Ddl Pillon, anche gli avvocati siciliani chiedono il ritiro e rilanciano la petizione on line

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È in Commissione Giustizia al Senato dal settembre del 2018. Il disegno di legge Pillon – tecnicamente ddl 735 – è un’ipotesi di riforma, contestatissima. La pretesa è di riscrivere il diritto di famiglia, norme in materia di affidamento condiviso dei figli e mediazione familiare. Le critiche che il testo ha raccolto in questi mesi sono trasversali e arrivano tanto dagli operatori del diritto, quanto da molta parte della società civile e perfino dal mondo cattolico.

La notizia è che da ultimo si sono mossi anche avvocati e avvocate del Foro di Catania (di cui faccio parte). Si sono fatti promotori di un appello. L’intento è spiegare le ragioni che rendono quel testo del tutto inadeguato e certamente pericoloso. I giuristi etnei raccolgono adesioni anche di altri colleghi e insieme adottano la petizione rilanciata sulla rete dai centri antiviolenza, facendo da cassa di risonanza affinché il mondo forense si unisca, massiccio, a quelle firme.

Del resto, le occasioni pubbliche dove discutere della necessità che quel disegno di legge non continui il suo iter parlamentare si sono diffuse a macchia d’olio in poco tempo. Nella giornata del 26 febbraio, i parlamentari riunitisi al Senato, su invito di Emma Bonino (+Europa) e Valeria Fedeli (Pd), l’hanno definito un pericoloso attacco ai diritti di donne e bambini.

Dopo la nettissima resistenza femminista nei giorni del tredicesimo Congresso Mondiale delle Famiglie a Verona, le pressioni sono state avvertite anche dai 5 Stelle che hanno rallentato. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vincenzo Spadafora, dal salotto di La 7, ha bollato il testo dandolo per archiviato. Il vicepremier Matteo Salvini da subito ha fatto sapere che lui, però, non ci sta.

Non è soddisfatto della soluzione prospettata nemmeno chi quel ddl lo ha contrastato, sin dai primissimi giorni. Archiviato non vuol dire ritirato. Il pericolo concreto è che il suo contenuto venga trasfuso in un testo di più ampio respiro che ne riproporrà inevitabilmente tutti i limiti. Si ventila la possibilità che vengano accorpati in un solo disegno anche produzioni come il ddl 45 (firmatari Binetti, De Poli, Saccone), il 768 (Maria Alessandra Gallone, Forza Italia) e il ddl 118  (Antonio De Poli, Forza Italia). Da ognuno di quei tentativi di riforma, la PAS traspare. Ed è più che un’ombra, inquietante. Il comunicato alla presidenza del Consiglio del marzo scorso contiene già nelle prime battute il senso di marcia, ad esempio, del disegno di legge 45. Si sdogana una sindrome – peraltro mai accreditata tra gli esperti – richiamandosi a casi “documentati dagli studi di Richard A. Gardner”. Si tralascia di considerare però come il personaggio che si è inventato padre dell’alienazione parentale sia, in realtà, tra i più contestati in ambito scientifico e giuridico.

Ancora il 18 aprile si è tenuto a Milano un convegno dal titolo “I diritti dei bambini e i doveri degli adulti. L’uso dell’alienazione parentale nei tribunali per negare e ribaltare la violenza domestica: dove inizia il ddl Pillon e quali rischi per il futuro”. L’intento? Quello di ribadire la necessità di mantenere ferma una posizione che su Pillon non può consentire arretramenti. A oggi, comunque, si sa che l’esame di quel ddl non comincerà prima del 7 maggio. Il risultato al momento è questo.

E per tornare ai punti nevralgici, basterà rileggere le maggiori criticità di quella riforma per capire che coincidono con i pilastri stessi dello schema di legge:
a) mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni;

b) equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari;

c) mantenimento in forma diretta senza automatismi;

d) contrasto dell’alienazione genitoriale.
L’obiettivo principale ostentato dal ddl sarebbe quello di introdurre misure di ‘rafforzamento del principio della bigenitorialità’. Molteplici sono le valutazioni che spingono a condividerne un giudizio complessivamente negativo.

