Perché scriviamo di violenza sulle donne

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I numeri raccontano le storie, fotografano la realtà, danno le dimensioni, tracciano i confini. E da giornaliste del gruppo 24 Ore, proprio dai numeri siamo partite quando abbiamo cominciato il nostro viaggio nella lotta alla violenza contro le donne.

Nel giugno 2016 ci siamo imbattute, un po’ per caso, nella storia di un centro antiviolenza di Roma, Sos Donna H24 per il quale, scaduti i finanziamenti del Comune, si paventava la chiusura. In quel momento, era fresco il ricordo del terribile femminicidio di Sara Di Pietrantonio, 22 anni, uccisa e bruciata dall’ex fidanzato, Vincenzo Paduano, in una strada di periferia della Capitale. La storia di quel centro, che alla fine ha ottenuto i finanziamenti ed è riuscito a restare operativo, ha scoperchiato per noi il tema dei numeri della violenza di genere, a partire da quelli dei fondi e dei finanziamenti  destinati ai centri antiviolenza attivi su tutto il territorio nazionale, come quelli della rete D.i.Re, che ne raccoglie la maggior parte. Una gestione, quella dei centri e della case rifugio, complessa, burocratica e farraginosa che spesso ne mette a dura prova l’attività. Ancora, numeri frammentati, disomogenei, difficili da reperire sulle donne che hanno subito e che subiscono violenza da parte degli uomini, mariti, compagni, ex, padri e fratelli. Numeri che non solo servono per fotografare un sistema, ma sono necessari per far sì che la complessa macchina burocratica non si inceppi, togliendo ossigeno alle associazioni che lavorano sul territorio, ogni giorno.

Da quel primo articolo pubblicato su Alley Oop si è creato un bellissimo gruppo di lavoro ed è iniziatoun viaggio giornalistico dentro la violenza maschile contro le donne, con il primo ebook: #hodettono. Come fermare la violenza contro le donne. Per noi è iniziato, parallelamente, un percorso di consapevolezza e di presa di coscienza individuale, tra chi già era molto attiva nella lotta alla violenza di genere e chi si è avvicinata al tema per sensibilità personale, attenzione, impegno. Dalle prime indagini sulle strutture di accoglienza, siamo passate ad approfondire l’azione del Dipartimento per le Pari opportunità, oggi ministero, perché è da lì che dovrebbero partire input e piani. E ancora, al ruolo fondamentale delle forze dell’ordine, uomini e donne formati per accogliere le denunce delle vittime e quelli che invece, in assenza di una formazione specifica, rischiano di respingere la donna in difficoltà. Inoltre, a guardare quello che succede nelle aule dei tribunali dove ancora, troppo spesso, le donne non vengono credute, affrontando poi la questione anche dal punto di vista normativo. Proprio alle norme abbiamo deciso di dedicare il secondo ebook, #hodettono. Le leggi per difendersi, gli strumenti per tutelarsi e le riforme allo studio, che esamina nello specifico un aspetto per cui l’Italia è promossa (dal punto di vista delle leggi in vigore), mentre resta il problema, come rilevato in alcune decisioni della Corte europea di Strasburgo, dell’applicazione delle norme.

Un articolo dopo l’altro, una testimonianza dopo l’altra, una storia dopo l’altra, dalle donne salvate grazie ai centri antiviolenza, alle dolorose voci degli orfani di femminicidio, al fenomeno ancora troppo poco studiato della violenza economica, ci siamo indignate, allarmate, preoccupate per una situazione strutturale, non certo un’emergenza momentanea, che non accenna a migliorare, ma che anzi continua a mostrare la sua tragicità ogni giorno.Parliamo di un fenomeno che riguarda un miliardo di donne nel mondo: tante, secondo l’Oms, sono quelle che hanno subito violenza nel corso della loro vita, una su tre. In Italia le donne molestate, perseguitate, aggredite, picchiate, sfregiate secondo gli ultimi dati Istat sono 6,8 milioni. Il costo per l’Italia della violenza contro le donne, secondo WeWorld, è di 17 miliardi di euro all’anno. In occasione del 25 novembre, negli ultimi anni, abbiamo fatto il punto, tirato le somme, analizzato il fenomeno, tenuto alta l’attenzione (qui qui i link agli eventi del 2019, qui il dossier del 2020 e qui quello del 2021), su Alley Oop, sui social, sulle pagine del quotidiano e con i reportage su Radio 24.

