Servono buoni dati per progettare buone politiche

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La chiusura del differenziale retributivo di genere (gender pay gap) è un obiettivo di sintesi per la politica economica perché perseguire questo proposito significa lottare contro una serie di cause (non contro una soltanto) che limitano la realizzazione del potenziale produttivo della componente femminile della popolazione. Queste cause comprendono: la divisione del lavoro di genere tra produzione familiare e produzione per il mercato, la segregazione del percorso formativo e occupazionale (orizzontale e verticale), e la disparità di trattamento (a parità di produttività) che deriva dal condizionamento degli stereotipi sulle scelte sia dell’offerta sia della domanda di lavoro.

Le differenze di genere che producono questi risultati rappresentano un problema per la politica economica soprattutto nel caso in cui non siano conseguenza di preferenze genuine ma derivino dal condizionamento di stereotipi che distorcono la razionalità delle scelte e portano alla realizzazione di un prodotto effettivo minore di quello realizzabile riallocando meglio le stesse risorse.

L’analisi dei dati longitudinali, che riflettono le scelte di donne e uomini lungo tutto l’arco della vita lavorativa, consente di stabilire, caso per caso, l’ordine di grandezza di ciascuna delle cause sopra elencate; poter disporre di questi dati rappresenta pertanto il primo passo da compiere per progettare buone politiche di pari opportunità e buone prassi di azioni positive.

Esempio di analisi longitudinale.

Prendiamo una prestigiosa università (Harvard) attenta alle differenze di genere[1] e un prestigioso master della stessa istituzione (master in Business Administration della Harvard Business School) in cui “il genere è preso sul serio[2], e in cui le donne, ammesse dal 1962, rappresentano attualmente il 40% dei laureati. Cosa ci insegnano i dati longitudinali sui percorsi lavorativi di coloro che lo hanno frequentato con successo? La carriera delle laureate di Harvard, nel cinquantesimo anniversario della loro ammissione, è stata analizzata in un rapporto di ricerca intitolato “Life and leadership after HBS”, pubblicato nel 2014 dalla Harvard Business Review.

Premesso che i laureati e le laureate della HBS rappresentano una élite rigorosamente e meritocraticamente selezionata, formata e preparata per assumere posizioni di leadership, la ricerca della HBS è finalizzata ad indagare in profondità le ragioni per cui le donne in posizione apicale sono ancora così poche. La componente femminile rappresenta infatti attualmente solo il 5% dei Fortune 500 CEOs, e anche tra le talentuose e ambiziose laureate della HBS solo il 41% è abbinato a posizioni dirigenziali (senior management positions), contro il 57% dei laureati di genere maschile.

La ricerca si compone di due parti: la prima parte mostra che le ambizioni di carriera sono le stesse per uomini e donne; la seconda parte evidenzia che le aspettative della componente femminile si realizzano più raramente di quelle della componente maschile.

1 – Donne e uomini vogliono le stesse cose?

La prima parte della ricerca indaga i desideri e le aspettative delle neolaureate e dei neolaureati per la loro vita e per la loro carriera, ed evidenzia che le risposte di entrambi i generi sono molto simili. Quasi tutti i rispondenti mettono al primo posto la qualità delle relazioni personali e familiari, e al secondo posto la realizzazione nella vita professionale e nella carriera. E’ notevole il fatto che l’importanza attribuita alla carriera sia risultata leggermente maggiore, e non minore, per la componente femminile rispetto a quella maschile.

Le differenze di genere emergono però nettamente nelle risposte sulle aspettative di condivisione del lavoro familiare, e su quale dei coniugi debba anteporre il benessere della famiglia alla propria carriera. La maggior parte degli uomini si aspetta che sia la compagna a farsi carico delle responsabilità familiari, e se lo aspetta anche la metà delle donne, mentre l’altra metà della componente femminile si aspetta di condividere questa responsabilità alla pari col marito. L’analisi longitudinale evidenzia però che aspettative di quest’ultima componente non si realizzano, perché dopo il matrimonio più di due donne su tre finiscono per svolgere personalmente la maggior parte del lavoro familiare.

Complessivamente, i rispondenti che si aspettano di riuscire a conciliare in modo soddisfacente la vita personale e la carriera sono l’83% delle laureate e 86% dei laureati, ma alla resa dei conti dichiarano di riuscirci solo il 47% delle donne e il 70% degli uomini.

2 – Aspettative e realtà

La seconda parte della ricerca indaga le ragioni per le quali le laureate non ottengono le stesse posizioni apicali dei laureati.

I dati mostrano che le donne hanno probabilità maggiori di uscire dalla forza lavoro e di lavorare a tempo parziale, ma queste decisioni contribuiscono solo in piccola parte alla spiegazione della sottorappresentazione femminile ai vertici, perché i risultati non cambiano in modo sostanziale quando si delimita l’insieme di riferimento alle laureate che lavorano continuativamente a tempo pieno. I risultati della ricerca evidenziano anche che le donne fanno più spesso uso di strumenti di conciliazione (come la flessibilità di orario o i congedi parentali) e prendono più spesso degli uomini decisioni che consentono loro di adattarsi meglio alle responsabilità familiari, come limitare i viaggi di lavoro o rinunciare alla competizione per una promozione, ma neppure il maggior uso di questi strumenti riesce a spiegare il divario di genere nelle posizioni apicali. Infatti, sono proprio i laureati e le laureate in posizioni di senior management che si sono rivelati più propensi di quelli abbinati a posizioni gerarchicamente inferiori a prendere decisioni di questo tipo per far fronte alle responsabilità familiari.

Il rapporto si conclude rinviando ad una prossima indagine, basata su una più ampia e sistematica rilevazione di dati longitudinali, la spiegazione della sottorappresentazione femminile nelle posizioni apicali, dato che “le analisi condotte in questo rapporto sorprendentemente hanno mostrato che né le ambizioni di carriera né il lavoro a tempo parziale, né l’uso di strumenti di conciliazione spiegano la minor probabilità delle laureate di essere top manager”.


[1] – E’ ben nota la circostanza che portò alle dimissioni del Rettore Larry Summers (la lezione di Harvard).

[2] Dichiarazione di Robin Ely, docente di Business Administration alla Harvard Business School e Presidente della conferenza “Gender and work: challenging the conventional wisdom” del 2013.