Buiatti: “Il mio film sulla violenza sui bambini contro l’indifferenza degli adulti”

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1 Sentiero – Laguna-Esterno-Primissimo Pomeriggio

CATERINA, undici anni e l’aria dolcemente malinconica, scappa di corsa sul sentiero che si snoda fra le barene nell’angolo di laguna pressoché abbandonata in cui vive. Il percorso è stretto; attorno vegetazione e acque basse, salmastre. CATERINA ha fretta ed è impaurita: si volta a guardarsi indietro, i capelli scompigliati e il fiatone.

PADRE (off, urlando minaccioso) Caterinaaa!

CATERINA ha un sobbalzo, si abbassa di scatto proteggendosi fra le tamerici e l’erba alta. Trattiene il respiro e rimane immobile, mentre gli occhi guizzano veloci…”.

Il cortometraggio
Sono le battute iniziali della sceneggiatura del film “Il tempo e i giorni”. Un testo scritto da un’artista emergente: Alessia Buiatti, 42 anni, che è anche regista del cortometraggio. La pellicola (produzione Zetagroup), vincitrice di numerosi e importanti premi all’estero, tra cui quello come Miglior cortometraggio indipendente all’Indie Short Fest di Los Angeles, è tante cose. Ma soprattutto è la storia di una violenza domestica. Caterina e Daniele, suo amico, passano insieme le giornate a Lio Piccolo, un paesino della laguna di Venezia. Per loro dovrebbe essere l’età della spensieratezza, della felicità innocente. Ma Caterina viene picchiata dal padre. Il paradiso dei bambini va in frantumi per colpa dei grandi. “La violenza è un dramma, e non se ne parla davvero – dice Buiatti -. Cioè si raccontano numeri e si conoscono le botte, ma la tristezza profonda che vivono certi bambini e certe donne quella non la si vuole vedere”. Per questo il film. Per questo la sceneggiatura che descrive un’ombra nera, legata anche ad un luogo che vive di un passato che non c’è più.

foto-buiattiE’ molto difficile sentire, capire cosa provano veramente le piccole vittime di maltrattamenti. Io voglio stare dalla loro parte. Per questo ho scelto di seguire l’amicizia e i giochi di Caterina e Daniele, con la telecamera che resta dietro di loro. Come fosse un terzo personaggio”. Gli adulti, tranne nell’ultima scena, non ci sono. Un po’ alla Charlie Brown. Perché il tentativo è esprimere cosa provano i due bambini protagonisti per dire qualcosa ai grandi. Un obiettivo ambizioso, non c’è che dire.  Il rischio di trasporre su di loro la nostra morale adulta è dietro l’angolo. “Vero” afferma l’artista. “Io, dopo avere scritto la sceneggiatura, mi sono confrontata con professioniste psicologhe. Ho dialogato, in particolare, con Spazio Donna Onlus che lavora proprio sulla violenza alle donne e ai bambini”. Le loro considerazioni, e il loro ritrovarsi, “in ciò che avevo scritto mi hanno rafforzata e ho proposto la sceneggiatura”.

Il male nascosto
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A ben vedere proprio nelle prime pre-proiezioni sono saltate fuori le obiezioni degli adulti. “In effetti – riprende la sceneggiatrice e regista – mi è stato contestato il fatto, ad esempio, di non mostrare esplicitamente la violenza su Caterina. Ma i bambini, quando vedono l’uomo nero, chiudono gli occhi. Si portano le mani sulla faccia. Nascondono il male, magari con il gioco, per poi ricaderci dentro”. Ecco, quindi, il perché dell’ellissi. Ed ecco perché la sensazione di disagio che prova lo spettatore adulto, indotto quasi a credere che il film sottovaluti il problema, è invece proprio ciò che l’autrice vuole farci sentire. Indurci a comprendere che il grido d’allarme è nascosto, celato, sottile. Difficile da interpretare.

Simili situazioni – spiega Buiatti – sono attorno a noi. Lo leggiamo sui giornali. Ma non è sufficiente affrontare questi drammi con la testa. Bisogna sentirli con la pancia”. E’ necessario riuscire ad immedesimarsi per cogliere la sofferenza. Solo così, è il messaggio che sembra lanciarci l’autrice, possiamo uscire dal nostro quieto vivere. Una presa di coscienza fondamentale. Soprattutto perché, come ci ricorda Cat: “Sono solo una bambina! Non posso fare niente, io!”. Siamo noi adulti che decidiamo, che possiamo intervenire, oppure no.

