Cyberbullismo, sto accanto ai ragazzi perché il sacrificio di mia figlia serva di lezione

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Carolina, mia figlia, è stata la prima vittima riconosciuta di cyberbullismo. Ha 14 anni quando durante una festa beve troppo e perde conoscenza. Un gruppetto di ragazzi l’accerchia nel bagno, simulando atti sessuali su di lei, sempre più espliciti. Mentre la molestano, filmano la scena e le immagini finiscono su Internet. Nel momento in cui il video diventa virale, per Carolina inizia l’incubo: insulti e minacce, molti provenienti da persone che neanche conosce. Lei, l’amica di tutti, sempre sorridente ed entusiasta, si trova al centro di un’attenzione morbosa. Un peso insostenibile da sopportare, quelle ingiurie e quei commenti impronunciabili mettono in dubbio la sua reputazione. Il dolore e la sofferenza, tutt’altro che virtuali, diventano insopportabili.

Prima di togliersi la vita, Carolina scrive poche righe, nelle quali trova la forza di denunciare l’accaduto: “Le parole fanno più male delle botte. Ma a voi non fanno male? Siete così insensibili?”.

Era il gennaio del 2013. Mi capita ancora di svegliarmi pensando di doverla accompagnare a lezione di tennis, a pattinaggio, oppure in montagna per inforcare gli sci insieme e bere cioccolata calda. Carolina era talmente sicura di sé che i suoi, più che sogni, erano progetti: come quello di andare alle Olimpiadi per gareggiare nel salto in alto, dove aveva primeggiato ai campionati regionali studenteschi. Ricordi indelebili che mi accompagnano tutti i giorni, come carezze.

Ho passato mesi senza avere nemmeno la forza di parlare. Poi mi sono detto che Carolina non poteva restare un trafiletto di cronaca che si legge e si dimentica. Così ho deciso di combattere per lei e per le Caroline che non conosco. Ho fatto mia la battaglia di mia figlia, iniziata con quelle poche righe, che oggi sono un manifesto contro ogni forma di bullismo.

Una sfida lanciata al mondo, soprattutto a quello della rete. Nel nome di Carolina si è celebrato il primo processo in Europa sul cyberbullismo, nel quale si è riconosciuto con fermezza che il cyberbullismo, nella sua forma più crudele, non può essere derubricato a semplice ragazzata perché “le parole fanno più male delle botte”. Il 17 maggio 2017 ero in aula mentre la Camera approvava la prima legge a tutela dei minori in materia di cyberbullismo, che la presidente Laura Boldrini dedicava a Carolina: se in Italia abbiamo una legge per la prevenzione e il contrasto di questo fenomeno è anche grazie a lei.

Non potevo raccogliere questa eredità da solo, per questo ho scelto di istituire la Fondazione Carolina Onlus, con l’aiuto di donatori, esperti e amici che ringrazio ancora di cuore, per aver contribuito a dare un senso alla mia vita quando la speranza e la gioia sembravano essere fuggite dal mio mondo.

Coltivando questa missione ho riscoperto il calore degli abbracci. Prima ero io che li cercavo nei ragazzi che incontravo. Oggi sono loro che li chiedono a me, che mi stringono chiamandomi ‘papà Picchio’, raccontandomi la loro sofferenza o sussurrandomi all’orecchio quanto Carolina fosse bella. Sono solo un papà ma ogni giorno sono sul campo per aiutare i giovani a rispettarsi tra loro, non solo online, ma anche a scuola, nei contesti sportivi, negli oratori. Dialogo anche con i bulli, che troppo spesso non sanno quello che stanno combinando. Confido che la storia di mia figlia possa aiutarli a comprendere il disvalore di quello che fanno.

Cosa ho capito in questi anni di impegno nel sociale? Che per creare una società migliore serve l’aiuto di tutti, non basta un’attenzione distratta, circoscritta, limitata alle giornate sul cyberbullismo e alla sicurezza nella rete. Mi piacerebbe assistere ad una rivoluzione culturale: fa male sentire genitori che, ancora oggi, dopo tante tragedie, banalizzano i rischi legati all’uso scorretto e inconsapevole degli strumenti digitali.

Ecco, mia figlia, con la sua storia, con la sua vita ha squarciato un velo di omertà e ipocrisia, invitando tutti ad interrogarci e a ritrovare quel senso del limite, dell’etica e dell’empatia fondamentale in ogni relazione umana. Questa è la forza di mia figlia. Oggi purtroppo i suoi occhi sono chiusi, ma li ha fatti aprire a tutti noi.

  • Alessandro Spanu |

    è un piacere vedere lette queste parole, seppur sarebbe stato ancora meglio leggerle dalla stessa persona che ha ricevuto tutto questo o magari la possibilità che quel problema non ci fosse stato. Sono uno studente di magistrale in Comunicazione e culture dei media. Sto pensando di fare una tesi riguardante questa tematica, tramite i vari usi di meme e di viralità. Ogni singola cosa che può tornare utile al fine di dare dignità e speranza, sono pronto a prenderla sia come dato accademico che dato umano.
    Grazie ancora dell’attenzione,
    Spanu Alessandro

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