In un periodo in cui l’emergenza ambientale sta bussando rumorosamente alle nostre porte, siamo tutti costretti a rivedere abitudini e quotidianità per scoprire quanto poco sostenibili siano dal punto di vista ecologico. Il modo in cui viviamo è pieno di comportamenti assodati che andrebbero rivisitati, per cominciare a prendersi cura realmente dell’ambiente. A dirla tutta, anche il modo in cui moriamo.
Nella prassi occidentale, i cimiteri sono ben poco sostenibili: terreni strappati all’ambiente e sottoposti a cementificazione, bare con rivestimenti di zinco o piombo, vernici e colle a base di sostanze chimiche e fodere di tessuto sintetico, per non dire dell’impatto atmosferico dei forni crematori, che producono emissioni di polveri, monossido di carbonio, ossidi di azoto e zolfo, composti organici volatili, composti inorganici del cloro e del fluoro, nonché mercurio, zinco e diossine.
Nel mondo sono già molto diffuse le pratiche di natural burial, con esperienze diverse che vanno dalla sepoltura nuda e cruda nel terreno, rinunciando alla lapide in favore di un sasso o di un albero, alla più sofisticata urna funebre di Eternal Reef che ricrea la barriera corallina nell’oceano. Risale al 1993 uno dei primi cimiteri ecologici occidentali, The Woodland Burial in Uk. Vero è che il tabù della morte rallenta inesorabilmente i lavori e le ricerche in questo senso, se ancora oggi si fa così fatica a parlarne e sembrano ancora pratiche un po’ folli e originali. Diventeranno forse la normalità, un giorno, e sarà grazie al lavoro di chi ci ha creduto per primo, di chi non si è lasciato intimorire da battute e risolini, di chi non ha avuto paura di affrontare una tematica allo stesso tempo così intima e universale.
Anselma Lovens e Camilla Novelli sono due paesaggiste poco più che trentenni, che nell’esplorare progetti di integrazione tra ambiente e città sono finite a interrogarsi sul modo per rendere la morte più sostenibile. Non solo. Conoscendo le difficoltà in cui versano molti dei nostri boschi nazionali, per la scarsità di fondi destinati alla manutenzione, per l’abbandono e l’incuria, hanno pensato di unire due problemi sotto il tetto di un’unica soluzione: collegare la manutenzione boschiva ad un servizio necessario, quello cemeteriale, che viene così ridisegnato secondo schemi strategici di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Spiega Anselma: “I parchi naturali sono una fragilità del nostro territorio: non sono autonomi, sono un costo molto alto per le amministrazioni e di fatto dipendono da fondi esterni. Noi abbiamo pensato a come garantire un presidio costante del territorio: in pratica gestiamo il bosco per conto delle persone che desiderano usarlo per la dispersione delle ceneri, e le quote pagate servono a mantenere il bosco stesso. Ovvio che serve tanta concretezza in un progetto del genere: non c’è ritorno immediato, ci sono tempi lunghissimi di rientro economico, costi fissi, pochi variabili. Un’economia di scala si può creare se ti occupi di tanti boschi insieme”. Per il momento Boschi Vivi ha avviato l’attività nella primavera 2018 presso il Comune di Martina-Urbe (SV), in Liguria. Per cominciare Anselma e Camilla hanno costituito una cooperativa. Collaborano con loro Giacomo, laureato in pianificazione ambientale, e Riccardo, laureato in giurisprudenza, perché la legge in materia può essere piuttosto ostica.
In un Bosco Vivo, in pratica, si può scegliere se far interrare le proprie ceneri con o senza un’urna, che eventualmente dovrà essere biodegradabile in materiali compatibili con il terreno boschivo. Si può scegliere il proprio albero, su cui verrà posta una piccola targa, minimal. La cerimonia è libera. Dopodichè, il bosco diventa un luogo aperto in cui passeggiare, dove la memoria può farsi rasserenante, e ciascuno può trovare una propria dimensione per vivere il lutto al di fuori degli schemi preimpostati.
Continua Anselma: “Di fatto noi abbiamo visto che c’era un vuoto da colmare, un bisogno non espresso. Il tabù che c’è intorno alla morte rende questo bisogno latente, e nell’affrontarlo bisogna fare uno slalom tra vari aspetti: da una parte liberare il corpo dalla memoria, dall’altra rinunciare a un insieme di pratiche culturali legate alla sepoltura. Oggi che il primo bosco commemorativo d’Italia è avviato, il bosco non è più solo della cooperativa, ma appartiene ad una comunità sempre più ampia di famiglie che hanno scelto di custodirvi le ceneri”.
Al momento Boschi Vivi sta ponendo le basi per replicare il progetto in altre regioni d’Italia. L’idea è di creare una direzione centrale, delle linee guida che mettano insieme diverse competenze: forestali, funebri, commerciali, di comunicazione. Se il progetto è in fase di startup, Anselma e Camilla hanno piuttosto chiara la direzione che vogliono perseguire. Questo hanno scritto ad Alley Oop, candidandosi per il progetto #Unimpresadadonne: “Durante le prime cerimonie abbiamo capito che la strada intrapresa è quella giusta: molte famiglie ci ringraziano, commosse di aver trovato una soluzione che in fondo già desideravano, ma che prima non credevano possibile. La rivoluzione è solo all’inizio”.
#Unimpresadadonne è il progetto che vede insieme AlleyOop – L’altra metà del Sole e la ong Istituto Oikos per raccontare l’imprenditoria femminile sostenibile. L’iniziativa è resa possibile grazie al sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
Segnalateci le storie di imprenditrici che coniugano business, sostenibilità ambientale e inclusione sociale. Le candidature vanno inviate all’indirizzo email alleyoop@ilsole24ore.comcon le seguenti informazioni (*obbligatorio)
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