Autostima, il miglior regalo che possiamo farci è volerci bene

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Si avvicina quel momento dell’anno in cui si confessano sogni e desideri, e sarebbe bello se sotto l’albero trovassimo qualcosa che davvero sentiamo mancarci. Ci pensa Gloria Steinem con il suo libro “Autostima. La rivoluzione parte da te”, ripubblicato da VandA.edizioni, il pensiero perfetto per questo Natale, per noi o per le donne che più apprezziamo. Nel caos del mondo, un regalo che possiamo farci è volerci bene, o in altre parole, una buona dose di autostima. “Si tratta di un concetto che oltrepassa i limiti dell’individualismo occidentale moderno. È antico e universale quanto l’umanità stessa”, scrive l’autrice nella rinnovata prefazione. A differenza degli anni Novanta, periodo in cui molti critici e giornalisti interpretarono il libro come una ritirata dal politico e dal personale (ignorando il motto femminista “Il personale è politico”, sottolinea l’autrice), il “nuovo” testo si afferma in un ventennio dove la parola “autostima” ha conquistato un valore di genere, culturale, associato a un’affermazione di sé che tiene conto di fenomeni razziali, gerarchici e patriarcali.

Storica attivista americana, leader del femminismo radicale degli anni 60 e 70, Gloria Steinem arricchisce il libro di storie e riflessioni successive alla primissima pubblicazione, figlie di dibattiti nelle librerie, tavole rotonde, incontri che hanno dato vita a un susseguirsi di testimonianze empiriche. Ed è questa la struttura esteriore che l’autrice compone passaggio dopo passaggio, unendo l’esplorazione personale (a tratti autobiografica) a una necessaria comprensione delle influenze date dalla politica, dai pregiudizi di razza, genere e classe capaci di privare le donne di autostima. Ma non per questo il volume si rivolge esclusivamente al genere femminile: “Doveva essere anche un libro per uomini. Dopotutto, sono gli uomini con una bassa autostima che causano alle donne – e ad altri uomini – la maggior parte dei problemi, dalla sottile condiscendenza alla violenza aperta […] Consideriamo il fatto che tutte le schegge impazzite – uomini che vanno in luoghi pubblici a uccidere persone che non conoscono – sono bianche e di classe media, appartengono cioè al gruppo che con ogni probabilità si è sentito dire dalla società di avere il diritto di dominare gli altri, un falso concetto di autostima”. Se l’autostima non deve infatti dipendere dal dominio per gli uomini, non deve dipendere da una prospettiva di sottomissione per le donne.

Steinem suggerisce di rimettersi in contatto con il proprio bambino interiore, con quell’ottimismo e quella capacità di sopravvivenza che l’adulto, dopo aver interiorizzato il proprio contesto familiare, tende a nascondere fino a dimenticare. Parliamo di tutto ciò che ostacola o caratterizza le paure e i nostri limiti, dove ogni spiegazione inconscia viene ignorata alimentando insicurezza e incomprensione verso se stessi. Scavare nel passato per rispondere al presente, riconoscere la familiarità degli schemi negativi e i dolori dell’infanzia per recuperare un concetto semplice: siamo degni di ciò di cui abbiamo bisogno e lo siamo sempre stati.

La famiglia gerarchica su cui ancora si basa la nostra società democratica, inoltre, non è sempre un luogo favorevole per sviluppare individui abbastanza sicuri di sé da trattare gli altri con equità (non meglio, non peggio, ma allo stesso modo). Dal bambino dentro di noi, Steinem analizza la necessità di una percezione del sé futuro e l’importanza di farci genitori di noi stessi. Partendo dall’autostima dei primi anni di età, quella che gli psicologi definiscono “globale” o “caratteriologica”, dove si ha la certezza di essere amati indipendenti dalle proprie azioni, si passa all’autostima “situazionale”, che nasce dalla consapevolezza di essere buoni a qualcosa e soddisfare le aspettative degli altri. Entrambe le fasi possono presentare dei punti spezzati (a cui è dedicato un intero capitolo), dove i bisogni infantili, se ascoltati o negati, condizionano inevitabilmente la vita adulta.

Un manuale, una guida, un dizionario di ciò che dovremmo disimparare o imparare a rivalutare, e una manciata sostanziosa di storie che, come anticipa l’autrice stessa, toccano nel profondo anche il lettore più preparato. La profondità delle analogie e delle associazioni proposte in termini di condizionamenti comportamentali conduce a riflessioni su se stessi, su chi abbiamo intorno e sul ruolo genitoriale, come nel capitolo “Parabole del ritorno”: “Vista la sofferenza che affligge l’infanzia di tante persone, ci sono tre questioni da sciogliere: per quale motivo molte persone trasmettono la sofferenza ai propri figli, per quale motivo molte altre non lo fanno, e cos’è che fa la differenza.” La storia di Bryan Robinson per esempio – genitore intossicato dall’alcol, figlio intossicato dal lavoro – porta l’autrice a una deduzione lucida sul meccanismo delle dipendenze (che si tratti di alcol, cocaina, cibo o lavoro), suggerendo la condivisione del problema all’interno di gruppi come gli “Overeaters Anonymous” e i “Workaholic Anonymous”, per individuare comportamenti compulsivi, sentimenti di vergogna e isolamento.