Tematiche sociali
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Già, intervenire. Affrontare problematiche sociali. Buiatti, nella sua ancora non lunga carriera (ha iniziato a scrivere sceneggiature da autodidatta nel 2016), ha maneggiato temi difficili con le parole in altri cortometraggi. Nella pellicola “Soli, insieme”, del 2018, ha descritto il fenomeno cosiddetto degli Hikikomori. Ragazzi intelligenti, brillanti che si auto escludono dal mondo e si chiudono in casa. “Quando ero insegnante – spiega la sceneggiatrice – ho avuto un’esperienza con un alunno così. Mi diceva tutto con una trasparenza allarmante, apparentemente senza provare sentimenti”.  Ma la realtà era differente. “Metteva in atto quella che definisco automutilazione: ti togli una parte di cuore per non sentire e non apparire sofferente.  Lui era sincero: cercava aiuto e conforto”.

I genitori, invece, per non fare crollare tutto spesso nascondono la verità. Anche a loro stessi. Un atteggiamento che, quando non è dettato da egoismi, è umano, quasi comprensibile. “Ma è anche un errore – precisa l’artista -. Fingere con un ragazzo sensibile e intelligente lo rende fragile e solo. Pretendere che sia diverso da quello che è lo spinge ad essere ancora più insicuro, lo fa sentire sbagliato”.  Lo porta a scappare dal mondo, dalle sue richieste per le quali si sente incapace.  “È un aborto, e mi sembra profondamente ingiusto perché un adolescente è nel pieno del suo sviluppo: dovrebbe voler esplorare, provare emozioni, non nascondersi”.

L’autrice
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Il corto “Soli, insieme”, comunque, ha un finale positivo. Lancia un segnale di speranza. Quella speranza che traspare, ascoltandola, dalle stesse parole di Buiatti. Non solo riguardo ai temi oggetto delle sue incursioni letterarie e visive, bensì anche riguardo alle sue prospettive professionali. Di questi tempi, con la pandemia che ha frenato le produzioni cinematografiche, scommettere sulla sceneggiatura parrebbe un azzardo. “Ma non è questo il punto – sottolinea l’artista -. Io scrivo da sempre. Le storie, i personaggi nascono dentro di me e devo farle venire fuori. E’ una necessità”. La quale, seppure Buiatti non lo dica, trova poi la sua piacevole evoluzione nel trasformarsi in una sceneggiatura o in film apprezzati in giro per il mondo. Certo, non sono tutte rose e fiori. Proprio l’ultimo “Il tempo e i giorni” ha rischiato di non vedere la luce. Nella fase di postproduzione, a causa del Covid19, erano finiti i soldi. Un bel problema! Sennonché l’autrice, che si definisce “combattiva”, non si è persa d’animo e ha avviato una campagna di crowdfunding. La cifra raccolta è risultata decisiva. “Chi lavora a queste piccole produzioni – dice la Buiatti – sono professionisti di alto livello ma con una dimensione artigianale. Per loro poter concludere il lavoro, ed essere pagati completamente, è stato importante”.

foto-buiatti-3Così com’è importante, nell’attuale realtà, per un artista avere anche la capacità di risolvere i problemi. “Sotto questo aspetto – tiene a precisare la sceneggiatrice – non amo troppo lo stereotipo dell’imprenditore di sé. Certo: affrontare i problemi con calma è importante” Così come lo è far vedere che credi nel progetto, che “sei decisa a tutto pure di finirlo. Ne guadagna la tua stessa immagine”. Ciò detto, però, “il lato creativo e quello della produzione devono rimanere, nel limite del possibile, distinti”. Insomma, il messaggio è: chi costruisce storie, chi le dirige e realizza deve poter dare il massimo senza avere eccessive distrazioni di carattere operativo o finanziario. E questo non per snobismo, un atteggiamento che è agli antipodi di Buiatti. Quanto, piuttosto, per l’idea alta che questa donna attribuisce alla settima arte. Tanto che, dopo avere proposto e promosso il suo lavoro nel recente Torino Short Film Market, sarà certamente nella sua casa a Belluno, in silenzio a creare nuovi “plot”. Magari ancora con il fil rouge dei temi sociali.

Con i deboli e con gli ultimi – ammette lei stessa – sto bene, mi sento a casa.  Mi accettano per quello che sono, non mi chiedono di essere bella, brutta, forte, simpatica, determinata, pronta. Accettano le debolezze, le considerano una ricchezza. Sento una sensazione di calore quando posso essere libera di essere silenziosa o comunque me stessa. Se posso aiutarli con un sorriso o raccontando una storia, lo faccio”.