Il racconto di formazione a fumetti: dal Medioevo di Gipi ad Anaïs Nin

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Quando avevo 17 anni il mio professore di italiano, nell’andare in pensione, mi regalò una copia di Jane Eyre. Pensai che fosse un bel gesto, ma che quel libro non c’entrasse nulla con me, figlia del grunge e della periferia, cosa potevo mai condividere con una delle solite orfane infelici e sfortunate che al massimo potevano realizzarsi con un buon matrimonio, di cui era piena la letteratura? Invece divorai quel libro, con una fame che cresceva a ogni pagina, completamente assorbita da quella ragazza, dalla sua forza, dal suo viaggio senza ritorno verso una meta che era la stessa identica cui tendevo anch’io. La scoperta di se stessi, dell’autenticità e del mistero di ciò che sta sotto le aspettative. Il mio professore sapeva fare il suo lavoro e aveva scelto il libro giusto, conosceva la potenza di quella letteratura che abbiamo incasellato nella definizione di “romanzi di formazione”.

Ci siamo passati tutti, abbiamo viaggiato tutti tra i romanzi di formazione, e non solo una volta. Da Goethe e Stendhal, da Salinger a Murakami, da Kerouac a Tabucchi, fino a Pinocchio e alla Capinera. Il romanzo di formazione ha una storia di secoli durante i quali è profondamente mutato, ma mantenendo una funzione che non si esaurisce mai: farsi voce dei tempi e delle umanità che li attraversano, in modi sempre più complessi. Un romanzo di formazione non è altro che un viaggio accanto a un individuo per osservarne la crescita, le epifanie e le ferite, le miserie e le speranze, in un luogo che è sempre lo specchio dei drammi di un’epoca. L’epoca di chi scrive, che per i corsi e i ricorsi della storia diventa anche l’epoca di chi legge.

Oggi, in questo ventunesimo secolo in cui tutte le complessità ci stanno esplodendo addosso mostrandoci quanto poco abbiamo compreso del mondo in cui viviamo, forse lo strumento per raccontare la formazione di un’anima deve essere per paradosso più semplice e immediato. Un fumetto, potrebbe essere la risposta. Perché no, visto che nell’evoluzione del fumetto, nella graphic novel, la lettura offre una stratificazione in cui i diversi livelli di lettura attivano quell’attenzione necessaria per osservare da diversi punti di vista la realtà. Bastano poche pennellate per raccontare il mistero di un personaggio e far scattare nel lettore quella complicità nella costruzione della storia a cui aspira ogni autore.

E nel delineare i tratti di un personaggio con pochissimi elementi è maestro Gipi, che con “Aldobrando” viaggia nel passato, costruendo un racconto di formazione ambientato in un Medioevo fantastico con tanto di di streghi, principesse orfane e duelli. Il protagonista attraversa una serie di prove in cui mantiene un saldo senso di giustizia e amore per il prossimo, mentre tutti i personaggi intorno a lui possiedono due anime: una dolce e sensibile, l’altra brutale ed egoista, e sarà proprio la tridimensionalità di questi incontri a offrire ad Aldobrando una visione nuova e profonda del mondo che lo circonda, insegnandogli a riconoscere i propri sentimenti e desideri più autentici. Gipi in quest’opera per la prima volta lavora solo sulla sceneggiatura, mentre affida i disegni a Luigi Critone. Ma la sua scrittura è riconoscibilissima, asciutta, essenziale, oggettiva. Il viaggio di Aldobrando, come nella tradizione del racconto popolare è un vero e proprio viaggio alla ricerca di un oggetto misterioso e miracoloso. Ma si conclude con una doppia rivelazione: da una parte scopre le carte proprio di quegli stilemi del racconto popolare, dato che quell’oggetto misterioso non esiste nel mondo reale, e dall’altra parte segna l’ingresso nel mondo reale da parte di un Aldobrando più adulto, consapevole e capace di scegliere.

Ma cosa succede quando ogni possibilità di scelta è estirpata alla radice? Quando si vive in un contesto coercitivo e di prigionia, tanto più se si è bambini e quindi in quell’età in cui la libertà è il requisito essenziale per trovare il proprio posto nel mondo e imparare a conoscersi? In questo contesto nasce il racconto “Haiku siberiani” delle lituane Jurga Vile e Lina Itagaki, tradotto da Adriano Cerri per Topipittori. Si tratta di una graphic novel per bambini, che affronta con estrema delicatezza e poesia la verità storica della deportazione, narrata dal punto di vista dei bambini. 

