Cinquecento anni: sarebbe questo il tempo stimato di smaltimento e biodegradabilità per un pannolino usa e getta. Se consideriamo che questo tipo di pannolino è nato nel 1961, non ci siamo ancora neanche avvicinati a smaltire quelli dei primi bambini che li hanno indossati, che nel frattempo sono diventati adulti e vanno verso la pensione. Si aggiunga a questo pensiero il fatto che mediamente ogni bimbo utilizza tra i 5.000 e gli 8.000 pannolini nel corso dei primi anni di vita. Con questi pochi numeri ci si può fare subito un’idea dell’impatto che può avere sull’ambiente un bambino di neanche tre anni. E se è vero che diventare genitori cambia irreversibilmente il mindset di una persona, è altrettanto vero che questo cambiamento porta a guardare al futuro con più attenzione, preoccupazione, volontà di agire.
È così che comincia la storia di Valentina Steinmann come imprenditrice: diventata mamma, si rende conto della contraddizione che sta dietro al desiderio di un mondo migliore per il proprio figlio mentre lo si rende inconsapevolmente partecipe della produzione di una tonnellata di rifiuti di difficile smaltimento. Questo pensiero è la spinta che la avvicina al mondo dei pannolini lavabili. Inizialmente come fruitrice: ne sperimenta diversi tipi, e non è mai soddisfatta. Così comincia a creare i suoi.
«È stato come fare un sogno molto vivido: inizialmente non avevo un fine di business, cucivo i pannolini per rispondere alle mie esigenze. Poi però ho capito che stavo creando un prodotto che non c’era. Allora mi sono detta che non era più solo per il mio bimbo. Doveva essere per tutti».
È nato così la Culla di Teby, un tipo particolare di pannolino lavabile, ibrido, brevettato da Valentina Steinmann nel 2013. Non ci sono scarti di tessuto nella lavorazione: il taglio è stato pensato per non averne. La cosiddetta “culla”, il cuore del brevetto, è una particolare lavorazione sartoriale della mutandina impermeabile, creata per accogliere gli inserti assorbenti, che possono essere di vari materiali e tipologie. L’obiettivo del lavoro di Steinmann è offrire la fattibilità: afferma che per incontrare più mamme possibili, bisogna valutare le diverse priorità, richieste, desideri. Bisogna accogliere la diversità, uscendo da una logica manichea per cui o si è completamente ecologisti o completamente consumisti. Se dunque si tratta di compiere un cambiamento culturale, non possiamo permetterci di aspettare che si realizzi. «Meglio un uso ibrido o intermittente, che niente. Abbiamo dei ritmi di vita e a questi dobbiamo adattarci. Ecco perchè per me è così importante cercare prima di tutto la fattibilità, e siccome non c’era il pannolino giusto per le mie esigenze, me lo sono creato io. Il mio pannolino è come sono io: ibrida» spiega l’imprenditrice.
Perché Valentina Steinmann, oltre ad avere sempre avuto la passione per la macchina da cucire, è laureata in storia dell’arte e prima di diventare imprenditrice si occupava di marketing e comunicazione. Una figura professionale che forse nel mondo dell’HR verrebbe definita multipotenziale. Afferma di avere sempre amato il lavoro che faceva, ma questo non è stato sufficiente a trattenerla. La spinta all’imprenditoria fa parte di quel sistema di pensiero che la spinge a immaginare un mondo diverso, migliore, con spazi più morbidi, accoglienti e funzionali, come la Culla dei pannolini che ha brevettato.
La storia di Susanna Martucci è raccontata nell’ebook “Un’impresa da donne”, realizzato in partnership con Istituto Oikos, scaricabile gratuitamente cliccando sulla copertina qui di seguito.