“Quando mi chiedono se ho avuto un parto naturale, mi viene un po’ da ridere. Devo rispondere di sì, perchè sulla mia cartella c’è scritto così. Ma se penso a tutto quello che è successo, dentro di me so che io un parto naturale non saprò mai cos’è.”
Liliana, 39 anni
Si dice che subito dopo aver partorito le donne dimentichino il dolore del parto. Pare che sia una sorta di dono della natura per permettere la continuità della specie, altrimenti nessuna avrebbe il coraggio di passare una seconda volta attraverso quel dolore. La verità è che le donne sanno benissimo che partorire è come scegliere un cioccolatino dalla scatola di Forrest Gump: non sai mai quello che ti capita.
I parti non sono tutti uguali, così come le donne non sono tutte uguali. Di più: una stessa donna non partorisce due volte nello stesso modo. Selene, 30 anni, racconta che poche ore dopo il primo parto ha pensato che in fondo un secondo figlio poteva anche averlo. Dopo il secondo ha una sola certezza: non ce ne sarà mai un terzo. Lei e il compagno concordano nel pensare che ci sia stata una forma di violenza che li ha scioccati: la loro bambina è nata in sala travaglio perchè l’ostetrica sosteneva che Selene non fosse ancora in fase espulsiva, tesi che ha ribadito nella cartella anche per iscritto. Una volta tornata a casa Selene ha iniziato a sentire disagi di varia natura con la muscolatura addominale e pelvica. Ha capito di aver vissuto un trauma, ma ha diligentemente aspettato i 40 giorni canonici prima di farsi confermare da un ginecologo che non ci fosse nessun problema fisico. Allora ha capito che il danno era psicologico, e ha cominciato un percorso terapeutico.
Ma non tutte hanno la stessa lucidità e consapevolezza. Racconta Lucia, 37 anni: “Il parto mi ha profondamente cambiata, ma questo mi sembrava normale. Solo che mi sentivo cambiata in peggio: avevo crisi di rabbia, sbattevo porte, alzavo la voce, rompevo oggetti. Non ero mai stata così. Ma ci ho messo un anno a rendermi conto che se ero così arrabbiata c’era un motivo. Ho cominciato un percorso di psicoterapia e ho capito di essere arrabbiata per com’era andato il mio parto. Con me stessa, con i medici. Non riuscivo a far pace con l’idea di non essere stata all’altezza”.
All’altezza di cosa? Le aspettative sono altissime: il desiderio di un’esperienza di parto positiva spesso si trasforma in una subdola sensazione legata alla capacità o meno della donna di partorire velocemente, senza troppe tragedie, lasciandosi guidare dai medici e rimettendosi in piedi poche ore dopo trasfigurata dalla gioia. Il parto diventa una performance, le donne delle atlete, se fanno il cesareo delle panchinare. E se le cose vanno in modo leggermente diverso, sentono di aver perso la gara. Suona brutale detta così. Ma sono sensazioni spesso più reali della razionalità, e poche donne hanno il coraggio di raccontarlo.
Un parto può essere definito difficile per molte ragioni: fisiologiche, di protocollo medico, psicologiche. Non sempre hanno a che fare con il parto in sè, talvolta con le circostanze, o con la predisposizione psicologica della donna. Secondo Clio, 34 anni, immobilizzata nel letto per 11 giorni a causa di complicazioni con l’epidurale: “Un parto difficile è qualunque parto che crei disagio alla mamma: perché qualcosa ha messo in pericolo lei e il suo bambino, perché non si è sentita protetta, perché ha avuto tanta paura e ha avuto bisogno di tempo per elaborarla, perché si è sentita sola, perché non si è sentita all’altezza”.
Ciascuna ragione merita attenzione, perchè ogni donna merita che il proprio dolore venga trattato con dignità e legittimato.
L’ostetrica (e mamma) Claudia Sfetez, autrice del libro “Guarire dal parto”, afferma: “Vivere un parto traumatico può essere più simile all’esperienza di essere un bambino, piuttosto che avere un bambino. Nessuno sembra rendersi conto di come questo tipo di shock sia reale e in grado di suscitare, nella donna, sensazioni di debolezza, incapacità, vulnerabilità, paura e fragilità – esattamente come un neonato lasciato solo la notte”.
Con questo non si vuol dire che il parto sia sempre un trauma. Di sicuro è un momento di trasformazione intenso per ogni donna, e ognuna lo attraversa con tempi e modalità personali. Quello che è importante riconoscere, oggi, è che una donna può provare un profondo disagio, a prescindere dalla gravità delle complicazioni incontrate. Continua Sfetez: “La ferita causata da un parto e una nascita traumatici non è riconosciuta a livello sociale: la mamma deve accontentarsi di esserne uscita viva e se timidamente prova a esternare il suo malessere viene spesso vista come un’ingrata che non sa gioire della nascita del suo bambino”.
Il dolore fa parte della gamma delle emozioni umane. Può spaventare, può travolgere, ma mai dovrebbe essere negato o lasciato a macerare in una stanza dell’anima. Soprattutto in un momento delicato come quello in cui si diventa genitori, in cui il tempo per sè si fa risicato e imprevedibile ed è fin troppo facile perdere la consapevolezza di se stessi nel presente.
Le madri hanno bisogno di una rete di sostegno che permetta loro di liberare il dolore di un parto difficile, piccolo o grande che sia, per compiere un percorso che avrà le sue tappe negli studi degli specialisti del caso: psicologi, ginecologi, ostetriche e tutto ciò che la madre riterrà utile per la sua metamorfosi verso la serenità. Compreso il sostegno di chi la circonda.