6 spunti per ripartire evitando l’oppressione della fretta di “fare”

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Photo by Andy Beales on Unsplash

“Ho sbagliato più di 9mila tiri nella mia carriera. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte, mi hanno dato la fiducia per fare il tiro vincente dell’ultimo secondo e ho sbagliato. Ho fallito più e più e più volte nella mia vita. È per questo che ho avuto successo”.
Michael Jordan

La serenità e la consapevolezza di chi può permettersi di sbagliare 26 tiri fondamentali, continuando a sentire la fiducia della squadra, sono lontani anni luce dalla frenesia di chi l’ultimo tiro se lo è preso per l’urgenza di dover assolutamente recuperare…e, forse anche per questo, lo ha sbagliato.

In un’estate segnata da carenza di certezze scientifiche e, a livello mondiale, di figure istituzionali che sappiano infondere fiducia verso il futuro, la sensazione più diffusa per tenere a bada incertezza e preoccupazione è quella di dover far qualcosa. Non si sa bene cosa, ma la sensazione è di doverlo fare, e in fretta.

Dopo mesi di lockdown e pandemia dove la maggior parte delle persone dichiara di “aver lavorato più di prima” e di aver facilmente confuso i tempi dedicati a lavoro e famiglia, l’obiettivo dovrebbe esser quello di riprendere consapevolezza sul proprio progetto professionale e privato, evitando di cadere preda delle costrizioni e delle sopraffazioni dell’urgenza e della tirannia della reattività.

Bertrand Russell nei primi decenni del secolo scorso intuì, nel suo “Elogio dell’Ozio”, molti aspetti legati al saper rallentare in modo intelligente, che sono stati ripresi in molte delle attuali teorie contro la frenesia organizzativa degli ultimi anni. E proprio da qui possono arrivare alcuni spunti interessanti.

  1. Avere il coraggio di fermarsi per prendere consapevolezza del nostro percorso e dei ruoli, lavorativi e privati, che stiamo interpretando.
  2. Affacciarsi al domani distinguendo nettamente il concetto di importanza e quello di urgenza.
  3. Guardare in faccia le nostre priorità con strategia e concretezza, avendo la forza di fissarle sulla base della ragione, ma anche e soprattutto delle emozioni.
  4. Difendere sistematicamente le priorità definite imparando ad utilizzare la leva del “no” come rifugio costruttivo e strategico. Questa capacità che ci consente di relazionarci con gli altri e con noi stessi mantenendo la focalizzazione sugli aspetti che producono valore ed evitando le dispersioni di energia.
  5. Essere pronti ad accettare le nostre debolezze e ad affrontare con consapevolezza i momenti di minor lucidità che possono ingannare la nostra percezione della realtà.
  6. Essere attenti a riconoscere i nostri limiti ed i nostri errori ed essere preparati ad intraprendere un processo di miglioramento continuo, incentrato sia sul progetto lavorativo che di vita privata.

Quello che ognuno di noi deve aver chiaro è che non esiste una ricetta assoluta per poter comporre i propri percorsi e riprendere la strada verso i propri obiettivi. Tuttavia, non cadere preda dell’oppressione generata dalla fretta e dalla reattività permette di trovare la modalità più vicina alla propria indole, al proprio modo di essere ed alla propria esperienza per poter disegnare i progetti futuri come avventure verso le quali valga la pena partire.

Questa rifocalizzazione su noi stessi, sui nostri desideri e sui nostri obiettivi può inserirsi anche nel ruolo di guida che ricopriamo verso gli altri. Da genitore a manager, da allenatore a capitano possiamo ispirare e diffondere nei nostri figli, giocatori, compagni o collaboratori lo stesso messaggio di fiducia ed ottimismo verso la ripartenza.

E allora prendiamo spunto dal meraviglioso discorso di Churchill all’inizio della Seconda Guerra Mondiale

“Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo davanti a noi molti, molti lunghi mesi di lotta e di sofferenza. Voi domandate, qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere con una sola parola: la vittoria. La vittoria a tutti i costi. La vittoria nonostante tutto il terrore. La vittoria, per quanto lunga e difficile la strada possa essere, perché senza la vittoria non c’è sopravvivenza”.

Dietro queste parole c’è la forza di un leader che sa trasmettere concretezza e realtà, non chiedendo alle persone di reagire d’impeto, ma trasmettendo la decisione di chi non sta cercando una strada dettata dall’impellenza e dalla reattività, ma una via costruita con visione, strategia e flessibilità che sappia essere concreta ed efficace anche nel lungo periodo.