Smart working, servono regole nuove per non rimanere schiacciati dal superlavoro

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Quanta voglia di “smart working” avevamo prima del lockdown? Quanto ci incuriosiva questa possibilità di lavorare da casa con (all’apparenza) più tempo libero? E oggi com’è la situazione?

Quello che la maggior parte di noi, diciamolo, sta sperimentando dall’inizio della pandemia ad oggi non è un vero e proprio smart working, ma una sorta di telelavoro privo di regole e confini, in questo periodo gli studi e le ricerche sul tema ‘lavoro da casa’ unito al confronto avuto con amici, colleghi, clienti e fornitori che si occupano di risorse umane ha evidenziato pareri anche molto distanti. C’è chi non tornerebbe indietro e non ha nessuna nostalgia delle sale riunioni, chi al contrario ricorda persino i profumi dell’ufficio e i sapori della mensa, così come chi non riesce più a entrare nella stanza di casa dove c’è a postazione lavoro (che nella stragrande maggioranza dei casi non è una stanza ad hoc) senza provare un forte fastidio.

Il confondere ambienti domestici, legati alla propria intimità familiare e di vita quotidiana, con ambienti professionali ha un inevitabile impatto sugli umori di ognuno di noi. Così come troviamo persone tutt’ora innamorate della possibilità di non muoversi dal letto per svolgere il proprio lavoro, allo stesso modo ne incontriamo altre che non vedono l’ora di riprendere una vita in cui i confini tra professionalità e vita privata vengano ristabiliti anche negli spazi.

A distanza di quasi un anno dal primo lockdown, accanto ad esperienze positive in cui i lavoratori hanno trovato una nuova e piacevole dimensione, per altri le difficoltà più nascoste del lavoro a distanza stanno venendo alla luce.

E’ così, ad esempio, che proliferano definizioni come south working, beach working, mountain working. Uno dei maggiori disagi, infatti, pare proprio per un terzo degli italiani quello di lavorare da casa, così si sono cercate delle alternative: c’è chi è tornato nel paese di orginine, chi si è trasferito nella seconda casa al mare o in montagna. La tendenza è stata rilevata da molti osservatori universitari (Politecnico di Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore per citare alcuni esempi), che hanno messo in luce come il proprio “nido domestico” sia per molti uno dei posti “meno amati” per svolgere la propria professione.

Certo contribuisce a questa avversione un limite concreto: la condivisione forzata degli spazi di casa con il resto della famiglia. Figli che seguono le lezioni a distanza, coniugi in smart, genitori anziani con le loro abitudini non aiutano la concentrazione. Per non parlare di quando è necessario condividere computer, tablet e connessione internet. Mentre alcuni studenti festeggiano per la caduta di linea durante le interrogazioni, va riconosciuto che la perdita di feeling con un cliente al momento della chiusura del contratto, se causata da mancanza di connessione, a lungo andare può minare fortemente la “tranquillità mentale” anche di un commerciale esperto!

Questa commistione continua fra lavoro e famiglia ha fatto saltare poi anche i migliori equilibri di work-life balance costruiti negli anni. La confusione tra spazi di lavoro e di vita privata e il sovrapporsi degli orari lavorativi a quelli da dedicare a se stessi e ai propri interessi, infatti, non facilita la capacità di mantenere un buon equilibrio vita-professione. Al contrario spesso si ricade nella trappola del superlavoro finendo per dedicare moltissime ore all’attività professionale a discapito degli equilibri personali e familiari. I pc restano accesi 24 ore al giorno, si risponde a mail e messaggi anche durante il pranzo o nelle ore serali e le telefonate e le call sforano facilmente.

La necessità di disconnettersi dall’attività lavorativa allora ritorna ad essere un tema a cui prestare particolare attenzione per evitare di incorrere in rischi per la nostra salute, fisica ed emotiva. Sarà questo un tema che da individuale diventerà necessariamente aziendale, nel momento in cui sarà rivista la normativa sullo smart working e le imprese dovranno riscrivere anche le loro policy interne.

Siamo, quindi, sempre con qualcuno, durante la nostra giornata lavorativa casalinga, eppure uno dei contro dello smart working è innegabilmente la solitudine. La mancanza di un incontro dal vivo e di interazioni con colleghi e capi ci ha tolto non solo il confronto diretto professionale, ma una serie di piccole e grandi relazioni che costellavano le nostre giornate: dalle battute in ascensore al saluto veloce nei corridoi, dalla pausa caffé con qualcuno di fiducia al pranzo con clienti o controparti. Non esistono più sorrisi, pacche sulla spalla, chiacchiere di cortesia e confronti accesi.