Di seguito l’appello di avvocate e avvocati del Foro di Catania che invitano, sulla scorta di una riflessione condivisa, ad aderire alla petizione lanciata da D.I.Re Donne in rete contro la violenza dal titolo Il disegno di legge Pillon su separazione e affido va ritirato.


Appello delle avvocate e degli avvocati del Foro di Catania sulla necessità che sia ritirato il ddl Pillon (n. 735), rubricato “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bi genitorialità”.

Sul disegno di legge Pillon che pretende di riscrivere le norme in materia di diritto di famiglia, affidamento condiviso dei figli e mediazione familiare. Un esame critico.

Le principali contestazioni.

Marginalizzazione del ruolo del giudice, residualità. Insufficienti garanzie per un’adeguata aderenza della decisione alle peculiarità del caso concreto.
Il disegno di legge ridisegna il ruolo del giudice, limitandone il campo di applicazione ad ambiti  ristrettissimi e residuali. Sul punto si richiamano, tra le altre, le gravi preoccupazioni espresse dall’Associazione Donne Magistrato Italiane.

“Il complesso progetto di riforma apporta significative modifiche al diritto di famiglia e nel perseguire l’obiettivo della ‘degiurisdizionalizzazione’ del diritto di famiglia introduce, in presenza di minori, interventi di mediazione preventiva a carattere obbligatorio. Al giudice vengono lasciati compiti residuali, attraverso anche l’introduzione di rigide previsioni in tema di affidamento del minore e di mantenimento. Numerose, infatti, sono le disposizioni volte a disciplinare in modo minuzioso il rapporto dei genitori con i figli, laddove, in un settore così delicato e sensibile, ove massimo rilievo assume l’aderenza della decisione alle peculiarità del caso concreto e la ricerca del superiore interesse del minore e della tutela del suo diritto alla felicità (Convenzione Assemblea Generale ONU sui ‘diritti del fanciullo’ del 20.11.1989, ratificata dall’Italia con la Legge 27 maggio 1991 n. 176), troppo spesso solo un’attenta valutazione del giudice, nel pieno rispetto del contraddittorio delle parti, può garantire”, documento redatto dal Gruppo di lavoro ADMI, Associazione Donne Magistrato Italiane.

Vista la premessa; considerata la contestazione sollevata sul punto; ritenuta pacificamente la tutela del superiore interesse del minore alla stregua di una esigenza non negoziabile; tutto ciò rilevato, il ddl n. 735 risulta inemendabile e va pertanto ritirato.

Mediazione civile obbligatoria. Violazione della Convenzione di Istanbul. Disparità di accesso all’autorità giudiziaria
Il disegno di legge introduce la mediazione civile obbligatoria qualora siano coinvolti figli minorenni e la prevede quale condizione processuale necessaria per chiedere poi la separazione o il divorzio.

La prescrizione si pone in aperto contrasto con le previsioni della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla “Prevenzione e Contrasto alla Violenza contro le donne e della Violenza Domestica”. La norma, nota a tutti come Convenzione di Istanbul e  ratificata dall’ Italia con legge n. 77 del 2013, prevede all’articolo 48 il divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, quali la mediazione e la conciliazione, in caso di violenza di genere e domestica. Testualmente: “Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a vietare i metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui la mediazione e la conciliazione, per tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione”.

Lella Palladino, la presidente di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, ha definito il ddl “una trappola in grado di imprigionare le donne, soprattutto quelle più fragili, in relazioni violente, con grave rischio per la loro incolumità e per quella dei minori”.