Nei capitoli “Parabole su città e università” e “Troppa cultura fa male”, il discorso si sposta sulla questione di genere, rimarcando il background femminista portante. Parlando dell’educazione da lei assorbita al college, l’autrice riporta alcune insidie a cui è andata incontro, tra cui: “Avere letto libri di storia in cui il potere e la capacità di agire sono riservati agli uomini ed essere valutate in funzione della nostra capacità di memorizzare le imprese degli uomini – dove il messaggio più profondo è che possiamo imparare ciò che gli altri fanno, ma non farlo noi stesse”.

E, ancora, “sentirci dire che siamo soggettive se facciamo riferimento alla nostra esperienza e che la verità oggettiva ha sempre una dimensione collettiva – collettività dalla quale noi siamo sempre escluse”. Anni dopo, Steinem si ritrova a confrontarsi in un convegno con un gruppo di femministe degli Appalachi, riportando delle differenze di apprendimento sostanziali: “Non avendo mai definito la civiltà come la conquista della natura da parte dell’uomo – e vivendo a stretto contatto con la natura – si opponevano allo stupro della terra ed erano ecologiste”. E, più importante: “Non avendo mai appreso a separare la mente dal corpo, il pensiero dalle emozioni o l’intelletto dai sensi, avevano fiducia nella loro esperienza”. Sul piano culturale, viene citata l’introduzione in ambito accademico dei Women’s Studies e di corsi specifici sulla cultura afro-americana/asiatico-americana, che hanno portato al riconoscimento di eroi ed eroine del passato di diverso orientamento sessuale (passando il messaggio che anche la cultura omosessuale ha influenzato la storia). La domanda da porsi è, che cosa imparano le ragazze? E quali sono le conseguenze della loro educazione influenzata da un sistema patriarcale?

“Autostima” viaggia alla velocità di un treno tra scienza, analogie, spiritualità e analisi dell’amore romantico. Ce n’è per ogni argomento, a patto che la riflessione abbracci un riferimento storico e sociale tanto amaro quanto oggettivo. Ed è con questo pattern che l’attivista Steinem cita lo studio della craniologia, secondo cui la scienza associò inizialmente la dimensione del cranio allo status dell’intelligenza di un individuo. Da lì si addentra in studi antropologi e neurologici con i quali gli scienziati dimostrarono che le virtù vittoriane della passività, della domesticità e dell’alto senso morale fossero radicate nella biologia della donna.

Analogamente, alle “razze scure” furono associate le caratteristiche di passività, dipendenza e infantilismo. Legittimare distinzioni razziali e di genere è stato l’obiettivo di molti uomini e molte forme di scienza per anni, a dimostrazione di quanto sia importante considerare senza filtri le analogie tra le “minoranze”, comprenderne le lotte e porsi delle domande su come agire attraverso una profonda consapevolezza di sé. In questo il femminismo si è sempre posto come stendardo, costruendo le basi per un linguaggio e un assetto socio-politico che permettesse a tutte le “categorie” escluse di riformulare il proprio posto nel mondo (non solo delle donne, nonostante il dibattito culturale contemporaneo attuale sia spesso portato a sminuire i femminismi). “Attribuire valore al sé irripetibile che ognuno di noi si porta dentro è alla base della democrazia e della ribellione contro l’ingiustizia.”

Steinem ci racconta dello stato di ipnosi attraverso il quale ha recuperato il suo bambino interiore e il suo sé futuro, invitando il lettore a fare lo stesso. “Autostima” procede a piccoli e grandi passi, da analisi più ampie a consigli sull’esplorazione di sé e sulla meditazione. Per millenni, scrive l’autrice, autorevoli osservatori hanno creduto che ognuno di noi custodisse un sé unico e autentico, che può essere soffocato o coltivato, frustrato o sviluppato. Alla luce di questo, antropologi e filosofi hanno seguito per anni una verità espressa anticamente da Platone: “L’anima sa chi siamo fin dal principio”. Ed è per questo che, in fondo, vale la pena trovare quei punti spezzati e guardare con occhi soggettivi una realtà ancora plasmabile, creativa e inclusiva per tutti.

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Titolo: “Autostima. La rivoluzione parte da te”
Autrice: Gloria Steinem
Editore: VandA.edizioni
Prezzo: 19,00 €

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