Il rischio maggiore? Quello di non guardare le famiglie per quello che sono realmente. Non un’entità astratta, non realtà tutte uguali con le stesse caratteristiche e condizioni. Ma realtà uniche, ognuna definita dalla sua storia e dalla storia e dalla personalità dei suoi componenti. A volte realtà problematiche e difficili. Guardare alle famiglie come a un magma indistinto, come sembra fare il disegno di legge Pillon, rischia di creare situazioni di seria difficoltà e di pericolo. Come nel caso delle famiglie in cui si sono verificati atti di violenza.
“Uno dei problemi maggiori su cui spero si riesca a intervenire è che questo disegno prevede una serie di automatismi e di cose che devono succedere, senza dare il giusto spazio alla valutazione caso per caso, bambino per bambino, famiglia per famiglia”, mette in evidenza l’avvocata Francesca King, esperta di diritto di famiglia e diritto minorile. Si disegna una realtà in cui “tutto è diviso a metà, nessuno paga più l’assegno di mantenimento. Ci sono casi in cui questo può avere un senso, è ovvio che una realtà in cui papà e mamma sono egualmente coinvolti nella cura, nella crescita e nell’educazione dei figli sia quella migliore. Ma non è la realtà che vediamo ogni giorno”.
La riforma dell’affido condiviso presentata al Senato dal senatore leghista Simone Pillon, prevede appunto la cancellazione dell’assegno di mantenimento per com’è ora, un affido paritario tra mamma e papà secondo il criterio di bigenitorialità perfetta, la lotta all’alienazione genitoriale ovvero al rifiuto da parte del figlio di uno dei genitori. Il problema centrale, sottolinea l’avvocata, “sono quei casi in cui i genitori si fanno la guerra, spesso usando i figli. Casi in cui la violenza è in casa. Casi in cui un genitore, pur di non versare l’assegno, è pronto a dichiarare di volersi occupare del figlio senza la reale volontà di farlo e così via”. Non tutte le famiglie sono uguali, quindi, e non tutte sono quella famiglia che il disegno di legge delinea con contorni così netti.
Non solo. “E’ chiaro – prosegue l’avvocata Francesca King – che siamo socialmente in una situazione in Italia in cui le donne sono quelle che guadagnano di meno e si occupano dell’accudimento dei figli, che magari rinunciano al lavoro, agli investimenti in carriera, lavorano part time per conciliare tutto: non considerare questo è lesivo di queste scelte, creando una disparità al contrario. E’ vero che, in certi casi, i padri sono stati bistrattati, ma cerchiamo ora di non fare l’errore al contrario e creare una disparità per le mamme”.
La questione è ancora più pesante nei casi di violenza domestica, che in Italia rappresenta un problema molto grave (basta pensare che circa la metà delle donne vittime di omicidi volontari vengono uccise dal partner o dall’ex). Una delle difficoltà maggiori delle donne vittime di violenza è proprio quella di uscire dalla famiglia in cui c’è un partner abusante perché la violenza è nella maggior parte dei casi anche violenza economica oltre che fisica e psicologica. Tanto che la Di.Re Donne in rete contro la violenza, l’associazione che raccoglie i Centri antiviolenza, ha lanciato una petizione online che in pochissimi giorni ha raggiunto le 15mila adesioni per chiedere il ritiro del disegno di legge e, insieme ad altre associazioni tra cui Fondazione Pangea, Centro di ascolto uomini maltrattanti, Maschile Plurale, Telefono Rosa e Unione Donne in Italia ha presentato richiesta di udizione in Senato e sta organizzando una manifestazione nazionale per il 10 novembre. “Già oggi le donne hanno enormi difficoltà nel denunciare le violenze in famiglia – spiega la presidentessa di D.i.Re, Lella Palladino – spesso si trovano a sentirsi colpevoli pur essendo le vittime, donne incapaci di ‘tenere insieme’ la famiglia. Nei casi di violenza è impraticabile l’affido congiunto, ma le ricerche ci dicono che non non è consigliabile neanche la mediazione. Bisogna tutelare le vittime, che sono anche i minori, spettatori essi stessi della violenza“. La legge, se approvata, comporterebbe quindi “l’impossibilità per le donne, in particolare per quelle con minori risorse economiche, l’impossibilità di chiedere la separazione, mettere fine a relazioni violente e tutelare i loro figli dalla violenza”, spiega Palladino.
Un altro elemento fondamentale da considerare è quello che riguarda il rifiuto da parte del figlio di uno dei genitori, la cosiddetta alienazione genitoriale. “Certo, esistono anche dei casi in cui un genitore ha manipolato il figlio contro l’altro genitore – spiega l’avvocata Francesca King – ma non possiamo non considerare tutti quei casi in cui i figli scelgono di non stare con il genitore perché è stato abusante e violento. Dobbiamo valutare caso per caso, se la relazione è recuperabile deve avere un percorso protetto per il minore”. Più che percorsi rigidi e standardizzati, quindi, “servono giudici competenti e un’avvocatura specializzata, che lavorino nell’interesse dei bambini”.
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