Le 3 competenze che servono oggi ai capi per essere forti e gentili

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“Siate forti e siate gentili”, va dicendo in questo periodo la Prima Ministra neo-zelandese Jacinta Ardern. E così, pacatamente, rivoluziona la nostra idea di leadership. Come si fa, infatti, ad essere forti e gentili al tempo stesso, quando ci hanno insegnato che la forza è qualcosa di brutale e di “fisico”, che muove le cose contro tutto e contro tutti? E soprattutto, come si fa ad essere gentili nell’emergenza, quando la prima priorità è risolvere, andare avanti veloci, guidare gli altri?

Chi ha tempo per la gentilezza? Chi ha, veramente, la forza per essere “anche” gentile?

Ma c’è di più: il termine inglese “kind” vuole anche dire essere premurosi. La premura è una forma di cura dell’altro: la leadership che propone la Prima Ministra è dunque una leadership “accudente”. Perché proprio oggi dovrebbe servire questo tipo di leadership, quando sembra avere conseguenze come la riduzione della velocità e l’aumento della complessità da gestire? Per accudirlo, bisogna infatti fare spazio all’altro: alle sue paure ed esitazioni; e magari riusciamo a farlo con un figlio o con un compagno, ma con i colleghi, con i cittadini, con tutti coloro che “dipendono” dalle scelte di un leader: come si fa?

Nel 2001, durante le concitate fasi di emergenza che hanno seguito il crollo delle Torri Gemelle, uno dei capi dei vigili del fuoco è salito su un camion, si è tolto l’elmetto e ha chiesto a tutti i colleghi di fare lo stesso: “Abbiamo perso molte persone oggi. Meritano un momento di silenzio”, ha detto. Un gesto semplice e inaspettato, che ha fatto sentire tutti vicini e compresi nella sofferenza che stavano provando, e che li ha fatti tornare al lavoro con più energia di prima.
Perché nell’emergenza, soprattutto se prolungata e dai confini incerti come quella che stiamo vivendo, è proprio l’energia che viene a mancare nelle persone, spesso portandosi via il senso di quel che si fa. Abbiamo bisogno di sentirci al sicuro, e abbiamo bisogno di sapere che non siamo soli. Guardiamo ai nostri leader, sul lavoro, in politica e nella vita, per intuire se arriveremo ad esserlo: al sicuro, insieme.

Ma i leader non hanno tutte le risposte: in realtà da tempo si dice che la complessità e la velocità dei cambiamenti di oggi – anche pre-covid – fanno emergere il bisogno di una leadership diffusa, di una condivisione della responsabilità che permetta alle persone di agire in autonomia. Tanti esperti del tema non amano la parola leadership proprio per questo: perché continua a rappresentare un insostenibile scenario in cui uno guida e tutti gli altri seguono. Nella crisi, emerge ancora più forte l’evidenza che è impossibile che uno solo abbia risposte per tutti gli altri, e il leader ha l’occasione di conquistare un’altra, più profonda dimensione di impatto: può veramente fare la differenza per le persone. Proprio con la gentilezza. Una gentilezza che è l’espressione, attraverso gesti concreti, di almeno tre capacità.

1) La capacità di riconoscere lo stato di bisogno degli altri e di dargli priorità: decidere quindi consapevolmente di non ignorare i segnali di difficoltà psicologica, ma anzi di andarli a cercare, allenando una capacità di empatia che non a caso tutti gli esseri umani hanno: da questa dipende infatti la sopravvivenza della nostra specie sociale, in cui nessun individuo può farcela da solo. Decidere persino, ove necessario, di rallentare per aspettare chi è rimasto indietro: decidere di avere “pazienza”.

2) La capacità di permettere agli altri di dare un nome alle proprie emozioni: i capi infatti non devono risolvere i problemi, ma saper dare gli strumenti alle persone perché li risolvano da sé, e lo stesso vale con la gestione delle emozioni negative. Spesso i leader esitano ad aprire la porta delle emozioni dei collaboratori perché pensano di doverle poi risolvere.

Ciò che gli si richiede è invece di creare dei territori in cui le persone sentano di potersi esprimere in sicurezza per riappropriarsi dell’energia emotiva necessaria a guarirsi da sé: quell’energia che la sensazione di isolamento annichilisce. E liberarla è, questo sì, un gran potere!

3) Infine, la gentilezza è il segnale di una capacità anche più difficile delle altre due: quella di avere cura di sé. Di orientare verso di sé la stessa attenzione e la stessa cura che rendono possibile la guarigione degli altri:

perché anche il leader è vulnerabile in tempo di crisi.

Pensa, così gli hanno insegnato a scuola, di non doverlo mostrare: che indebolirebbe la sua immagine di guida. Pensa che vulnerabilità e forza siano contrapposte, che non possano convivere. E invece la vulnerabilità rende il leader più forte: al tempo stesso “uno di noi” (siamo davvero sulla stessa barca!) e il più coraggioso di noi, perché osa mostrarsi davvero per come è, oltre le armature delle definizioni.  Accorcia le distanze e si fa vedere, dando l’esempio e autorizzando negli altri l’idea che la debolezza, la fatica e la sofferenza non siano segnali di sconfitta, ma compagni di viaggio inevitabili, che è meglio guardare in faccia. Questa capacità di introspezione e cura è la più difficile, perché è proprio con sé stessi che spesso i leader usano il tono più severo.  Ma è davvero difficile chiedere agli altri di credere in quel che gli si propone, se non si è i primi ad incarnarlo.

E questa è la storia (lunga) che si cela dietro la definizione (breve) di “leader forte e gentile”: perché le definizioni più ardite e rivoluzionarie hanno bisogno di poche parole, soprattutto se a coniarle è chi le dimostra con i fatti.

  • Valentina |

    La gentilezza la riconosci, la senti e la percepisci naturalmente nelle persone che come te ne fanno un modo di essere perché essere gentili semplicemente e’ . La gentilezza e’ un talento innato, bellissimo incontrarla tra le persone che si scambiano sguardi e comunicano attraverso le emozioni.
    Andiamo oltre le parole!

  • Elisabetta BIssoli |

    Ringrazio per quest’articolo che motiva e ispira atteggiamenti che aiutano chi ha il dovere e la possibilità di guidare e dirigere. Sembra tutto scontato ma il prendersi cura di se per poter prendersi cura degli altri è un invito all’amore, unica forza che vince su tutto. A tal proposito Consiglio la lettura di un libro di Alessandro Chelo Leadership e amore .

  • Jacopo Melloni |

    Condivido pienamente, spazio al leader sensibile se crediamo veramente che le persone sono importanti e sapendo che quello che conta sono valori ed emozioni il leader prepotente e impositivo ha veramente fatto il suo tempo!

  • Piero Petrisano |

    Condivido molto il contenuto dell’articolo. Il manager duro crea distacco dai coordinati e un vuoto intorno a sè e facilmente viene visto non come l’alleato, ma come la controparte. Invece, chi si prende cura dei propri uomini crea attorno a sè un clima positivo e collaborativo; la conseguenza è che aumenta la motivazione del gruppo e ci si sente in una famiglia che condivide obiettivi, gioie e problemi.

  • Giusy |

    Grazie infinite x quest’articolo. Che sia luce x tutti noi in questo periodo: x chi è leader/capo e può migliorare, x chi aspira ad essere un leader stimolante!!

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