Scuola superiore, dall’11 gennaio si torna in classe ma non tutti. Ecco cosa pensano i ragazzi

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Non mollare, anzi da qui rinascere. Sono delusi e demotivati i ragazzi di oggi, ma pronti a far valere le proprie idee, ad imparare ancora anche con una scuola a singhiozzo e una didattica a distanza, a costruire un futuro anche quando sembra non esserci prospettiva. Basterebbe ascoltarli per comprendere cosa stanno vivendo e come vedono il loro futuro.

Parliamo di scuola e pandemia da mesi ed è stata passata al setaccio ogni decisione, organizzazione, nuova didattica che il sistema scolastico ha messo in atto in un momento storico inedito. La pandemia è stato anche la cartina tornasole per far emergere criticità, per rendere chiare alcune falle cui si sarebbe potuto far fronte prima che un’emergenza sanitaria lo rendesse urgente e necessario. Ad oggi un calendario di ritorno in classe per le superiori ancora non c’è, anche se dall’11 qualcuno potrà tornare a varcare la soglia dell’istituto che frequenta. Ma solo il 50% e solo in alcune regioni.

Eppure c’è un fattore che stiamo trascurando in tutto questo: la forza di una generazione, che sta facendo la differenza. Non solo a scuola, ma anche fuori. Per questo abbiamo pensato di raccogliere le voci della GenZ e la loro visione sul futuro. “Abbiamo ascoltato il primo discorso di Conte alla nazione, quello in cui ha annunciato il lockdown totale, tutti insieme il giorno in cui festeggiavamo i 100 giorni alla maturità. In quel momento abbiamo capito che tutto sarebbe cambiato”. Bruno è di Roma, ora frequenta il primo anno di università e ha dovuto affrontare, da remoto e in piena emergenza sanitaria, gli ultimi mesi di scuola superiore. Quelli che solitamente sono i più intensi, che si ricordano per sempre. La difficoltà di non avere accanto docenti e compagni si è fatta sentire forte e chiara. Sono mancate le uscite di gruppo, i momenti di incontro per ripetere e studiare, l’emozione di vivere quelle prove scritte in cui sembra ci si stia giocando tutto ma è solo l’inizio.

La scuola continua a mancare a un’intera generazione di iperconnessi che di vivere solo online cominciano a non poterne più. Manca il contatto umano, manca poter guardare negli occhi gli insegnanti e apprendere qualcosa che va al di là delle nozioni. I pareri dei ragazzi sulla DAD (didattica a distanza) sono netuarlmente tanti e diversi, come sono diverse le singole esperienza. C’è chi, come Bruno, crede che sia un’ottima alternativa in caso di emergenza e un buon modo per non far rimanere indietro chi non può frequentare la scuola. E c’è chi, come Isabella, genovese e aspirante attrice all’ultimo anno di liceo classico, dice che “non funziona affatto, ci sono continuamente problemi da risolvere e con il programma siamo molto indietro.”

Non è sempre colpa dei docenti, “ci sono quelli che si impegnano tanto e gliene siamo grati” osservano Bruna e Carla, due sorelle foggiane rispettivamente al primo anno di università e all’ultimo di scuola superiore, che precisano: “ma sono mancate troppe cose, a partire dai supporti tecnologici fino al dialogo diretto con i professori. A volte sembra che le spiegazioni online siano frivole, senza un confronto o un vero approfondimento di quello che stiamo facendo o vivendo”.

La mancanza di contatto, confronto diretto, percezione dell’altro: questo e molto altro manca alla generazione, nata digitale. Mancanze che hanno effetti diretti anche sull’impegno scolastico. “Se c’è una cosa che sono certo di aver perso con la didattica a distanza – ha detto Niccolò, al quarto anno di un istituto tecnico fiorentino – è sicuramente la voglia di stare attento. È un po’ come la storia del primo e dell’ultimo banco, in fondo manca il contatto visivo, ti annoi e ti distrai di più.”