Effetti secondari ma non meno gravi che deriverebbero dalla riforma Pillon, sono peraltro da non tralasciare. La previsione della onerosità della mediazione pone a carico delle parti un preciso onere economico. Lo stesso, in assenza di copertura del beneficio del patrocinio a spese dello Stato, graverebbe certamente sulle fasce più deboli impedendo loro l’accesso alla giustizia.

Vista la premessa; considerata la contestazione sollevata sul punto; stante altresì la assoluta gravità del fenomeno della violenza domestica, il cui carattere di questione strutturale globale è stato confermato peraltro nel nostro Paese dalla Relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, 17ª Legislatura, approvata all’unanimità il 6 febbraio 2018; tutto ciò rilevato il ddl n. 735 risulta inemendabile e va pertanto ritirato.

Misure di effettiva uguaglianza tra padre e madre nei confronti dei figli. La bigenitorialità declinata nella forma della perfetta simmetria: la doppia vita del bambino.
Il disegno di legge si ispira a una forma di bigenitorialità “perfetta”, in nome della quale sia le donne che i minori rimangono sprovvisti di adeguata tutela. Il provvedimento finisce per prevedere per il bambino una doppia vita: due domicili, due case, una suddivisione equa e aritmetica dei tempi di permanenza presso entrambi i genitori (non meno di 12 giorni al mese e 12 notti con ciascuno).

Restano evidentemente frustrate le peculiarità delle singole situazioni che, invece, andrebbero vagliate caso per caso.

“La disposizione, di connotazione adultocentrica, risponde esclusivamente all’interesse dei genitori e si pone, dunque, in contrasto con il ricordato art. 2 della Convenzione di New York sui ‘diritti del fanciullo’, che assume l’interesse del bambino come regola dell’agire dei genitori nell’esercizio della responsabilità genitoriale e come criterio. L’interesse superiore del bambino non può, invero, essere stabilito in astratto dal legislatore, ma va accertato e stabilito “caso per caso” dai genitori e in caso di loro mancato accordo dal giudice, che nel decidere deve farlo tenendo conto di “quel” minore, della sua storia personale, dei legami affettivi e del contesto familiare, sociale ed economico in cui vive, onde assumere provvedimenti non standardizzati e calibrati su quel specifico minore e che sono destinati ad incidere fortemente sulla sua vita e sullo sviluppo della sua personalità. Le norme del DDL appaiono contrastare con tale principio, in violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione che prevede l’esercizio della potestà legislativa da parte dello Stato nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”, documento redatto dal Gruppo di lavoro ADMI, Associazione Donne Magistrato Italiane.

Vista la premessa; considerata la contestazione sollevata sul punto; stante la vigenza nel quadro giuridico attuale e sin dalla riforma del 2006 dell’affidamento condiviso quale regola, a fronte della eccezionalità dell’affidamento esclusivo inteso come regime del tutto residuale; fermo il principio del rispetto del superiore interesse del minore, attorno al quale costruire la concreta declinazione della bigeniorialità; asserito che il ddl Pillon pone come prioritaria la questione della conservazione e del recupero del rapporto genitore-figlio da difendere a prescindere, seppure in presenza di gravi fatti e correlati pericoli quali quelli che caratterizzano episodi di violenza domestica e correlata violenza assistita; tutto ciò rilevato il ddl n. 735 risulta inemendabile e va pertanto ritirato.    

Superamento dell’assegno di mantenimento e cancellazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Nessuna tutela per il coniuge economicamente più debole. Violazione della parità di trattamento per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti
Il disegno di legge prevede il definitivo superamento dell’assegno di mantenimento.

Già, in argomento, a far riflettere basterebbero i dati sul gender gap elaborati nel rapporto Global Gender Gap 2017 del World Economic Forum che riconosce all’Italia l’82esima posizione su 144.

