Una donna ai vertici di una banca purtroppo fa ancora notizia

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La vera svolta arriverà quando certe nomine non faranno più notizia. È questa la verità. Jane Fraser, sta facendo la storia della finanza statunitense con la sua nomina, ma è solo un passo, non è un arrivo. Basti pensare che negli Usa le donne se la giocano con gli uomini chiamati John in quanto a percentuale in posizione di ceo nell’indice Russell 3000 Index. E fino al 2015 erano più numerosi i ceo di nome John che non le ad donne.

Certo il soffitto di cristallo sfondato da Fraser era di quelli spessi e duri a cadere. E certo la manager ha aperto la strada in un settore come quello finanziario in cui la percentuale di donne nei comitati esecutivi resta ferma al 20% a livello globale (26% negli Usa, 13% in Italia), mentre nei board scendono al 20%, secondo una ricerca di Olyver Wyman.

Insomma, la finanza resta un boys club e per giunta anche di bianchi per oltre il 90%.  In altri comparti il cambiamento era arrivato da tempo. Come nell’automotive con Mary Barra che guida Gm dal 2014.Oppure Adena T. Friedman numero uno del Nasdaq, o ancora Julie Sweet ad di Accenture e Vicki Hollub di Occidental Petroleum Corporation. In tutto però sono solo 38 le donne ceo nel noverò del Fortune 500. Pardon, 39 con Fraser, un record storico mai raggiunto: il 7,8%.

Le donne sono entrate nel gotha dei ceo negli Usa solo 48 anni fa, quando nel 1972  Katharine Graham divenne l’amministratrice delegata di The Washington. Da allora di strada se n’è fatta tanta e di nomina in nomina la percentuale delle ceo cresce, ma molto lentamente, perché per qualcuna che ce la fa, c’è qualcuna che esce dal giro.

In giugno, ad esempio, Marillyn Hewson ha lasciato la poltrona di ceo in Lockheed Martin dopo più di 7 annni, diventando presidente esecutivo. Ginni Rometty è andata in pensione e ha lasciato i vertici di IBM, mentre Cheryl Miller ha preso un periodo di pausa per motivi di salute lasciando il ruolo di numero uno di AutoNation e Kathryn Marinello ha lasciato Hertz.

Una tela di Penelope, per quanto si proceda nel lavoro, poi c’è sempre qualche passo indietro e il cambiamento verso una presenza più equilibrata resta lontano. Tanto più che ora, soprattutto negli Stati Uniti, l’attenzione si sta spostando dalla diversity di genere alla diversity di etnia. Meno dell’1% dei ceo del Fortune 500 è nero. Per non parlare poi delle percentuali della finanza. La speranza è che le due diversità non si escludano a vicenda, ma che piuttosto l’attenzione per includere le diversità si allarghi e sia più facile arrivare a un mix più equilibrato che comprenda anche disabilità, Lgbt*, differenze religiose e culturali.

Tornando alla notizia di Ieri, salutata dalla stampa come un traguardo, credo che di record in record il panorama delle corporate, non solo americane, cambierà. Ma quanta strada c’è ancora da fare? In Italia le ceo donne sono solo 15, il 2,5% della capitalizzazione totale di Piazza Affari. Forse è un po’ troppo presto per festeggiare. Non trovate?