Troppe le donne direttrici assunte dalla sindaca Anne Hidalgo. Per questo il comune di Parigi è stato multato di 90.000 euro per violazione della parità di genere nella nomina di dirigenti, come riportato da Le Monde. Secondo il quotidiano, il comune ha dovuto pagare la non trascurabile somma per aver violato nel 2018 la legge Sauvadet, che impone una percentuale minima di genere per le nomine ai posti di direzione nella funzione pubblica.
Insomma una norma pensata per riequilibrare una situazione evidentemente a svantaggio delle donne, va a penalizzare proprio chi cerca di colmare il gap di genere nei livelli dirigenziali. Un paradosso che non sfugge alle critiche, ma che comunque andava contemplato nelle decisioni prese dalla sindaca parigina.
Facendo un passo indietro, nel 2018 il comune di Parigi aveva aperto a candidature a quadri dirigenziali per un totale di 16 persone. Fra le persone nominate, c’erano soltanto 5 uomini, numero non sufficiente per non violazione la legge che impone un minimo del 40% per il genere meno rappresentato. Le Monde, comunque, ricorda che un’altra legge, quella per la trasformazione della Funzione in vigore dal 2019, ha istituito una dispensa da questa penalità nel caso in cui troppe donne o uomini siano nominati contemporaneamente, purché ciò non implichi uno squilibrio fra le cariche occupate.
Il comune di Parigi avrebbe potuto quindi sfuggire all’ammenda se la legge appena citata fosse entrata in vigore nel 2018. L’assessore alle risorse umane della sindaca Anne Hidalgo, Antoine Guillou, ha definito “paradossale” la multa, che va a punire delle nomine “che consentono di recuperare un ritardo“.
Le quote italiane
In Italia per non incorrere in incostituzionalità le leggi sulle quote di genere (impropriamente chiamate quote rosa) stabiliscono la quota da rispettare nei confronti del genere meno rappresentato. Se si prende, ad esempio, la legge Golfo-Mosca del 2011 relativa agli organi societari delle partecipate pubbliche e delle quotate in Borsa Italiana, il “correttivo” del 40% è previsto sia quando le nomine sono tutte al maschile, sia quando sono tutte al femminile.
Nella pubblica amministrazione italiana, le quote non sono necessarie per far fare carriera alle donne. Nel 2019 le dirigenti donna hanno superato i dirigenti uomini con una percentuale del 50,6% contro 49,4%. Il progresso è stato costante nell’ultimo poco più che decennio, se si tiene conto che nel 2007 la quota femminile era al 42%. A dirlo una ricerca basata sulla rielaborazione dei dati della Ragioneria di Stato dei 44.497 dirigenti pubblici con un effettivo ruolo dirigenziale, presentata in occasione del Forum Pa del maggio 2019.
Un dato, che è confortante solo in parte se si tiene conto, però, che poi ai livelli apicali la prevalenza maschile è ancora netta. Ragion per cui quando poi si formano comitati e task force, come nell’ultimo anno, entrano nella sala dei bottoni solo uomini perché detentori di un titolo o di una carica specifica, come aveva evidenziato un’inchiesta de Il Sole 24 Ore, che aveva censito le 15 task force del governo nella prima ondata di pandemia.
Il progresso delle donne dirigenti nella pubblica amministrazione è infatti dovuto a due fattori: l’uscita di oltre 10 mila colleghi (che hanno fatto abbassare la percentuale maschile) e la carriera fatta per anzianità (meccanismo che nel privato non funziona). Quando poi si arriva alle nomine fatte per “cooptazione”, le quote femminili crollano. Chissà se a Parigi succede altrettanto, nonostante le quote di genere previste per la dirigenza?