Di fronte a quel che manca la GenZ ha scelto di reagire. “Abbiamo deciso di organizzarci da soli: abbiamo convocato un’assemblea online e deciso di stilare un programma di studio con mappe e power point. Lo abbiamo poi sottoposto ai professori, chiaramente contenti dell’iniziativa” racconta Isabella. Facendo gruppo, senza mai andare contro gli insegnanti ma anzi arginando i compagni che durante le lezioni si divertono a dare fastidio con scherzi e dispetti. Perché la maggior parte dei ragazzi ha voglia di imparare davvero. L’emergenza didattica ha messo in luce l’importanza di una cultura del fare, del sapere e del crescere che i ragazzi non hanno voglia di perdere.

“Con la dad abbiamo imparato a convivere,– spiega Claudio, studente di Messina al secondo anno di liceo – ma il confronto diretto manca tanto”. Le amicizie, però, sembrano mutate di poco o addirittura in meglio. Resta il fatto che la pandemia è, innegabilmente, tra i traumi più importanti della loro vita. Tutti dicono di aver riflettuto tanto, di aver rivalutato gli abbracci e di aver capito che tutto può cambiare da un momento all’altro. Prima era normale scambiarsi idee a ricreazione o alla macchinetta del caffè, oggi si fa fatica a capire perché un amico non si fa sentire più e ci si sente meglio con un semplice “come stai” su Whatsapp.

Postare e scambiarsi like sui social fa sentire meno soli, permette di rimanere in contatto, di sapere cosa fanno gli amici e come si sentono ma non sostituisce un momento insieme. “Stare insieme fisicamente fa tanto, – ha spiegato Isabella mentre con fatica raccontava di quanto per lei sia sempre stato difficile esprimere affetto e di quanto ora stia cambiando – starsi vicini è importantissimo”.

E la fotografia che emerge della GenZ è diversa da quella che siamo abituati a vedere rappresentata in tv. “Mi sembra che gli adulti prendano ad esempio i ragazzi che appaiono in tv, diventa uno stereotipo e per loro siamo tutti uguali e non è giusto perché non siamo tutti lobotomizzati. È vero che siamo inclini a stare più con social e consolle però possiamo essere e siamo anche di più!” racconta in una chiacchierata Giulia, studentessa del primo anno di liceo scientifico. Foggiana, amante degli anime giapponesi e con il sogno di diventare disegnatrice. Anche lei, che si affaccia oggi nel mondo dei più grandi, e che pensa di star comunque imparando tanto, sente la mancanza di laboratori e momenti di scuola che diano più di ogni lezione.

I ragazzi di oggi non criticano davvero gli adulti, non parlano mai male degli insegnanti. Ma vorrebbero essere con loro protagonisti di questo presente, essere parte integrante di un discorso che permetta loro di comprendere quel che accade e come. La paura comune è quella del futuro. Fare scuola a distanza, vedere solo ansia e preoccupazione ha distrutto ogni certezza, ha annebbiato quel senso di serenità che fino ai 18 anni si respira con l’aria. “Ci piacerebbe dire la nostra, avere uno scambio di idee con insegnanti e tra compagni” hanno detto ancora Bruna e Carla, “a volte sembra che gli adulti non abbiano voglia di ascoltare quello che pensiamo. Sono tutti convinti che siamo fermi e concentrati su frivolezze, ma il nostro parere non l’hanno cercato.”

Dalla scuola a distanza qualcosa si può imparare. Ce lo stanno insegnando questi ragazzi che ad oggi non sanno ancora se, quando e come torneranno in aula. I limiti possono diventare punti di partenza, la creatività può superare le criticità. Sarebbe sufficiente non sottovalutarli. Uno dei ragazzi ha detto di aver chiesto alla mamma cosa ci fosse di diverso tra le loro generazioni e la mamma ha risposto “Noi avevamo più voglia di conoscere”. Il ragazzo ha commentato con noi: “Forse lo pensa solo perché noi conosciamo anche tramite internet. Ma boh, io non direi proprio che non ho voglia di conoscere.”