Donne in finanza, quanto servono i capi illuminati!

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Qualche tempo fa entro nella sala di un evento a cui era presente tutto il vertice della finanza italiana (del settore pubblico e privato). Mi guardo intorno e vedo una distesa di completi blu, grigi e neri: eravamo forse 10 donne su 80 persone. Mi si avvicina una donna sorridendo e mi dice “cercavo le quote rosa” (lo stesso istinto che avevo avuto io!). Questo episodio spiega bene i numeri che seguono.

Nel settore finanziario le donne costituiscono circa la metà della forza lavoro a livello globale: in Italia erano circa il 44% nel 2015. Le donne in posizioni di vertice sono però circa il 22% nel settore pubblico e 17% nel settore privato, dietro a Svezia, Finlandia, Regno Unito e Austria ma davanti a Germania e Francia (dati 2016). Che cosa significano questi numeri? Una cosa molto semplice: alla base donne e uomini sono circa 50% e 50%. Supponiamo di avere 100 persone e che di questi 50 siano bravissimi e 50 di media bravura, equamente divisi tra donne e uomini (25 e 25). Se al vertice arrivano 20 persone avremo 5 donne e 15 uomini. Le probabilità che le 5 donne siano state scelte tra le 25 bravissime sono maggiori di quelle che i 15 uomini siano stati presi tra i 25 bravissimi: se si aumentano le donne al vertice, quindi, il livello e la performance aziendale aumenta, perché le 15 bravissime che sono rimaste fuori nel mio esempio avranno la possibilità di salire e di far fruttare le proprie competenze a beneficio dell’azienda.

Non solo. La diversità permette di analizzare i problemi da una pluralità di angolazioni e con maggiori sfaccettature: la qualità dei processi decisionali e dei servizi offerti è migliore, e l’attività svolta dall’ente risulta più sostenibile nel tempo. Gli studi dimostrano inoltre che il modello di leadership a quasi esclusiva presenza del genere maschile, che caratterizza il settore finanziario, genera il funzionamento a silos delle organizzazioni, lo sviluppo di networks chiusi (i cosiddetti old boys network) che ostacolano la necessaria apertura all’innovazione.

Cosa serve per superare questo gap? Esistono diversi studi interessanti sui tanti fattori che rendono difficile l’accesso per le donne alle posizioni apicali. Qui mi voglio soffermare sul ruolo di chi è già al vertice. Per favorire l’ascesa di donne ai ruoli apicali servono infatti capi illuminati. Ovviamente è un tema trasversale. Capi bravi servono a uomini e donne e fanno bene agli enti in cui operano, ma per le donne, che hanno in genere bisogno di maggiore incoraggiamento e partono numericamente svantaggiate, sono fondamentali.

In Italia, purtroppo, c’è poca cultura manageriale, soprattutto nel settore pubblico. Spesso si diventa manager per anzianità di servizio o perché si è competenti. La competenza (certamente necessaria) e l’età però non bastano. Un manager dev’essere, prima di tutto, capace di gestire persone. Un lavoro molto difficile perché implica saperle osservare, capire le loro qualità, le loro esigenze e frustrazioni; occorre saper interpretare le dinamiche di gruppo e saperle dirigere al meglio. In pochi hanno un talento naturale nel fare questo.

La maggior parte delle persone, anche quelle meglio dotate e ben intenzionate, ha bisogno di essere formata. Occorrerebbe quindi prestare maggiore attenzione alla formazione dei manager (uomini e donne). Preparare donne che siano pronte a ricoprire ruoli apicali non significa infatti solo passare delle competenze ma anche delegare, dare fiducia e responsabilizzare, in modo che crescano e sappiano a loro volta trasmettere una cultura manageriale aperta.

I capi illuminati sono coloro che non schiacciano i dipendenti di valore ma li incoraggiano a migliorare e sfruttare le proprie capacità. Sono quelli che gioiscono nel vedere un proprio collaboratore fare progressi, diventare autonomo e prendere il volo verso ruoli di responsabilità anche superiori a quelli ricoperti da loro. I capi illuminati andrebbero premiati perché fanno del bene non solo alle persone che lavorano con loro, alla loro azienda ma anche alla comunità nel suo complesso.

[1] Le opinioni espresse sono esclusivamente dell’autrice e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.