebbe supportare la Pa nell’identificare gli ambiti sociali prioritari su cui intervenire – ad esempio, la dispersione scolastica o la povertà educativa, che vede il nostro paese in gravissimo affanno – e verificare sul terreno gli effetti delle misure. Ecco perché Pro Bono Italia, prima associazione di avvocati, Studi legali e Associazioni Forensi, nata nel 2017 per la promozione di una cultura pro bono nell’ecosistema culturale e giuridico italiano, si sta facendo portavoce del mondo non profit. “Siamo stati spronati da alcune realtà in particolare del nostro network a farci avanti per sottolineare la funzione che possiamo svolgere nella governance del Pnrr – ha affermato l’avv. Giovanni Carotenuto, presidente dell’associazione -. La mancata regolamentazione del pro bono in Italia ci rende più facile agire e mettere a disposizione le nostre competenze”.

Ad oggi, Pro Bono Italia – che conta circa 50 associati oltre ad appoggiarsi a una rete di circa un migliaio tra avvocati, giuristi di impresa, cliniche legali ed enti non profit – ha risposto ad oltre 400 richieste di assistenza pro bono, filtrate dalle clearinghouse attive in tutta la penisola. Negli ultimi 6 mesi, poi, grazie alla nuova Piattaforma, complici anche i venti di guerra, le richieste si sono quadruplicate rispetto all’anno precedente. Quindi, ha il polso della situazione e proprio per questo ha deciso di istituire un tavolo permanente con The Good Lobby (associazione che si occupa di fare in modo che la società civile possa inserirsi nei processi decisionali legati al PNRR) e I-Com, Istituto per la Competitività (think tank fondato nel 2005 a Roma e Bruxelles), per interloquire e portare proposte concrete al Tavolo della Presidenza del Consiglio.

Da parte sua, Treu, che ha accolto favorevolmente l’iniziativa, non nasconde una certa preoccupazione. “Sono tanti i punti critici da affrontare: non solo, in fase di allocazione dei fondi, in cui si dovrebbe rispondere alle disparità soprattutto territoriali, evidenziate dalle ultime rilevazioni dell’Istat, ma anche in fase di realizzazione e monitoraggio delle ricadute sociale e occupazionali degli investimenti”, avverte il presidente del CNEL. Sembra, infatti che la clausola di condizionalità, che impone il 30% di assunzioni di giovani e donne per ogni impresa o contratto finanziato dal Pnrr (peraltro già annacquata da una serie di deroghe), sia difficile da rispettare. E qui entra in gioco un altro tema enorme, che riguarda il mismatch del mercato del lavoro italiano, dove da tempo i profili richiesti dalle aziende non corrispondono a quelli offerti dal percorso formativo. Guardandola in prospettiva, tutta la sfida del PNRR non è altro che una sfida di competenze, ovvero della capacità del sistema Italia di fare quell’investimento nel capitale umano, dall’education all’accesso alle opportunità professionali – nel profit come nel non profit e nella PA – per preparazione e merito, che qualsiasi Paese è tenuto a fare nell’era della conoscenza. Per equità e convenienza.

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