Mi chiamo Lidia e ho 30 anni. Sono nata e cresciuta a Palmanova, in Friuli. Mi è stato raccontato da mia nonna Lidia, (da cui ho preso il nome), che quando ero bambina mia mamma, Maria Rosaria per tutti Rosy, mi portò in chiesa per essere battezzata con indosso un abitino di seta bianca e taffettà con delle calzette in tinta e delle scarpette di pelle, esattamente come ogni altra bambina italiana il giorno del suo battesimo, così come la nostra tradizione richiede e come io farò con i miei bambini in futuro.
Mi ricordo la domenica mattina quando ero piccola, quando mia nonna mi svegliava, obbligandomi a uscire dal letto per provare la sua salsa di pomodoro fatta in casa che preparava alla perfezione. Durante quelle mattine, lei preparava altri cibi deliziosi per il nostro pranzo della domenica come le sue polpette, croccanti fuori e morbide dentro, e i suoi cannelloni riempiti con della cremosa ricotta e carne con del parmigiano spolverato in cima. Il tipico pranzo italiano della domenica.
Nonna Lidia. Di tanti nipoti che aveva io, sono l’unica femmina e ci teneva particolarmente a me. Mi ripeteva quasi tutti i giorni che ero bella ma che se fossi stata bianca lo sarei stata di più e facendomi il bagnetto mi sfregava la pelle cosi forte con la speranza di potermi sbiancare.
Episodi come questo, dentro e fuori dalla mia famiglia, mi hanno fatta crescere con la sensazione che il racconto della mia vita non combaciava con l’immagine che vedevo allo specchio. Una persona con la pelle nera non può essere italiana.
Questa sensazione di inadeguatezza spariva quando danzavo. Quindi a 17 anni mi trasferisco a Milano per frequentare l’Accademia di Danza di Susanna Beltrami e una sera vedo lo spettacolo dell’Alvin Ailey Dance Company, una compagnia prettamente nera, ballare al Teatro Arcimboldi di Milano. Tre mesi dopo prendo un volo per NY, mi presento all’audizione per entrare nella scuola: non conoscevo nessuno, non parlavo la lingua e mi accorgo troppo tardi di essermi presentata nella data sbagliata. MIi chiedono di presentarmi l’anno successivo quindi decido di agire nell’unica maniera possibile: piangendo e li convinco, mi fanno fare l’audizione con le bambine di cinque anni, passo l’audizione e a settembre mi trasferisco a NYC e ci rimango 7 anni.
Un percorso fatto di incontri, formazione, occhi stranieri e coach di diverse discipline che mi permette finalmente di concentrarmi realmente su quello che sono piuttosto che sul contrario. Un aspetto molto importante, perché riuscire a concentrarmi sui miei punti di forza come sull’atletismo del mio corpo, sulle mie capacità persuasive sul palcoscenico, sulla mia tecnica di ballerina contemporanea, sul coraggio di una scelta di vita così radicale che mi ha portata ad allontanarmi dalla mia famiglia e i miei amici a 17 anni è stata la chiave di volta che mi ha permesso di sentirmi a mio agio in tutte le opportunità, gli ostacoli e i bivi che mi ha presentato la vita.
Il motivo che mi porta a parlarne è che nel 2016 ho fondato un’ associazione che è nata dall’esperienza che vi ho raccontato. Si chiama Lidia Dice… ed è una community che supporta il talento, soprattutto quello improbabile, quello che gli altri non vedono o non riconoscono, quello che fatica a esprimersi.
Lo facciamo grazie al supporto di chi crede nella nostra missione attraverso programmi, borse di studio e formazione, così da dare opportunità di crescita a quel talento non riconosciuto, non visto e che necessita di professionisti che lo aiutino. Quello che vogliamo fare è evitare che venga sprecata la prima risorsa di questo Paese: l’essere umano.
L’ultimo progetto a cui stiamo lavorando si chiama #ISEEYOU: un modo di combattere stereotipi e violenza di ogni genere attraverso l’arte consapevole. #ISEEYOU è un camp articolato della durata di 3 settimane che sviluppa un percorso di prevenzione attraverso la collaborazione di artiste e atlete, simbolo di talento al femminile. Donne d’ispirazione per le protagoniste del progetto, che vengono invogliate a lavorare su sé stesse e a edificare un’autodifesa che parte dall’autostima e dal riconoscimento del proprio valore fino a raggiungere la realizzazione del proprio potenziale .
I temi che si affrontano durante #ISEEYOU sono quelli dell’autodifesa e del valore proprio di ogni essere umano. Vuole essere un tentativo di ispirare i giovani, possibili vittime, partendo dalla consapevolezza del proprio talento. Un talento che va oltre le capacità espresse su un palcoscenico, ma piuttosto quello che emerge ogni giorno, davanti le sfide della vita.