Stiamo rubando il futuro ai nostri figli?

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“Ok boomer” è l’espressione gergale americana che sintetizza la contrapposizione ideologica tra i giovani delle ultime generazioni e gli individui nati durante il boom economico del secondo dopoguerra. Questo modo di dire ha una valenza polemica che rappresenta l’insofferenza giovanile nei confronti di giudizi e opinioni, suggerimenti e critiche, che provengono da persone ritenute responsabili della situazione attuale, e più specificamente della crisi economica, dell’inquinamento ambientale e, nel nostro Paese, anche dell’insostenibilità del debito pubblico.

Nella percezione delle coorti più giovani, i boomer vivrebbero oggi di rendita grazie ai privilegi ottenuti in passato monopolizzando le posizioni di potere e discriminando i giovani sia nelle procedure di assunzione sia nelle retribuzioni e nell’accesso alle posizioni più prestigiose, determinando così la diseguaglianza economica tra generazioni attualmente osservabile nei dati[1].

La discriminazione nei confronti dei giovani deriva da stereotipi che ne generalizzano l’immaturità, l’inaffidabilità, l’instabilità emotiva, lo scarso attaccamento al lavoro, la mancanza di competenze, di capacità di leadership e di esperienza manageriale (Pyöriä et al. 2017). Tra gli stereotipi più citati vi è quello per cui i giovani sono poco propensi a percepire il lavoro come il centro della propria identità (Twenge 2010).

Nel nostro Paese, la percezione della discriminazione nei confronti dei giovani è piuttosto diffusa (22% secondo l’indagine Eurobarometro 437), e non trova immediata smentita nei dati sul differenziale salariale per età: la retribuzione oraria mediana degli occupati dipendenti del settore privato con più di 50 anni è infatti maggiore del 24% rispetto a quella dei giovani di età compresa tra 15 e 29 anni (Istat 2019). Questa differenza, però, ha in realtà poco a che fare con il comportamento discriminante dei datori di lavoro, perché dipende principalmente dal fatto che le opportunità di impiego e i percorsi di carriera attualmente accessibili ai giovani sono molto diversi da quelli che erano a suo tempo disponibili per le coorti precedenti.

Ad esempio, le riforme istituzionali volte ad aumentare la flessibilità del mercato del lavoro hanno incrementato il ricorso al lavoro temporaneo, portando la quota dei contratti atipici per gli occupati di età compresa tra i 15 e i 24 anni dal 24% del 1998 al 62% del 2017 (Eurostat 2018). Similmente, le politiche fiscali restrittive volte a contenere il deficit di bilancio hanno ridotto le assunzioni in misura consistente, rispetto alle generazioni precedenti, soprattutto a causa dei vincoli imposti dal blocco del turnover nel settore pubblico. Di conseguenza, ai giorni nostri, la percentuale di occupati con meno di 35 anni nelle amministrazioni pubbliche è solo del 2% in Italia, contro il 18% della media dei Paesi OCSE (OCSE 2017).

Queste tendenze evidenziano che il settore pubblico italiano, che in passato aveva rappresentato un importante canale di reclutamento per i giovani più istruiti, garantendo loro un lavoro stabile e un reddito affidabile, negli ultimi anni ha cessato di svolgere questo ruolo, consolidando nelle generazioni più recenti la percezione di una disparità di trattamento che risulta tanto più dannosa quanto più riduce l’investimento in capitale umano, l’impegno lavorativo e l’incentivo allo sviluppo delle competenze delle nuove forze di lavoro.

Ciò premesso, è altresì da sottolineare il fatto che anche l’uso della frase “ok boomer”, intesa come generalizzazione che attribuisce indiscriminatamente privilegi e responsabilità solo in base alle caratteristiche anagrafiche delle persone, è la manifestazione di uno degli stereotipi più potenti e pervasivi tra quelli statisticamente rilevati: quello che discrimina gli individui a causa della loro anzianità[2].

Proprio a tale proposito, l’espressione “ok boomer” è stata recentemente citata anche dal giudice che presiede la Corte Suprema degli Stati Uniti, discutendo il caso di una dipendente esclusa dalla procedura di valutazione per una promozione perché ritenuta troppo vecchia. L’avvocato della ricorrente ha sostenuto, in risposta ad una specifica domanda del giudice, che l’uso della frase “ok boomer”, se pronunciata nel corso di una procedura di valutazione, è perseguibile, in quanto rivela il pregiudizio nei confronti della candidata e quindi lede il suo diritto ad un trattamento non discriminatorio.


[1] – Ad esempio, una ricerca appena pubblicata dalla Federal Reserve Bank of St. Louis mostra che negli Stati Uniti la ricchezza posseduta da un trentaduenne del 2016 era minore del 41% rispetto a quella di un trentaduenne del 1989.

[2] – In Italia il 41% dei rispondenti all’indagine Eurobarometro 437 ritiene che questa forma di discriminazione sia molto o abbastanza diffusa.