I demoni dello smart

I problemi non sono solo nostri. A livello globale si sta affrontando una situazione inedita, i cui rischi in un recente articolo del World Economic Forum vengono sintetizzati con l’evocativo acronimo DEMON: Device Addiction (dipendenza dai dispositivi elettronici), Eye Strain (sforzo visivo), Mental health (salute mentale), Obesity (obesità), Neck and back pain (dolori al collo e alla schiena).

La D di device addiction, se da un lato sottolinea come l’uso dei dispositivi elettronici abbia certamente permesso di continuare a lavorare, studiare e comunicare in periodi in cui non era possibile muoversi da casa, dall’altro evidenzia quanto lo spostamento dal mondo fisico a quello digitale abbia anche un prezzo: dipendiamo sempre di più dai nostri device elettronici. La paura di non essere raggiungibili tramite cellulare o pc (normophobia) è tornata al centro delle ansie del 2020 e soltanto un reale detox digitale, che comprenda la disconnessione dagli smartphone, potrebbe aiutarci a “resettare” le nostre abitudini.

Le difficoltà visive caratterizzano la lettera E di eves strain. I problemi legati all’uso dei videoterminali non sono certo nuovi per gli esperti di sicurezza sul lavoro, ma siamo proprio sicuri, ad esempio, che a casa le condizioni di lavoro siano adeguate e che si prendano le corrette pause nei giusti tempi?

La salute mentale (la M di DEMON) dei giovani studenti e dei lavoratori è sicuramente stata influenzata dalla forzata assenza di contatti reali e dallo stress provocato dalla poca preparazione a un cambiamento così repentino. Come non cedere in questa trappola? Qualche semplice accorgimento può aiutarci: adottare un ritmo giornaliero simile a quello che si aveva con la normale routine pre covid; limitare l’esposizione alle fake news o alle notizie esageratamente negative; rimanere concentrati sulle proprie priorità, sugli impegni e sulla capacità di coltivare le proprie passioni.

Se stiamo a casa ci muoviamo poco e non abbiamo occasione di fare neanche quel “moto involontario” della passeggiata per andare a prendere i mezzi o per arrivare all’auto. Basta mettersi al polso un contapassi per sapere che ci sono giorni in cui ne facciamo meno di mille in 24 ore. In più, con la cucina a portata di mano, spesso si riempiono i vuoti con cibi e bevande. Per questo tra le controindicazioni è segnalata l’obesità (la O di DEMON). Mantenere uno stile di vita attento da un punto di vista alimentare e trovare nuove modalità di allenare il proprio corpo diventano quindi essenziali, soprattutto per coloro che già soffrono di alcune patologie.

Infine, i dolori al collo e alla schiena indicati dalla lettera N (Neck) sono associati al limitato movimento che il lavoro a casa ci impone, come dicevamo, ma non solo. Molto spesso le postazioni di lavoro a casa sono improvvisate e certo il divano o la nostra poltrona preferita non rispettare i criteri ergonomici che la nostra schiena meriterebbe.

Fatta l’anamnesi, bisogna ora trovare la cura. Lo smart working, infatti, non sarà una parentesi della nostra carriera lavorativa ma parte del “new normal” post pandemico. Secondo l’Osservatorio Smart working della School of management del Politecnico di Milano, circa 5,3 milioni di lavoratori continueranno a svolgere la loro attività da remoto per un numero significativo di giorni alla settimana.

A questo punto, in cui il lavoro “da pandemia” sta diventando la normalità, gli aspetti negativi rischiano di prendere il sopravvento su quelli positivi. Per evitare di sprecare un’occasione unica per ripensare modi e tempi del lavoro, al di là dell’emergenza, è il momento allora di smettere di considerare lo smart working una misura di emergenza e di iniziare a fare i conti con un cambiamento strutturale dell’organizzazione del lavoro. Lo farà il legislatore con una revisione della legge in vigore, lo faranno le aziende con nuove policy interne, ma soprattutto lo deve fare ognuno di noi trasformando i “demon” in “angel:

Abbandona i device

Non dimenticare le pause

Guarda e goditi le emozioni

Esercita il fisico e la mente ogni giorno

Liberati dallo stress lasciandoti coccolare dai tuoi affetti