Parto, il rischio del trauma e l’importanza di riappropriarsi del proprio corpo

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“Pensavo di aver avuto un parto tutto sommato positivo, ma adesso che sono in attesa del mio secondo figlio tutte le sensazioni, il dolore e la paura del primo parto sono tornate a galla, nonostante i sette anni passati.”

“Ancora oggi, a distanza di 7 mesi mi viene da piangere se penso alle ‘torture’ subite per non aspettare che la natura faccia il suo corso.”

“Ho avuto un parto brutto, sofferto, e la gioia indiscussa dell’aver dato alla luce mio figlio non potrà mai cancellare la paura che ho provato, che non dimenticherò mai e che pochissime persone hanno forse solo in parte compreso. Milioni di donne partoriscono ogni giorno ed ognuna di noi è sola.”

Che cos’è un parto traumatico? Ci possono essere molti modi per definire il trauma, possono essere legati alle ragioni cliniche, oppure alle sensazioni provate dalla donna nel corso del travaglio. Le testimonianze sopra, sono solo alcuni dei tanti commenti in calce a un articolo pubblicato su Alley Oop risalente a due anni fa. Un articolo che ancora oggi raccoglie testimonianze e letture, a dimostrazione della necessità di tante donne di cercare risposte, di sanare i propri dubbi. Perchè uno dei problemi maggiori dei traumi da parto, è che molto spesso le donne non sono nemmeno in grado di riconoscerli. Accade frequentemente infatti che si trascinino per anni le sensazioni di disagio e paura legate al parto, con una sofferenza molto profonda che le accompagna anche nell’accudimento del bambino, e nei casi più gravi può complicare il legame di attaccamento. Perchè succede questo? Perchè per le donne è tanto difficile riconoscere i segnali di disagio legati ai traumi da parto, parlarne, affrontarli, trasformarli?

Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha emesso le nuove raccomandazioni per stabilire gli standard globali di assistenza per la salute in gravidanza e la riduzione di procedure assistenziali non necessarie. Si parla di woman-centred philosophy. “Ogni travaglio è unico e progredisce a ritmi differenti” si legge nel documento. Un concetto che alle donne stesse è lampante, come scrive infatti nella sua testimonianza Chiara: “Il personale medico dovrebbe ricordare l’aspetto umano del parto, che ha tempi e modalità talmente differenti e imprevedibili che non possono essere imbrigliati in turni e sale occupate”.

Un parto positivo è possibile e dovrebbe essere normale” racconta ad Alley Oop Cecilia Antolini, fondatrice assieme a Silvia Dalvit Ménabé, neuroscienziata, del progetto “Il parto positivo”, programma di formazione e piattaforma di informazione, con un libro in uscita a maggio per Mondadori. “Ci sono evidenze scientifiche che hanno messo in seria discussione le pratiche considerate normali fino a una manciata di anni fa. Un esempio banale: l’epilazione del pube. Non esiste nessuna evidenza scientifica dell’utilità di questa pratica, e simbolicamente ha a che fare con un’infantilizzazione della donna, funzionale a mantenerla in una posizione di delega”. 

È questo principio di delega che rende sempre più spesso il parto un’esperienza alienante. Tra le varie testimonianze raccolte, Federica scrive: “Sono stati tutti bravissimi, il mio trauma è l’essermi sentita inadatta, incapace e così terribilmente vulnerabile”. Federica racconta quindi un evento in cui sembra che lei non sia stata attrice protagonista. Sembra quasi che siano stati gli altri a partorire, dottoresse, ostetriche, chiunque fosse presente, tranne lei, che invece era spaventata, dolorante e incapace. Sensazioni che sotto un certo aspetto sono normalissime nel corso di un parto ospedalizzato e medicalizzato così come sono i parti che conosciamo. Perchè ciò che accade molto spesso è che le donne siano totalmente private del ruolo attivo e protagonista di un evento così importante nella vita sessuale femminile. E questo comincia molto prima, già durante la gravidanza. 

Continua Antolini: “Penso che ci sia un fraintendimento alla base riguardo alla gravidanza. Quando comincia una gravidanza, ci si ritrova archiviate alla voce malate/rischio/pericolo. I cambiamenti che avvengono nel corpo della donna sono definiti più come sintomi, e quindi legati all’idea di malattia, piuttosto che come caratteristiche di uno stato sano e naturale. La vulnerabilità fisica, emotiva e psicologica, si traduce in una sensazione di errore potenziale nella gravidanza. Abbiamo interiorizzato che gli altri devono fare qualcosa per salvarci da questo senso di errore. In realtà gli ormoni in un parto fisiologico fluiscono nella donna verso un forte senso di potenza e  conquista. Riappropriarsi dell’esperienza del corpo vuol dire chiedere un modo di essere assistite degno della nostra epoca, in cui il privilegio dell’assistenza e della scienza medica possono e devono dare un apporto di protezione e non di controllo”. Senza dimenticare che un’assistenza più razionalizzata e rispettosa porterebbe un enorme beneficio in termini di costi anche al sistema sanitario nazionale. Per esempio, secondo l’OMS, il tasso di cesarei e induzioni non dovrebbe essere superiore al 10-15%, mentre in alcune regioni italiane si tocca la soglia del 40%. Inoltre, quando il tasso di cesarei in regioni in via di sviluppo raggiunge il 10%, vi è un calo in mortalità materno-infantile, cosa che non accade quando si sale oltre il 15%. In pratica, più cesarei non vuol dire più vite salvate.

