“Signora dobbiamo eseguire, è la polizia” e poi urla disperate di un bambino. È un audio di dolore insopportabile che ha attraversato piazza Montecitorio, diffuso dalle madri in lotta contro l’alienazione parentale e tante associazioni che le sostengono, il 17 giugno scorso. E’ stato registrato nel 2019 a Taranto, mentre un bambino veniva portato via a sua madre, definita alienante da una Ctu disposta dal tribunale dei minori. Chi ha ascoltato quelle grida, chi ha visto quel video non può dimenticarli e spesso non riesce più a prendere sonno.
E’ accaduto di recente anche in Trentino Alto Adige e a Perugia dove, il 14 giugno, il quotidiano locale Umbria24 ha pubblicato un articolo di Maurizio Troccoli che fa la cronaca di un allontanamento coatto di un bambino da una madre ritenuta “alienante”. La madre stessa accompagna il suo bambino alla casa famiglia, cercando di rendergli lo strappo meno traumatico: “Mi chiedo – scrive il cronista – se mai avrei trovato la forza di guidare, al posto di quella mamma. Penso al fatto che, probabilmente, non mi avrebbero dato nemmeno il tempo di raccontare quali libro preferisce leggere, o quali cartoni ama guardare, che ama mordere una fetta di pane prima del pranzo o che odia le pappe mollicce”.
Uno scolaro di terza elementare, a Pisa, si è barricato nel bagno ma 11 poliziotti hanno sfondato la porta e lo hanno prelevato come un pericoloso delinquente. A Roma Laura Massaro, dopo un calvario di otto anni, aspetta barricata in casa con suo figlio dodicenne che venga eseguita l’ordinanza del Tribunale dei minori che dispone il ricovero del ragazzino in una casa famiglia, che le toglie la potestà genitoriale, un provvedimento che si dovrebbe adottare solo in casi estremi.
Sono madri che non hanno mai commesso abusi o maltrattamenti sui figli eppure sono sottoposte ad anni di estenuanti Ctu, controllate da tutori e curatori con un grande esborso di denaro che le costringe spesso a vendere case o a indebitarsi per pagare i consulenti del tribunale e gli avvocati. In nome della “bigenitorialita”, a tutti i costi anche contro la volontà del bambino, i figli vengono portati via alle loro madri. In nome della bigenitorialità si strappa un minore al suo unico affetto e punto di riferimento, per “resettare” i suoi sentimenti e spingerlo a costruire un rapporto nuovo con entrambi i genitori, in particolare con il padre che questi bambini rifiutano.
È una scelta sempre dubbia, che diventa addirittura illegittima, oltre che inaccettabile, quando i padri sono violenti, indagati o condannati per violenza domestica, di cui le perizie dei Ctu rifiutano spesso di tenere conto. La corte di Cassazione ha stigmatizzato questa pratica, ha nei fatti delegittimato la Pas, la cosiddetta “sindrome di alienazione parentale” e va maturando con sempre più chiarezza un’orientamento giurisprudenziale che afferma come e quanto l’interesse superiore del minore non coincida tutte le volte e in maniera automatica con l’affermazione della bigenitorialita, ma sia un interesse da ricercare di volta in volta, caso per caso, dando centralità ai sentimenti, al vissuto, agli eventuali pregiudizi che potrebbero arrivare al minore da scelte avventatevi o addirittura sbagliate.
Vanno nella stessa direzione le raccomandazioni del Grevio, il gruppo che monitora sulla corretta applicazione della Convenzione di Istanbul, le osservazioni della Special Rapporteur che sorveglia sul rispetto della Cedaw, eppure le donne che denunciano violenze nelle aule dei tribunali penali sono messe sotto accusa nelle aule dei tribunali civili e dei minori. Ma quello su cui non possono tacere le nostre coscienze, quello che è veramente sconvolgente, è l’uso della forza pubblica per dare esecuzione al provvedimento del giudice e prelevare i bambini. Sono casi in cui, invece, la forza e l’imposizione coatta andrebbero bandite.
Il rischio è di traumatizzare un bambino o una bambina per sempre, e pregiudicare il suo intero futuro. In nome del principio della bigenitorialità declinato in modo astratto non possiamo distorcere la realtà del superiore interesse del minore e forzare i principi fondamentali del nostro ordinamento. Non possiamo farlo non soltanto perché si deve avere cura in concreto dei bambini e delle bambine, ma perché agendo così si minano i fondamenti dello stato di diritto, rischiando di danneggiare tutte le persone coinvolte, e ferire una seconda volta le donne e madri che hanno subito violenza e si ritrovano a essere due volte vittime.
È arrivata l’ora di dire basta. Per questo ho rivolto e rivolgo un appello a tutte le autorità competenti, in primis alla Ministra della giustizia Marta Cartabia e alla Ministra dell’interno Luciana Lamorgese, affinché si ponga fine a questi drammi indegni di un Paese civile e della nostra Costituzione, in violazione della carta dei diritti dell’uomo e della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
E lo faccio in qualità di senatrice della Repubblica, di Presidente della Commissione d’inchiesta del Senato sul femminicidio, ma anche come donna e, soprattutto, come madre.