Ad aggravare le conseguenze di quella previsione, la prescritta cancellazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

La forma di mantenimento cosiddetta diretta prevede per contro su entrambi i genitori un obbligo di accudimento e di cura quotidiani. Sarebbe cancellata, nella vigenza di quella riforma, qualsiasi forma di contribuzione economica del coniuge più forte in favore di quello economicamente più debole.

Ciò determinerebbe grave nocumento al minore, che si troverebbe peraltro a vivere due situazioni familiari completamente diverse sul piano delle possibilità economiche e della sistemazione abitativa e godrebbe quindi di una qualità della vita sensibilmente diversa  durante i tempi di permanenza previsti presso l’abitazione dei rispettivi genitori. Questo dualismo nella vita del minore finirebbe per incidere, non solo sui suoi bisogni materiali e sulla sua regolarità e qualità di vita (alloggio, vitto, vestiario, svaghi ecc…), ma persino sulla formazione della sua personalità, finendo per compromettere anche il sano sviluppo dell’attaccamento del minore alle figure genitoriali (che potrebbe essere fuorviato dalle condizioni materiali che i genitori possono, rispettivamente, offrirgli).

Nessuna possibilità per una donna sprovvista di reddito sufficiente di mettere fine a un’unione divenuta intollerabile.

Il ddl ignora del tutto il contesto sociale ed economico del Paese, la grande disparità economica tra uomini e donne esistente, la differenza tra i genitori nello svolgimento dei  ruoli di cura dei figli all’interno delle famiglie sin dalla loro formazione e la carenza di un’adeguata rete di servizi alla genitorialità. Sono circostanze facilmente verificabili anche in termini di numeri. Secondo i più recenti dati OCSE (rapporto 2018), le madri italiane sono mediamente occupate tra figli e cura della casa per 306 minuti al giorno, diversamente gli uomini si fermano a 131 minuti. Le donne italiane continuano peraltro a lavorare all’esterno in misura minore rispetto alla media europea e sono pertanto pagate di meno. Il gender gap si attesta in una forbice tra l’8,1% e il 13,5%. Lo squilibrio aumenta se guardiamo alle madri: una delle caratteristiche delle storie lavorative femminili in Italia è la propensione all’abbandono del lavoro alla nascita dei figli. In Italia le dimissioni volontarie nei dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro  a disposizione (anno 2016) e che riguardano genitori con figli fino a 3 anni d’età sono state 37.738. Tra le mamme, appena 5.261 sono quelle transitate presso altro datore di lavoro, le rimanenti 24.618 hanno espresso esplicite motivazioni che richiamano le grandi difficoltà di prestare assistenza al bambino, con incidenza evidente delle carenze di nidi e servizi equivalenti. Per gli uomini la situazione è capovolta.

Le due letture combinate ci raccontano di donne che si trovano in una gravissima posizione di svantaggio nel momento in cui, in seguito a separazione o divorzio, le risorse economiche diventino una precondizione per trascorrere tempo con i figli. L’uguaglianza dei genitori deve essere garantita e promossa sin dalla nascita del figlio a livello professionale e familiare, come auspicato dalla Risoluzione n. 2079 del Consiglio d’Europa, e non può essere invece magicamente realizzata al momento della separazione.

E se le donne per motivi sia strutturali che culturali sono di fatto maggiormente coinvolte nel tempo dedicato alla famiglia, l’ordinamento – come spiega INPS – prevede un congedo di maternità obbligatorio di cinque mesi, contro un congedo di paternità obbligatorio e retribuito di due giorni. A questi fanno seguito dieci mesi di congedo parentale retribuito al 30% di cui possono usufruire, alternativamente, entrambi i genitori, e che arriva a 11 mesi se è il padre ad usufruirne per almeno tre mesi. Il numero di padri che usufruiscono del congedo parentale facoltativo è poi passato dall’11% del 2012 al 18,4% del 2016. Una quota che evidentemente non è sufficiente per pensare che la bigenitorialità sia coltivata come prassi nelle famiglie italiane sin dalla nascita dei figli.