Più il parto è disturbato” continua Antolini “più l’effetto di innamoramento legato al flusso ormonale è interrotto. Noi siamo un corpo e un cervello mammifero. Oltre alla parte di cervello che abbiamo solo noi esseri umani, sede ad esempio del linguaggio e della logica, c’è il sistema troncolimbico, il cosiddetto cervello rettiliano, molto più antico. Nel cervello dei mammiferi femmina, vedere un figlio che sta bene procura una scarica di dopamina che viene percepita come un premio: un piacere intenso e fortemente motivante, paragonabile a quello provocato dalla cocaina. Un effetto di cui beneficiano tutti i mammiferi, garantito dal flusso ormonale. Questo cervello antico è anche quello che comanda il parto. Conoscerlo e lasciarlo lavorare è un po’ la sfida della nostra società, ma è difficile far sì che si attivi se il parto è estremamente razionalizzato. Questo può condizionare in seguito tutta l’esperienza del post parto, dal  benessere della mamma allo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino”.

Cosa vuol dire che il parto è estremamente razionalizzato? Da quali segnali possiamo rendercene conto? Spiega Antolini: “Se una donna si è sentita trattata più come un corpo che come una persona, se prova un timore reverenziale verso gli esperti, se non si sente libera di esprimere le sue sensazioni e i suoi bisogni in sala parto, se sente di non essere stata all’altezza, sono segnali. E questa è una relazione che si comincia a costruire dalla gravidanza, quando ti trattano come un numero e non come una persona, quando la scadenza è più importante di come ti senti tu. Sono tutti meccanismi che possono condurre la donna a una posizione di delega e a riportare un vissuto depotenziato”. 

Nel mondo anglosassone, stanno aumentando le coppie che scelgono di partorire in casa. Anche in Italia si è riscontrato un leggero aumento nel 2020, forse complice la pandemia e la solitudine ospedaliera delle partorienti. Può essere una risposta? Di sicuro è una statistica che non va ignorata. Dietro potrebbe esserci infatti una richiesta ben precisa: il rispetto di questo evento fisiologico in un contesto ospedaliero. Conclude Antolini: “Tutte e tutti, con e senza figli, in ospedale e non, dobbiamo parlare in un modo diverso del parto. Dobbiamo iniziare a raccontare una storia in cui al centro non sono la paura e i protocolli, ma le mamme con i loro bambini”.

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  • Eliana Rossella |

    Woman centred philosophy . Una nuova cultura del materno e del femminile. Nella mia esperienza di madre e di doula la sacralità del venire al mondo può e deve ritrovare il suo spazio. Tutto cambia una nascita alla volta!!

  • gaudenzia caselli |

    molto interessante questo articolo. Da più di trent’anni si parla di questo tema e ancora molti ospedali assistono in modalità medicalizzata anche i parti fisiologici. La donna e le sue preziose risorse non contano come protagoniste, le si invita a delegare, ingannandole e convincendole che il parto è una malattia che va curata con l’aiuto di medici, macchine, farmaci, procedure invasive, molto invasive e dolorose, sia sul piano fisico che psicologico. Non si immagina che possa trasformarsi in un trauma.

  • Diana |

    Complimenti per questo articolo. Ho partorito un anno fa o meglio… Mi hanno estratto mia figlia un anno fa… E ancora non riesco a mandare giù la sensazione di impotenza che ho provato in ospedale…

  • Nicola Marcello Fusco |

    SONO SUPER D’ACCORDO CHE OGNI PARTO E DIFFERENTE DA UN ALTRO ,
    CHE LA GRAVIDANZA NON è UNA MALATTIA E CHE IL PARTO E’ DELLA DONNA DELLA MAMMA .
    MA SE IN OSPEDALE NN C’E’ IL CENTRO NASCITA MA LE DONNE GRAVIDE ARRIVANO UGUALMENTE MESSE IN CODICE ROSSO E PARTORISCONO IN CODICE ROSSO DEL PRONTO SOCCORSO .NE VOGLIAMO PARLARE ?

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