“Il lavoro editoriale è un lavoro lento, artigianale. La nascita di un libro richiede cura”. Maura Gancitano, oltre a essere un’editrice, è anche un punto di riferimento culturale per il suo attivismo con il progetto Tlon, e non sorprende che parli con tanta attenzione dei principali strumenti e veicoli di trasmissione culturale: i libri. Dal 2016 Tlon è diventata anche casa editrice, sotto la direzione editoriale di Gancitano e del suo compagno di vita e professione Andrea Colamedici. Ma Tlon è nato qualche anno prima, nel 2014, fondato sempre da loro con Nicola Bonimelli.
Progetto di divulgazione culturale, casa editrice e libreria teatro, Tlon è un’esperienza innovativa che ha saputo costruire una grande visibilità grazie anche alle capacità comunicative dei due fondatori, che hanno scelto di esporsi in prima persona sui social e i mass media per diffondere la loro idea di cultura. Un’idea profondamente legata alla filosofia e a una visione spirituale di fioritura personale, grazie al suo immenso potere. Spesso una delle critiche che viene mossa a Tlon è proprio quella di essere sovraesposta dal punto di vista mediatico. Ma ammesso che sovraesporre la filosofia e la cultura sia un danno non si sa bene a chi, si dimentica troppo facilmente che dietro a un progetto culturale di tale portata c’è studio, competenza, passione. “La mia dimensione naturale è il workshop di 8 ore, la conferenza di 3 ore – spiega Gancitano – e in realtà soffro molto sui social. Quando criticano in particolare la mia capacità di comunicare, come se fosse un demerito, mi dispiace anche perché non si vuole capire tutto il lavoro che c’è dietro”.
Entrando nel merito del progetto #donnedieditoria, con cui vogliamo raccontare il lavoro delle donne nel settore, quali sono gli step e le difficoltà che incontra una casa editrice indipendente come la vostra?
L’ideazione anzitutto: una casa editrice indipendente deve avere una linea chiara, non può avere un progetto generalista né puntare su una grande concentrazione editoriale. Io credo che in Italia ci siano molti temi su cui non si pubblica e altri su cui ci sono fin troppi libri gemelli: un progetto editoriale nuovo dovrebbe partire da questo, dal capire intanto cosa si vorrebbe leggere, quali testi che si trovano solo in altre lingue si vorrebbero vedere pubblicati. In secondo luogo c’è una difficoltà pratica. Se ci si concentra solo su questi aspetti idealistici si tralascia l’altra metà del lavoro editoriale, fatta di scadenze, burocrazia e amministrazione. In Italia è facile trovare formazione sul lavoro di redazione e ufficio stampa, un po’ più difficile formarsi come editore o editrice. Per esempio, inizialmente il potere contrattuale col distributore è bassissimo, e a meno che si parta con grandi capitali bisogna ragionare bene sul bilancio. Noi inizialmente ci siamo focalizzati non tanto sul guadagno ma sull’andare in pari, con due aspetti principali: non accumulare debiti e giostrarsi con le lunghe tempistiche che passano tra l’acquisizione dei diritti di un libro straniero e i primi effettivi guadagni che può portare. Un tempo che può essere di due anni.
Che cos’è la cura editoriale di cui parlava? Come nasce un libro di Tlon?
Un libro è un’opera che deve emergere. Chi lavora con noi nella redazione e nell’editing ha una formazione editoriale classica e ha interesse a lavorare in un certo modo. Se nelle grandi case editrici si esternalizza gran parte del lavoro editoriale, per noi cura editoriale significa far nascere il libro nella casa editrice, discuterne, seguirne lo sviluppo passo passo. Non si tratta di fabbricare prodotti tutti uguali. Per esempio nel 2020 abbiamo pubblicato solo nove libri, pochissimi. All’inizio pubblicavamo 2 libri al mese, poi siamo passati a 13-14 l’anno. Sentiamo molto ogni libro e questa è la nostra dimensione. Spesso non si percepisce quanto lavoro ci sia dietro. Per esempio, la pubblicazione di “Fat shame” (2020) nasce da una ricerca iniziata per l’esigenza di parlare di queste tematiche: abbiamo letto una grande quantità di libri sull’argomento, principalmente anglofoni, alla ricerca del testo più giusto da pubblicare, fino all’acquisizione dei diritti, e poi la traduzione, la comunicazione, l’immagine di copertina (illustrata da Belle di faccia, attiviste sul tema della grassofobia, ndr). C’è un gran lavoro dietro, ma essendo un lavoro culturale molto spesso non viene percepito come tale. L’impresa culturale è un’impresa, e come tale deve essere sostenibile, soprattutto se vuole essere indipendente.
Prima di essere un’imprenditrice lei è una filosofa: quanto ha inciso la sua formazione filosofica sul suo modo di inventarsi anche imprenditrice?