Lo squilibrio tra i sessi quanto a lavoro retribuito, l’assenza nel nostro paese di un’adeguata rete di servizi alla genitorialità sono fattori che certamente non aiutano la parità economica tra donne e uomini.

Preliminare a qualsivoglia intervento normativo in tema di bigenitorialità diventa quindi la realizzazione della partecipazione femminile nel mercato del lavoro con l’eliminazione dei  differenziali salariali.

Anche le regole sulla assegnazione della casa coniugale, con il nuovo testo, salterebbero tutte.

I rapporti patrimoniali rimarrebbero disciplinati sulla base delle vigenti norme in materia di proprietà e di comunione.

E ancora, fermo il doppio domicilio, si aprirebbero ipotesi in cui l’interesse del minore consentirebbe al giudice di disporre una sorta di collocamento presso uno dei genitori nella casa familiare.

La conseguenza prevista dalla riforma sarebbe l’imposizione a carico del coniuge non proprietario di un onere dapprima definito “indennizzo” e poi quantificato sul valore commerciale del canone di locazione. Il coniuge debole soccomberebbe, rimanendo privo di qualsiasi tutela giuridica in un procedimento di separazione così regolato.

Il testo inoltre riscrive la legittimazione alla ricezione dell’assegno ai figli maggiorenni; prevede che l’assegno sia un onere da imporre a carico di entrambi i genitori e fa venir meno il relativo obbligo al raggiungimento del 25esimo anno di età del figlio “ovvero” quando la mancata occupazione sia dipesa da negligenza, rifiuto di offerte, colpevole inerzia nel completare il percorso di studi intrapreso.

Vista la premessa; considerata la contestazione sollevata sul punto; stante la necessità di non svuotare il nostro ordinamento delle prescritte tutele per il coniuge economicamente più debole e per i figli, sia minori che maggiorenni non economicamente autosufficienti, nel rispetto del principio di uguaglianza; riconosciuto che il ddl Pillon conduce un attacco senza pari nei confronti delle donne; tutto ciò rilevato il ddl n. 735 risulta inemendabile e va pertanto ritirato.    

Positivizzazione della Pas
Il disegno di legge prevede all’art. 14 del testo di riforma una norma che modificherebbe il codice civile, disponendo che “è compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, di adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice”.

Il quadro diventerebbe nella vigenza del nuovo testo – se possibile – ancora più grave con l’estensione degli ordini di protezione.

E infatti, nella fattispecie in cui “il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno dei genitori”, il ddl considera la misura applicabile “pur in assenza di evidenti condotte” di uno dei coniugi.

Essa potrebbe condurre alla inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore ma anche al collocamento provvisorio del bambino presso una apposita struttura specializzata.

 “Di fatto, si introduce surrettiziamente una sorta di presunzione della cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale (PAS – Parental Alienation Syndrome), priva di qualsivoglia fondamento scientifico. Allo stato la comunità scientifica internazionale non ha accreditato l’alienazione genitoriale in termini di “sindrome”, ossia di patologia. Già nel 2012 , l’Istituto Superiore di Sanità, che è il più alto organo di consulenza scientifica del Ministero della Salute, nell’esprimere il proprio parere a seguito di una interpellanza parlamentare, ebbe a sottolineare che “i fenomeni di ritiro dell’affetto da parte del bambino nei confronti di uno dei genitori (…) possono essere gestiti dagli operatori legali e sanitari senza necessità di invocare una patologia mentale per spiegare i sentimenti negativi di un bambino verso un genitore”, aggiungendo che la configurazione della PAS come “patologia mentale” non aveva “sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica”, sicché era arbitraria la sua inclusione tra i disturbi mentali (v. Resoconto seduta Camera n. 706 del 18.10.2012). Sulla questione si è pronunciata anche la S.C., escludendo che “…in ambito giudiziario possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare” (cfr. Cass., 2013, n. 7041). In tal senso anche la più recente giurisprudenza di merito, che ha escluso la configurabilità di una “patologia” del minore conseguente al comportamento alienante del genitore “…non comprendendosi perché se “litigano” i genitori, gli accertamenti diagnostici debbano essere condotti su chi il conflitto lo subisce e non su chi lo crea” (cfr. decreto sez. IX civ. Trib. Milano, 9-11 marzo 2017)”, documento redatto dal Gruppo di lavoro ADMI, Associazione Donne Magistrato Italiane.