Tra tutti questi aspetti, ce n’è uno che ci riguarda ancora più direttamente: quello dei media. Perché in tempi in cui il giornalismo è diventato la rincorsa al titolo “acchiappa-clic”, in cui la velocità di produzione delle notizie online è tale da lasciare troppo spesso poco spazio all’approfondimento, alla verifica e alla cura, in cui la deontologia spesso viene trattata come un vezzo e non come un obbligo non solo etico, ma professionale e di legge, quale è, la rappresentazione della violenza da parte della stampa, della tv e dei social è stata una parte importante della nostra riflessione.

La vittimizzazione secondaria non riguarda solo i media: le donne colpite da violenza maschile si trovano a diventare vittime due volte anche nelle aule dei tribunali, quando hanno il coraggio di denunciare e la responsabilità della violenza viene addossata a loro stesse, quando vengono allontanate dai loro figli perché “non li hanno saputi difendere dalla violenza del padre”. Vittime due volte, di chi diceva di amarle e delle istituzioni che dovevano proteggerle. A questo tema sarà dedicato il terzo ebook, #hodettono.  Tribunali, media e servizi sociali: quando la donna è vittima due volte, in uscita l’8 marzo 2022, che fa parte del Progetto Never again per combattere la vittimizzazione secondaria, co-finanziato dal programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea e di cui Alley Oop – Il Sole 24 Ore è partner.

Qualcosa si muove, tantissimo è stato fatto, grazie al grande lavoro dei centri antiviolenza, delle associazioni di donne e di uomini, dei magistrati e delle magistrate e di tutti quelli che combattono ogni giorno contro la violenza di genere. Tutto questo sta dando i suoi frutti, ma il cambiamento, che è culturale, è lungo, lento e pieno di battute d’arresto. Parlarne, scriverne correttamente è fondamentale: le parole contano perché modellano il pensiero e contribuiscono al cambiamento culturale necessario per combattere la cultura patriarcale e maschilista del possesso in cui la violenza di genere affonda le sue radici. Per questo, negli anni, con la nostra conoscenza del fenomeno è cresciuta la consapevolezza dell’importanza del corretto uso del nostro lavoro, la nostra responsabilità come giornaliste in questo cambiamento ormai non più rinviabile.

Dobbiamo anche dire che a volte ci sono momenti di scoramento, delusione, senso di impotenza: accade quando ci troviamo a commentare l’ennesimo caso di femminicidio, l’inaccettabile gesto di un padre che uccide i figli per punire la madre, o l’ultimo caso di stupro, magari raccontato pure male dai media. Ci domandiamo a cosa serva parlare, scrivere, fare piani, stanziare risorse se le donne devono ancora morire, i figli ancora pagare colpe che non sono loro. Ma questi stessi momenti di frustrazione ci fanno capire che la strada è ancora lunga, perché secoli di cultura maschilista non si possono cancellare in pochi anni, nonostante la buona volontà della politica e delle istituzioni. E i media hanno un ruolo fondamentale da svolgere, in questo cambiamento che è prima di tutto culturale. C’è poi da dire che quando col nostro lavoro riusciamo a restituire un po’ di dignità e di speranza alla narrazione della storia di quelle donne che hanno dovuto subire la violenza, quando addirittura arriva il “grazie” dei familiari, questo cancella ogni frustrazione, ogni dubbio e restituisce il senso al lavoro che facciamo.

La violenza, d’altronde, non ci riguarda solo come professioniste. Scrivendo, parlando, intervistando, confrontandoci, abbiamo compreso come riguardi tutte e tutti, a vari livelli, perché viviamo nella società patriarcale che poi dà i suoi peggiori frutti negli uomini violenti. Società patriarcale che è anche origine delle discriminazioni sul lavoro, del gender pay gap, della difficoltà delle donne a fare carriera al pari dei colleghi uomini, delle maggiori difficoltà vissute dalle donne anche negli ultimi anni, segnati dalla pandemia.  E allora è anche lo sforzo di cambiare che riguarda tutti e tutte, uomini e donne. Noi stesse, ancora troppo spesso, avalliamo con tanti comportamenti, accettando tante sfumature, dando per scontato troppi stereotipi, la mentalità maschilista da cui nascono il femminicidio e la violenza di genere.

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  • Ezio |

    Con tutto il rispetto per le opinioni personali, ma se scrivete senza confrontarvi con i commenti dei lettori, fate solo monologhi sterili e l’unico ritorno sarà solo l’eco dei vostri discorsi.

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