“Oggi la democrazia in tutto il mondo affronta la sua più grande crisi in decenni, le sue basi sono minate dall’invettiva dall’alto e dalle tossine dal basso, dalle nuove tecnologie che alimentano impulsi antichi, da un cocktail velenoso di uomini forti e istituzioni indebolite”.
L’Editor in chief del Time, Edward Felsenthal, ha motivato così la decisione della sua rivista di scegliere come “people of the year 2018” i giornalisti. Eppure la categoria non sembra godere di “buona stampa” in genere e con la “democratizzazione” dell’informazione attraverso i social i confini fra chi fa informazione per professione e chi, invece, lo fa per altri fini/obiettivi sembrano ormai scomparsi. Ma una differenza fra le due cose sopravvive e i giovani, certo con i loro metodi che non sono più quelli delle generazioni precedenti, la riconoscono. Tanto che il dato emerge chiaro dall’ultima ricerca fatta da Pew Research Center sugli under 30 “Western Europeans under 30 views news media less positively, rely more on digital platforms than older adults“.
Certo nella ricerca emergono cose che già sapevamo: i giovani credono meno nei media dedicati all’informazione, sono più critici e raramente leggono la carta stampata. Ma sull’online sanno fare la differenza e se devono indicare una fonte credibile citano i siti online di testate storiche. La ricerca è stata condotta in otto Paesi (Danimarca, Francia, Germania, Italia , Olanda, Spagna, Svezia e Gran Bretagna), che contano insieme per il 69% della popolazione dell’Ue e per il 75% della sua economia. Un buon panel (16.114 persone), quindi, per capire in che direzione stanno andando i lettori di domani (under 30), che vengono messi a confronto con i 30-49enni e con gli over 50.
Uno dei risultati, fondamentali e non scontati, è che negli otto Paesi, trasversalmente nelle 3 fasce di età, viene riconosciuto che l’informazione è importante per la società. La peculiarità italiana è la percentuale più bassa a livello europeo del dato negli under 30: il 75% (che comunque sono 3 su 4) contro il massimo europeo rappresentato dal 94% della Svezia.
Una differenza generazionale pesante è quella che divide le generazioni in base alla fonte di informazione. “L’ha detto il tg” non vale più per i giovani come indice di credibilità di una notizia. Anche perché ormai il tg non lo guardano più. In tutti gli otto Paesi emerge come i giovani abbiano come fonte primaria l’online (73%) contro gli over 50 che invece prediligono la tv (87%).Le percentuali relative alla carta stampata sono di tutt’altro ordine di misura: leggono i giornali 4 su 10 degli over 40, 2 su dieci dei 30-49enni e solo uno degli under 30. Ammettiamolo: riuscire a dire che la carta non è morta, di fronte a certe percentuali è davvero dura.
E in Italia il divario si va allargando sempre di più se si considera che solo la metà degli over 50 leggono notizie online quotidianamente (56%), contro gli 8 su 10 (83%) dei giovani. E in questo discorso non si può non considerare la fonte di accesso ed entrano in gioco, per forza di cose, i social media. Se in Europa solo un terzo degli over 50 arriva alla fonte della notizia attraverso un social (41% in Italia), per gli under 30 la percentuale si alza in modo vertiginoso e in Italia (seconda solo alla Danimarca) arriva al 74 per cento. Una “mediazione” che porta con sé già dall’origine il commento alla notizia che si leggerà. Arriva, quindi, prima l’interpretazione e poi il “fatto”.
L’uso, però, assiduo dei social ha permesso ai giovani di sviluppare gli “anticorpi” al mezzo, tanto che hanno una coscienza della fonte della notizia più elevata degli adulti over 50. Un dato che sembrerebbe confortante, se non che in Italia è tutto schiacciato nella parte bassa della forchetta. Solo 6 giovani su dieci conoscono le fonti delle notizie contro gli 8 su 10 a livello europeo. Un dato che si abbassa a 4 su 10 negli over 50 italiani. Non per niente, infatti, una ricerca dell’università di Princeton e di New York pubblicata online sulla rivista scientifica Science Advances ha dimostrato come siano gli over 65 a condividere fino a sette volte più notizie false rispetto ai giovani. D’altra parte, non distinguere la fonte e la sua attendibilità, porta ad essere più vulnerabili di fronte ai fake.
Il dato positivo (almeno per chi come la sottoscritta lavora per una testata storica come Il Sole 24 Ore) è che i giovani hanno sì una minor fiducia nei mezzi di informazione, ma anche online riconoscono la credibilità dei “brand”. E lo dimostrano i posizionamenti di testate con una lunga tradizione come Le Monde in Francia (ritenuto credibile dal 73% degli under 30), il Corriere della Sera (anche in questo caso il 73% dei giovani lo ritiene attendibile) o the Guardian in Uk (61%). Paradossalmente sono gli over 50 quelli che credeno di meno ai giornali. Debole in Italia, invece, la credibilità della Rai rispetto agli altri enti pubblici europei. La credibilità del gruppo di Saxa Rubra è attorno al 64% contro picchi del 90% in Svezia e Olanda e l’86% in Germania.