“Tira” è più dell’invito di ogni allenatore ai suoi atleti e alle sue atlete, di ogni mamma ai suoi bimbi. È l’imperativo categorico che nasce su un campo da calcio, in un’arena del basket o in una piscina per far punto ed elevare lo sport a filosofia morale del nostro tempo. Ne abbiamo un gran bisogno visto come non vanno le cose del mondo. In quel “Tira”, che abbiamo detto milioni di volte, Monica D’Ascenzo nel suo “Gameday. Perché le ragazze devono imparare a correre dietro a un pallone” (Gribaudo, 2022) riconosce la forza eterna dello sport per cambiare il mondo e rendere la nostra società più giusta ed equa. E anche più a misura di donna.
La sua lettura, così contemporanea, nasce dall’attenta osservazione del quotidiano negli uffici, nelle aule scolastiche, nelle stanze del potere economico che frequenta per motivi di lavoro. Già, perché una donna prima di alzare la mano, di proporsi, di tirare, vuole essere certa di avere fra le mani il tiro perfetto, mentre un uomo si butta, e magari ottiene spazi e promozioni. Lo sport, soprattutto di squadra – scrive Monica D’Ascenzo – è una leva per sapersi affermare, con le proprie forze, con fatica e sudore e competenza: “Respirare sport e fare sport fin dall’infanzia, come d’altra parte studiare musica o essere uno scout, in altra maniera, equivale ad acquisire dei superpoteri che potremo usare quando ne avremo bisogno. È una forma mentis che ci dà qualche possibilità in più. Una risorsa che si può acquisire giocando e che può fare la differenza”.
L’intuizione, brillante e nuova, che, come un fil rouge tiene insieme le pagine appassionate del libro, nasce da tante letture e dalle voci dei campioni che Monica D’Ascenzo ha avuto modo di incontrare in questi anni. Sono atleti e atlete da copertina, sono campionissimi che hanno fatto la storia, eppure con la loro umanità, le loro fragilità ci tengono stretti alle loro storie. Loro sono noi e noi siamo loro. Maestri e compagni di strada, come tanti allenatori, perché le medaglie, i successi non sono proprio di oro ma di una lega fatta di sudore, determinazione e coraggio. La stessa alchimia che cerchiamo dentro di noi ogni giorno, fra mille difficoltà, a caccia della gioia. Lo sport è vita: altrimenti come potreste anche solo provare a capire le lacrime degli Azzurri sconfitti dalla Macedonia del Nord e fuori dal Mondiale mentre, a poche migliaia di chilometri dall’Italia, infuria una guerra feroce?
Tante le storie belle di queste pagine. Milena Bertolini, Ct tutta grinta e pragmatismo, della Nazionale femminile di calcio, quasi tutte le riassume con i suoi occhi oltre ogni ostacolo: “È necessario sviluppare una visione che vada oltre il risultato, dobbiamo essere proiettati verso il bene comune e lavorare per il futuro”. Ricorda Luca Bigi, tallonatore dell’Ital-rugby e nella franchise delle Zebre in Pro14, che gli avevano annunciato l’arrivo di un giocatore nel suo ruolo, ma lui scelse di rimanere perché avere fiducia in se stessi è già una mezza vittoria. Non è lo stesso nella vita? E la fiducia è anche quella che un allenatore deve accendere nei suoi ragazzi per farli diventare squadra. La ricetta di Sandro Campagna, oro con l’Italia della pallanuoto a Barcellona 1992 e Ct del Settebello, è in musica: “Al giocatore che non ha la maturità devi fargli lo spartito. Ma io, da allenatore, cerco di creare un’orchestra jazz. Anche in occasione della stonatura di qualcuno, gli altri devono essere in grado di adattarsi alla nuova situazione e riportare il compagno alla giusta tonalità, esattamente come quando si improvvisa musica jazz”.
Trovare la voce a una squadra e saper essere sempre pronti: Marco Belinelli, primo italiano ad aver vinto l’anello con i San Antonio Spurs (2014), 13 anni in totale di Nba, lo sa bene. Per un anno solo spiccioli di partita, e poco più ma con il mantra fisso del “Stay ready e trasforma la rabbia e la delusione in forza”. Ogni atleta si racconta e offre una chiave di lettura. Quella di Cristiana Girelli, bomber della Nazionale di calcio femminile e della Juventus Women, è la responsabilità: “Ci siamo qualificate al Mondiale del 2019 dopo vent’anni di assenza: il professionismo, che entrerà in vigore dal 2022/23 nel calcio femminile italiano, è frutto anche di questo percorso. E proprio per questo percorso, se qualcuno sbaglia fra gli uomini è uno su un milione, se qualcuna di noi sbaglia, non sbaglia solo per sé, sbaglia per tutte noi”.
Lo sport è anche libertà, come nella vita di Nadia Nadim, afghana, fuggita da Herat quand’era bambina, arrivata in Danimarca e oggi con 99 gare in Nazionale. A dimostrazione che sempre, quando tutto sembra perso, lo sport, qualsiasi sport, è il salvagente, è un arcobaleno che rischiara la fatica e ti fa dire che nulla è impossibile, parola di Fausto Desalu, oro della staffetta 4×100 a Tokyo 2020, nella più luminosa Olimpiade italiana di sempre.
Ci sono anche Paola Enogu, paladina dei diritti, l’oro di Manuela Zanchi nella pallanuoto ad Atene 2004, e il senso delle radici di Iván Ramiro Córdoba, difensore colombiano dell’Inter del Triplete nel 2010. Fiducia, rispetto, orgoglio, voglia di divertirsi sono tasselli che costruiscono carriere sportive da almanacco e anche persone migliori, esempi ai quali tornare nei momenti più bui, perché lo ha urlato al mondo Megan Rapinoe, centrocampista della Nazionale Usa, oro ai Mondiali di calcio femminile del 2019: “Dobbiamo essere migliori. Dobbiamo amare di più e odiare di meno. Dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno. Dobbiamo sapere che questa è una responsabilità di tutti. Ed è nostra responsabilità rendere questo mondo un posto migliore”.
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Titolo: “Gameday. Perché le ragazze devono imparare a correre dietro a un pallone”
Autrice: Monica D’Ascenzo
Editore: Gribaudo
Prezzo: 16,90 euro