Algis, il protagonista, si trova in un campo di prigionia in Siberia insieme a tutta la sua famiglia e alla popolazione del suo villaggio, colpevoli di non essersi piegati ai russi e non averne festeggiato l’arrivo al momento dell’occupazione di Estonia, Lituania e Lettonia nel 1940. Vile riporta di prima mano i racconti di suo padre, proprio l’Algis protagonista, costruendo la narrazione attorno all’innocenza di un bambino e al suo stupore di fronte alla crudeltà.

Il coraggio si accompagna alla fiducia, ispirata e nutrita dalle figure adulte che riescono a rimanere un punto di riferimento, conservando e tramandando la memoria di ciò che era la vita prima della prigionia, e di ciò che può tornare a essere. Senza retorica e forzature, i personaggi cercano la poesia e la gioia nel quotidiano: cantare insieme in un coro, mandare haiku ai prigionieri giapponesi del campo accanto, allevare pulcini, mettersi un vestito un tempo elegante, fare musica. Il racconto è a tratti rarefatto e a tratti oggettivo, nella ricerca costante dei personaggi di dare un senso agli avvenimenti. Così si passa da tavole a fumetti tradizionali con vignette quadrate, a splash page, quasi infografiche, riproduzioni che sembrano fotografie, carte conservate in un cassetto, ingiallite e invecchiate, rafforzando quell’idea di trasmissione di una memoria collettiva che ci rende tutti partecipi. 

Le storie collettive appartengono a tutti, ma anche alcune storie individuali, soprattutto se sono storie di personaggi che sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo rivestendo un ruolo quasi archetipico. Così è Anaïs Nin, protagonista della bellissima graphic novel “Nel mare delle menzogne”, di Léonie Bischoff, tradotta da Giovanni Zucca per L’Ippocampo. È una biografia della scrittrice naturalmente, ma una biografia che complica la storia anziché dipanarla, sradicando il personaggio da quel piedistallo museale in cui ci piace collocarla con tanto di etichetta, per addentrarsi tra le ombre della sua storia. Il tratto è multicolore, crea atmosfere oniriche, sensuali, difficile percepire i confini, se ne esce con la sensazione di conoscere Nin meno di quando si è cominciato a leggere, quasi come si conosce se stessi. 

Bischoff parte dalla banlieu chic francese in cui Nin vive con il marito banchiere, poeta mancato, per condurci a scoprire il percorso che la porta alla consapevolezza artistica: per scrivere liberamente, deve prima di tutto capire chi sia lei davvero, abbandonare le influenze e scoprire la propria autenticità. Solo così potrà trovare la sua scrittura, una scrittura nuova e inedita che cancelli il confine tra vita e letteratura. E poiché ogni storia femminile di scoperta di se stessi non può non essere una storia di emancipazione, quando Nin troverà la sua voce autentica riuscirà a dire: “Ogni uomo che ha letto i miei testi ha tentato di cambiare il mio modo di scrivere. Non mi interessa scrivere come un uomo”. Ecco perché andrà a nuotare proprio lì, nel mare delle menzogne, per trovare la propria verità oltre agli stereotipi, i pregiudizi e le aspettative sociali, proprio come Jane Eyre, ma anche Holden Caulfield, Sal Paradise e tutti i protagonisti della letteratura che abbiamo amato perché ci hanno insegnato a conoscere meglio noi stessi.

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Titolo: “Aldobrando”
Autore: Gipi e Luigi Critone
Editore: Coconino Press, 2020
Prezzo: 24 euro

Titolo: “Haiku Siberiani”
Autrici: Jurga Vile e Lina Itagaki
Traduttore: Adriano Cerri
Editore: Topipittori, 2019
Prezzo: 16 euro

Titolo: “Anaïs Nin – Nel mare delle menzogne”
Autrice: Léonie Bischoff
Traduttore: Giovanni Zucca
Editore: L’Ippocampo, 2021
Prezzo: 19,90 euro

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