Storie di figli diversi dai genitori

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Un figlio è il prodotto di due genitori. Non sempre però i genitori somigliano al proprio figlio. Il colore della pelle nel caso di un figlio di coppia mista, i gusti sessuali nel caso di un figlio omosessuale, la disabilità in quello di genitori normodotati. E’ da queste considerazioni che ho deciso di dar vita al progetto Figli ≠ Genitori, Raccolta di storie di figli del presente, Guida al genitore del futuro.

lidia-carew-e-cesareSono Lidia Carew, ballerina professionista, performer e attrice e da novembre sono diventata mamma di Cesare, anche lui un “figlio nel mezzo” come li definisco io. Cesare ha mamma nera e papà bianco. Dopo un lungo percorso che mi ha visto anche lasciare l’Italia alla ricerca di me stessa e delle risposte che non riuscivo a trovare, finalmente oggi posso dire di essere una donna consapevole e preparata, forse anche nel nuovo ruolo di genitore. Ho cercato risposte alle domande che io stessa mi sono sempre posta e alle quali adesso sono riuscita a dare un senso più ampio con la docu-serie Figli ≠ Genitori, una raccolta di video che, da luglio, ha popolato il mio account Instagram e che rappresenta un progetto di educazione alle diversità.

Sono clip da 5-6 minuti con l’obiettivo di ispirare le persone a condividere le proprie storie di figli diversi dai genitori. Ho voluto dare voce ai figli in modo che il punto di partenza fossero loro perché i racconti in prima persona portano con sé vissuti e temi diversi. Ho imparato che conoscere ed essere consapevoli delle proprie differenze rispetto allo standard creato dalla società, è importante perché è il primo step per affrontarle, accettarle e non vederle come ostacoli. Mi sono resa conto che io stessa sono stata vittima dell’etichetta che la società ha voluto per me e che io non mi ero scelta. Qualcuno esterno a me aveva deciso come classificarmi “italiana nera” o “figlia di madre bianca e papà nero“, nonostante per me non fosse importante farlo e non appartenesse alla carta di identità che volevo raccontare di me stessa. Se un’etichetta non è importante per noi, non deve esserlo neanche per gli altri.

La direzione in cui va il progetto è proprio questa: accettare che l’identità dei figli non sia qualcosa di etichettabile. I miei punti di partenza e le questioni sulle quali si deve ancora lavorare sono il vocabolario, eliminando proprio quelle etichette che la società crea per classificare ciascun individuo, influenzandolo, e la creazione di modelli di riferimento positivi in cui potersi riconoscere.

lidia-carew_1La prima video-storia che ho voluto pubblicare è la mia, con la mia voce, la mia immagine e le mie fragilità. Ho raccontato di un lungo viaggio iniziato nella provincia di Udine dove sono nata e cresciuta ma soprattutto dove sono tornata, dopo aver vissuto sette anni a New York e a Los Angeles, con la consapevolezza che per aiutare gli altri a vincere lo stereotipo culturale dovevo ripartire dalla conoscenza di sé. Il disagio che ho avvertito negli anni dell’adolescenza, più che per il colore della mia pelle, era per le risposte che non ho mai ricevuto dalla mia famiglia, dai miei genitori. Risposte e confronti, non soluzioni, perché siamo tutti ugualmente impreparati a fare il genitore, non c’è alcun manuale. Però ciò che non è più accettabile è l’essere impreparato ai temi della diversità, un territorio ancora oggi spesso sconosciuto.

Questa sorta di ignoranza da parte dei genitori che si trovano nelle condizioni di avere figli diversi da loro, non può più essere accettata. Nel mio caso è stata la questione della pelle. Se mia madre o mio padre avessero avuto gli strumenti per potermi rassicurare o per poter affrontare e trattare le mie insicurezze, sicuramente il mio percorso di presa di consapevolezza di chi sono sarebbe stato diverso. Io sono stata una “figlia nel mezzo” perché mulatta, ma nelle storie che vengono raccontate nel progetto ci sono figli gay che hanno gusti sessuali diversi dai propri genitori o figli disabili che non usano il proprio corpo come lo usano mamma e papà.

Le storie che ho raccolto non sono però fuori dal comune, raccontano argomenti quotidiani di figli che ne rappresentano molti altri. Il progetto ha avuto le risposte che mi aspettavo ed è stato capito. La risposta migliore che ho ricevuto durante questo percorso è stato infatti il feedback di chi si riconosceva in quelle storie e che finalmente si sentiva compreso e rappresentato e quindi più forte. Per questo motivo, ho deciso di raccogliere altre storie per la seconda edizione perché sono convinta che solo la costante condivisione e il confronto possano portare a cambiamenti positivi.

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Chi volesse condividere la propria storia può farlo contattandomi tramite il mio account Instagram @lidia.carew o visitando il sito www.lidiadice.com