Arriva la YOLO Generation, che lascia il lavoro perché si vive una volta sola

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La pandemia ha generato insicurezze sul futuro soprattutto per la generazione di giovani che, in termini professionali, è stata quella che, assieme alle donne, ha pagato di più. La situazione giovanile, in particolare in Italia, ha sempre pagato uno scotto molto alto rispetto alle generazioni precedenti perché ha avuto più difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, ha guadagnato retribuzioni più basse e ha rallentato i progetti di vita, come ad esempio vivere da soli e avere una famiglia. Questo scenario si è acuito con la pandemia generando una nuova prospettiva, quella che il New York Times chiama “YOLO Economy”, un acronimo che sta per “you only live once” reso popolare dal rapper Drake, nuovo mantra emerso dai vissuti degli ultimi mesi.

Molti ragazzi stanno abbandonando lavori stabili per avviare una nuova avventura post pandemia, trasformare una passione in un lavoro a tempo pieno o finalmente lavorare su quel progetto che tanto si è sognato. Altri si fanno beffe della richiesta dei loro manager di tornare in ufficio e minacciano di dimettersi a meno che non siano autorizzati a lavorare dove e quando vogliono“, riporta il New York Times.

L’articolo aggiunge che questa generazione, sentendosi incoraggiata dall’aumento dei tassi di vaccinazione, da un mercato del lavoro in ripresa e da conti bancari “ingrassati” da un anno di risparmi casalinghi ha aumentato la propria propensione al rischio. E mentre alcuni di loro stanno semplicemente cambiando lavoro, altri stanno abbandonando del tutto le scale mobili della carriera per rimettersi in gioco.

Una recente inchiesta di Microsoft condotta su 30.000 lavoratori in 31 Paesi ha descritto questo fenomeno come una vera e propria “disruption” verso un nuovo lavoro ibrido: il 40% dei lavoratori a livello globale ha deciso di cambiare lavoro nel 2021, il 70% preferisce un lavoro flessibile e tra le priorità nella scelta di un lavoro emerge il benessere sopra ogni altra cosa.

Il ceo di Microsoft, Satya Nadella, ha così commentato questo nuovo trend: “Nell’ultimo anno, nessun settore ha subito una trasformazione più rapida del modo in cui lavoriamo. Le aspettative dei dipendenti stanno cambiando e dovremo definire la produttività in modo molto più ampio, includendo collaborazione, formazione e benessere per guidare l’avanzamento di carriera di ogni lavoratore, compresi i neolaureati”.

La Generazione Z, i ragazzi tra i 18 e 25 anni, ha risentito maggiormente per la difficoltà di fare networking con altri colleghi, far valere la propria idea durante le call online visto che probabilmente vivono la loro prima esperienza lavorativa. Tra tutte, sembra sia questa la generazione più a rischio di burnout.

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Per prevenire questo malessere, molte aziende all’estero stanno aggiungendo giorni di ferie, come LinkedIn o Twitter, oppure stanno dando extra bonus da spendere in servizi di welfare. Questa tendenza fa ripensare i modelli organizzativi italiani, a volte ancora incentrati su schemi vecchi che non trovano il favore soprattutto dei giovani, che rappresentano il futuro di un Paese.

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  • Claudia |

    Molte persone che lavorano in remoto, per lo più giovani, hanno innanzitutto la possibilità di scegliere dove e come lavorare. Esistono ad oggi posti, uffici condivisi, hub, persino “smart” bar (pure in Italia), luoghi chiamati co-working dove poter lavorare e avere interazione con altre persone. Non solo questi posti sono ubicazione per lavorare e per interagire, per di più si fanno più scambi che in un classico ufficio, si vedono e si conoscono più persone ogni giorno (se si desidera ovviamente) e questo dà la possibilità di ascoltare nuove idee quotidianamente, di creare una rete sempre più ampia, di allargare ancora di più la propria visione del mondo e del lavoro.
    Pertanto, non sono affatto d’accordo. Trovo tutto questo un grande valore aggiunto, da tutti i punti di vista.

  • Alessandro |

    Se togli il lavoro purtroppo, e sottolineo purtroppo, in questo mondo qua è come eliminare l’80% di INTERAZIONE SOCIALE e non è poco. Sto parlando in interazione vera, vis a vis con interscambio reale di idee opinioni immagini fin anche odori e gesti.
    La YOLO generation si ridurrà ad una folla di disadattati, ripiegati su loro stessi, a guardarsi l’ombelico, solitari, pieni fino agli occhi di “comunità” social, complottisti con manie di persecuzione, paure del diverso e dello “straniero” fino ad arrivare a casi patologici da istituto neurologico.
    Se invece hai tanti soldi è diverso…

  • Maurizio |

    Perché questa definizione così tranchant: “Una umanità che non si rende più conto che vivrà per finzione”? Certo, se ci si ferma alla superficie dei fenomeni sociali o se si guardano con gli occhi rivolti alle spalle, si rischia di perdere quel che di positivo c’è e potrà esserci nel metatarso o, comunque, in una “nuova” realtà fatta anche di elementi “virtuali” come, appunto, un proprio avatar. Si pensi solo, una per tante altre positività, al fatto che ci si potrà muovere e interagire con colleghi in un ufficio virtuale, facendo anche delle importanti riunioni, senza muoversi da casa propria e quindi senza incidere sul traffico, riducendo così l’inquinamento, e senza perdere tempo in auto per un inutile e dispendioso via-vai casa-ufficio-casa. Tutto tempo da dedicare maggiormente, invece, proprio a quelle “interazioni sociali” del mondo “reale” o, comunque, a tutto ciò che da benessere psico-fisico. Del resto la maggior parte dei giovani sa bene quel che vuole nel mondo “reale”, tant’è che si sta già parlando di YOLO Generation.

  • Giovanni Tomei |

    Peccato che il benessere si è ridotto a vivere d’istinto affogando la ragione nel metaverso. Una umanità che non si rende più conto che vivrà per finzione.

  • Francesco |

    Sono interessato per curiosità.
    Saperne di più oggi è fondamentale.
    Grazie

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