Safer Internet Day e benessere dei bambini nella rete: “Proteggimi da ciò che voglio”

boy-110762_1920Il 5 febbraio, come ogni anno, è stato celebrato in tutto il mondo il Safer Internet Day, giornata sulla sicurezza dei minori nella rete, istituita dalla Commissione Europea, il cui obiettivo è aumentare la consapevolezza e favorire azioni concrete che promuovano un uso più sicuro e responsabile della tecnologia. Bambini e adolescenti si confrontano quotidianamente con un web nel quale circolano innumerevoli rischi: per citarne solo alcuni, cyberbullismo, grooming (ovvero adescamento da parte di malintenzionati), fake news, violazioni della privacy e utilizzo improprio dei dati, gioco d’azzardo, siti pro anoressia e bulimia, pagine che incitano all’autolesionismo e a pratiche affini – come Blue Whale – che sotto le spoglie del gioco mettono in pericolo la vita.

La sicurezza nel web è un diritto, come abbiamo detto più volte sulle pagine di questo blog, ma il discorso sulla rete non può esaurirsi nell’ambito della sicurezza o nella richiesta di maggiori tutele: accanto a questo, infatti, ce n’è uno più ampio che riguarda lo sviluppo del bambino e il crescere always on, sempre connessi. Come l’assenza di malattia non corrisponde alla salute mentale, per citare una nota definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1946, così l’assenza di pericoli non corrisponde al benessere nella rete.

Siamo di fronte ad un motore senza precedenti di innovazione, connessione e sviluppo. Il mutamento antropologico e sociale provocato dall’avvento dell’era digitale sta avendo una profonda influenza sullo sviluppo psichico, portando ad una ri-definizione dell’identità. Gli schermi, come scriveva già nel 1996 Sherry Turkle nel suo libro “La vita sullo schermo”, non sono più semplici macchine da calcolo o da lavoro, ma luoghi generatori di simboli, teatro di comunicazioni e relazioni, contesti attivatori di nuovi e specifici processi cognitivi, affettivi e relazionali.

In Internet un bambino nato oggi impara a sdoppiarsi e a moltiplicarsi, a camuffarsi e a sembrare più bello, a cambiare la propria identità, anche di genere; può trovare una seconda chance per diventare ciò che non è potuto – e forse non potrà – essere fuori dalla rete, può abolire non solo le barriere spazio-temporali ma anche quelle determinate dalla sua origine, dal suo background culturale e sociale, dal suo aspetto fisico. Queste manipolazioni identitarie – che per alcuni rappresenteranno vere e proprie occasioni per sperimentare, per arricchirsi e, perché no, anche per salvarsi – non sono però altrettanto perseguibili nella vita offline: abituati al controllo dell’immagine e al ritocco delle proprie foto, con “filtri bellezza” ormai automatici, i ragazzi rischiano di sviluppare un rapporto problematico con il proprio corpo, faticando ad accettare il limite che ogni corpo porta con sé.

Il confine tra reale e virtuale è stato eroso al punto che alcuni bambini e adolescenti iniziano a percepire il mondo della rete come più intimamente ed emotivamente vissuto rispetto all’offline. La stessa educazione alla sessualità per molti inizia nella rete e in essa trova un importante luogo di espressione. Come cambia il rapporto con la sessualità se le prime esperienze sono mediate da uno schermo e nutrite di pornografia online? I bambini e gli adolescenti abituati ad interazioni mediate dalla tecnologia rischiano di sviluppare più limitate capacità relazionali, in particolare quelle che nascono nell’incrocio di sguardi come la fiducia, l’empatia e la reciprocità. I messaggi sui social iniziano a sostituire le interazioni faccia a faccia in modi che, come ha evidenziato Sherry Turkle, possono portare a sentirsi più connessi ma in fondo più soli.

Un nativo digitale impara rapidamente il bello dell’avere Google sempre a portata di mano e cresce libero dal bisogno (ma al tempo stesso perdendosi il piacere) di ricordare il più possibile o di imparare qualcosa a memoria. Cresce nella consapevolezza che tutti abbiano diritto di parola e potrà capitare, a palese smentita di quel principio di autorevolezza della fonte che è caposaldo inviolabile per le generazioni precedenti, che il suo parere di influencer incontri più like di quelli di uno scienziato che studi da decenni il medesimo argomento. Sempre in rete, scopre l’efficacia che può avere una risposta istantanea, istintiva, non pensata, ma correrà il rischio di abituarsi  ad usare prevalentemente quella modalità di risposta, dimenticando il valore dei distinguo, delle sfumature e dell’argomentazione, potendo crescere facile preda di polarizzazioni di gruppo, di odi, invidie e fanatismi.

I confini dell’umano vengono ridisegnati e così la nostra apertura al mondo: “Osservate la gente correre indaffarata, nelle strade. Non guardano né a destra né a sinistra, preoccupati, con gli occhi fissi a terra, come cani. Tirano diritto, ma sempre senza guardare davanti a sé […]”, disse Ionesco ad una conferenza nel 1961. Oggi potremmo dire che l’uomo che non guarda né a destra né a sinistra ha quasi sempre gli occhi fissi sul proprio cellulare. Quali scelte si rendono necessarie? E’ sempre più evidente che il benessere nella rete dipende non solo da quanto avviene online, ma anche e soprattutto da scelte educative che avvengono al di fuori dal web, nelle famiglie, nella scuola, negli altri contesti di vita del bambino.

I bambini si abituano oggi ad una serie di operazioni psicologiche mediate dalla tecnologia che, d’altro canto, fin da quando sono piccoli, rappresenta un oggetto del desiderio. “Protect me from what I want” (proteggimi da ciò che voglio), ha scritto l’artista concettuale statunitense Jenny Holzer. Non possiamo scavalcare le nuove tecnologie, ponendoci in una posizione “tecnoclasta”, né disconoscere che rappresentino un oggetto del desiderio.

E’ dunque auspicabile che genitori, insegnanti, educatori, riconosciuto e rispettato questo desiderio storicamente determinato, possano impegnarsi ad incanalarlo, a partire proprio da una maggiore consapevolezza di come la rete stia modificando i percorsi di sviluppo dell’essere umano, influenzando dinamiche psicologiche complesse relative all’autoriconoscimento, al senso di sé, all’identità e alla relazione. Provando – con un surplus di esperienza – a compensare, rinvigorire, fortificare, ove necessario rianimare e rivitalizzare abitudini, parole e gesti: il guardarsi negli occhi senza il filtro di uno schermo, il corpo come campo di esperienza, il tempo dell’attesa e della riflessione prima di una risposta, il legame affettivo vis a vis che sostiene l’autoriconoscimento, il senso di continuità e non da ultimo il nostro valore. Tutto questo per evitare di archiviare, insieme ad un mondo ormai bollato dai più giovani come “vecchio”, modalità di interazione, di pensiero, di comunicazione, di apprendimento che forse rappresentano quanto di più umano esista in noi, che ci aiutano a crescere sani e a stare bene, anche nel web.