Sono appassionata di editoria da quando avevo 15 anni e organizzavo eventi culturali nella città dove sono cresciuta, Mazara del Vallo. Ho sempre avuto la volontà di creare occasioni, incontri. Negli ultimi anni con Tlon ho trovato il ponte tra la formazione filosofica e l’istinto per la relazione e la comunicazione, nonostante l’aspetto della comunicazione umanistica manchi molto nelle università italiane. Quello che sicuramente mi arriva dalla formazione filosofica è la capacità di riflettere criticamente, in questo caso sugli strumenti di comunicazione. La mia formazione poi è di teoria politica liberale. Ciò che mi interessa è creare dialogo tra persone con posizioni diverse. Non capisco lo scontro, ed è la ragione per cui mi occupo di odio in rete. Capisco perché incontrarsi, dialogare, dibattere su posizioni diverse. La ragione per cui ho cominciato a parlare di alcuni argomenti, era per diffonderli, dietro non c’era nessun intento provocatorio. Mi sono resa conto di essere provocatoria mio malgrado, di essere considerata disturbante. Questo è dovuto ai condizionamenti: per il solo fatto di essere donna e di non aspettare il permesso per parlare, sono disturbante.
Dal momento che lei lavora accanto a un uomo, e ha creato Tlon con due uomini, ha mai rilevato una differenza nel vostro modo di affrontare l’impresa o nel modo in cui all’esterno vi percepiscono e si confrontano con voi, dovuta al genere?
Ho iniziato a rendermi conto dei condizionamenti quando sono diventata madre. Prima ero percepita come una donna indipendente che viaggiava da sola. Quando sono diventata madre mi sono resa conto che per alcune persone all’esterno ero una mamma. La mia identità personale naturalmente era più complessa, a posteriori anche più complessa dell’etichetta di intellettuale che mi avevano cucito addosso prima. Quando abbiamo iniziato a pubblicare libri a quattro mani con Andrea (Colamedici, ndr) spesso nominavano solo lui come autore. Agli eventi davano il microfono ad Andrea. Ci siamo resi conto che quando ci si presenta come coppia la donna sembra che sia lì per accompagnare. Questa è stata la ragione per cui ho fatto un passo avanti. Ero molto arrabbiata, e volevo rendere questa rabbia creativa. Ho capito che era importante stare in prima fila, e dal momento in cui il fastidio non è stato più solo mio, il percorso di trasformazione è stato interno e ci ha coinvolti tutti. La linea editoriale è diventata più chiara, certi bisogni sono diventati più chiari. Oggi tutte le persone che lavorano in Tlon, e molte sono donne, collaborano attivamente, hanno una visione del mondo inclusiva e sono molto consapevoli della discriminazione di genere.
Come descriverebbe il suo essere “donna d’editoria”? Quale differenza pensa che faccia?
Che una donna sia editrice ha un valore politico. Come provoca fastidio che una donna prenda la parola senza chiedere il permesso, così è anche se fa l’editrice, non come manager, ma come ideatrice di un progetto editoriale. Allo stesso tempo, per altre persone, questo dà la spinta per agire. Ed è una cosa importante, anche perché noi non abbiamo mai pensato di avere il monopolio su certi temi, anzi io dico sempre che ci sono molte donne in Italia che si occupano di filosofia meglio di me, ma stanno aspettando il permesso. Che non arriverà mai. Io vorrei che le filosofe emergessero, o che donne che fanno le redattrici editoriali o le editor facessero le editrici. Ci sono tante donne nell’ambiente editoriale, ma tanti talenti inespressi. Non è un problema solo di numeri. È un problema di salute mentale, di frustrazione. Il fatto che io lo sia spero che sia il segno che si può fare. Non un’eccezionalità, ma un percorso realizzabile.
Lei e Andrea Colamedici siete anche genitori di due bambini, un maschio e una femmina. Quanto è difficile crescere bambine e bambini liberi dagli stereotipi?
Molto. Durante le presentazioni di “Fat shame” mi sono resa conto che i miei figli consideravano “magro” un complimento e “grasso” un insulto. Lo avevano assorbito dai cartoni animati. I condizionamenti limitanti arrivano da zii, zie, nonni, insegnanti, dai bambini stessi. Certo la genitorialità sta cambiando, ci sono sempre più genitori che si domandano come non essere oppressivi nei confronti dei figli. Noi cerchiamo di moltiplicare le storie, educare alle storie, lasciando che emerga la personalità di ciascuno. Non si tratta di indottrinare con concetti complicati, quanto di ampliare lo spettro delle storie raccontate, e in questo aiuta molto l’editoria oggi. Ma soprattutto cerchiamo di ascoltare i bambini: i figli non sono tutti uguali e il genitore non li deve modellare. La genitorialità è una relazione con delle persone, per millenni non ce ne siamo resi conto. Occorre parlare, ascoltare, aiutarli a trovare le parole per dire quello che vogliono esprimere. Fare in modo che non si sentano sbagliati per ciò che provano, a causa dei condizionamenti.
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“Donne di editoria” è un viaggio a puntate di Alley Oop, ideato e curato da Manuela Perrone, tra le professioniste che a vario titolo lavorano nel settore dei libri: editrici, libraie, scrittrici, bibliotecarie, comunicatrici, traduttrici. Tutte responsabili, ciascuna nel proprio ambito, di disegnare un pezzo importante del nostro immaginario e della nostra cultura.
Qui la prima intervista alla libraia Samanta Romanese.
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