Il testo abroga, inoltre, in un altro passaggio il disposto del secondo comma dell’art. 151 del codice civile, facendo venir meno con un colpo di spugna qualsiasi conseguenza alla violazione dei doveri che derivano dal matrimonio.

Vista la premessa; considerata la contestazione sollevata sul punto; stante la necessità di non introdurre nel nostro ordinamento la Sindrome da alienazione parentale, fortemente contestata tra gli esperti e sprovvista di qualsiasi fondamento giuridico; tutto ciò rilevato il ddl n. 735 risulta inemendabile e va pertanto ritirato.    

Pertanto, per riaffermare il rispetto della dignità umana; per riaffermare la non negoziabilità del principio del rispetto del superiore interesse del minore; per riaffermare le prescrizioni della Costituzione; per riaffermare le prescrizioni della Convenzione di Istanbul; per non recedere dalla necessità di promuovere un’azione di contrasto efficiente al fenomeno della violenza domestica e della violenza assistita, chiediamo che il ddl  n. 735 sia immediatamente ritirato.

Aderiamo pertanto alla petizione lanciata da D.I.Re Donne in rete contro la violenza Il disegno di legge Pillon su separazione e affido va ritirato e invitiamo tutti alla condivisione e alla firma. 

Lista dei primi firmatari del documento

Avv. Maria Concetta Tringali (Foro di Catania)

Avv. Lidia Timpanaro (Foro di Catania)

Avv. Anna Aloisio (Foro di Catania)

Avv. Rosanna Cantarella (Foro di Catania)

Avv. Carola Pilato (Foro di Catania)

Avv. Katia Germanà (Foro di Catania)

Avv. Pinuccia Brucchieri (Foro di Catania)

Avv. Rosa Veronica Marino (Foro di Catania)

Avv. Patrizia Pellegrino (Foro di Catania)

Avv. Mauro Porto (Foro di Catania)

Avv. Luca Raffaele Pandetta (Foro di Catania)

Avv. Goffredo D’Antona (Foro di Catania)

Avv. Monica Foti (Foro di Catania)

Avv. Riccardo Liotta (Foro di Catania)

Avv. Loredana Mazza (Foro di Catania)

Avv. Sabina Caruso (Foro di Catania)

Avv. Veronica Sicari (Foro di Catania)

Avv. Simone Luca (Foro di Catania)

Avv. Angela Coppola (Foro di Catania)

Avv. Lucia Tuccitto (Foro di Catania)

Avv. Domenico Costanzo (Foro di Catania)

Avv. Renato Chizzoni (Foro di Catania)

Avv. Maria Mistretta (Foro di Catania)

Avv. Antonella Cascione (Foro di Catania)

Avv. Agata Licciardello (Foro di Catania)

Avv. Francesco Marchese (Foro di Catania)

Avv. Denise Caruso (Foro di Catania)

Avv. Angela Bonaccorso (Foro di Catania)

Avv. Donatella Tinella (Foro di Catania)

Avv. Andrea Di Mauro (Foro di Catania)

Avv. Giusy Latino (Foro di Catania)

Avv. Gaetano Piccitto (Foro di Caltagirone)

Avv. Salvino Scalia (Foro di Caltagirone)

Avv. Anna Maria Rizzo (Foro di Caltagirone)

Avv. Barbara Soncin (Foro di Macerata)