Affidi, il caso di una madre che non ha mai visto sua figlia

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Il primo ricovero a fine 2014 e nel 2015 la diagnosi: schizofrenia. Nel 2017 la gravidanza e la nascita della neonata, che viene portata via, nonostante la richiesta d’affido dei nonni. Poi l’uscita dalle case di cura, tre nuove perizie psichiatriche che attestano la capacità genitoriale e la voglia di crescere la sua bambina.

E’ la storia di Nicole (nome di fantasia), che a 30 anni viene ricoverata in un Centro per la riabilitazione psichiatrica in provincia di Bolzano. Due anni dopo, mentre è ricoverata, resta incinta. A 20 settimane di gestazione, in una relazione datata 29 maggio 2017, lo psichiatra – suo medico curante – propone “il parto indotto e il conseguente e immediato affido eterofamiliare del neonato”, ritenendola “incapace di accudirlo”. Alla base, sempre la diagnosi di schizofrenia di tipo paranoide, cronica, con esacerbazione acuta, trattata con una terapia farmacologica pesante. Il 4 luglio si parla di “parto cesareo programmato”.

I genitori di Nicole chiedono l’affido del nascituro, ma il 20 ottobre la giovane viene sottoposta a parto cesareo e la bimba viene portata via e affidata a una famiglia. Nessuno può vederla: madre, nonni e padre, quest’ultimo con tutta probabilità un ragazzo nigeriano la cui paternità non è mai stata accertata. Gli avvocati fanno ricorso, perdono in primo grado e in appello. L’11 luglio 2018, a seguito della sentenza del Tribunale dei minorenni di Bolzano, la bimba viene considerata adottabile in via definitiva.

Intanto la ragazza diminuisce i farmaci, si riavvicina alla famiglia e i primi di luglio di quest’anno torna definitivamente a casa. “Soggetto lucido, coerente, ben orientato nel tempo e nello spazio , pensiero privo di turbe sia della forma sia del contenuto. Desidera avere notizie della figlia, le manca, vuole poterla crescere”, scrive nella relazione del 29 giugno lo psichiatra Andrea Mazzeo. La conclusione è: “disturbo dell’umore, bipolare con caratteristiche miste e psicotiche, attualmente in remissione”. Un disturbo che “se correttamente curato non incide sulla capacità di intendere e volere e neanche sulla capacità genitoriale”, sottolinea il medico, che ritiene non corrette la diagnosi di schizofrenia e le terapie poiché “non è stata effettuata una rigorosa diagnostica differenziale”. “Lavora come badante, assiste una signora, se fosse affetta da schizofrenia non potrebbe farlo”, spiega Mazzeo. Stesse considerazioni a cui arriva il dottor Robert Tschenett, che conclude la valutazione “positivamente circa le competenze genitoriali”.

Con riferimento ai miei dati clinici – scrive il 5 luglio lo psichiatra Carlo Andrea Robotti – risulta indubbio come la paziente da gennaio non manifesti più alcun sintomo indicativo di psicosi. Pertanto la diagnosi di schizofrenia è da contestarsi fermamente in quanto inesatta e quanto meno da verificare e correggere a favore di una diagnosi di disturbo dell’umore”, per cui “sollecito una immediata presa in considerazione del significato della mia diagnosi per il diritto alla genitorialità”, conclude l’esperto.

Tutti e tre gli specialisti chiedono una revisione della diagnosi, considerata dannosa per la paziente e per la figlia e la sospensione immediata dell’iter di adottabilità. Un percorso a cui si è arrivati “per colpa di diagnosi e terapie sbagliate, con il Tribunale dei minorenni che non ha chiesto una seconda perizia: sulle 1400 pagine di cartelle cliniche a cui abbiamo avuto accesso dopo la sostituzione dell’amministratore di sostegno, ci sono solo 3 righe sulla diagnosi di schizofrenia”, denuncia Christian Masten, presidente dell’associazione Robin Hood.

L’11 luglio l’avvocato Boris Dubini – dopo tre denunce, tutte archiviate – deposita il ricorso presso la Corte d’appello di Bolzano per la revoca della sentenza definitiva, che ha dichiarato la minore adottabile e i nonni non idonei a essere affidatari della nipote.

Obiettivo: ottenere l’affidamento della bambina.