Il senatore leghista Simone Pillon nell’ultima diretta Facebook ha spostato in avanti le lancette: «Chi lo sa che per Pasqua non riusciamo a regalare ai bambini le vacanze con la mamma o con il papà». Niente “dono” sotto l’albero di Natale, come credeva all’inizio. L’iter del suo disegno di legge «in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità» (testo Senato S 735) non sarà infatti così veloce: le audizioni cominceranno la prossima settimana o la prima di ottobre, ma poi bisognerà aspettare. Il disegno di legge è assegnato alla commissione Giustizia del Senato in sede redigente, un ibrido tra sede referente e sede deliberante: significa che sarà la commissione a deliberare sul testo articolo per articolo, mentre l’Assemblea interverrà soltanto per votazione finale. L’Aula, in sintesi, non potrà proporre modifiche. Per ora, però, sono altre le scadenze che l’esecutivo deve affrontare. La legge di bilancio e i decreti legge che arriveranno dal Governo, innanzitutto: ben altre priorità per il Parlamento. Che consentono di guadagnare mesi preziosi, se non altro perché il partner di maggioranza, il M5S, definisca la sua posizione, per ora quantomeno contraddittoria.
Per capire quali potrebbero essere le sorti del provvedimento nei prossimi mesi, bisogna guardare ai numeri in Parlamento. La Lega fa quadrato intorno a Pillon. Lo stesso Matteo Salvini, che è un padre separato, vuole fortemente la riforma dell’affido condiviso. Chi non mostra la stessa compattezza è il Movimento 5 Stelle. È vero che il Ddl è cofirmato da quattro senatrici e da un senatore M5S, ma il capogruppo a Palazzo Madama, Stefano Patuanelli, ha preso tempo: «Arriveremo in breve tempo a un pieno accordo sul testo e andremo avanti con determinazione». Come al solito, nel Movimento convivono anime molto diverse. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede tace. Il vicepremier Luigi Di Maio ha ben altri fronti con la Lega, a cantieri della manovra aperti. Ma c’è chi, a taccuini chiusi, non esita a definire il Ddl «una follia», chi commenta che così «si buttano decenni di diritto di famiglia». La soluzione più realista è quella che trapela dall’entourage del sottosegretario alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora: si sta lavorando senza sosta, in collaborazione con il ministero della Famiglia che ha la delega a infanzia e adolescenza, per migliorare il testo. «Non vogliamo distogliere l’attenzione dal dramma che vivono molti padri separati – è il ragionamento -, nell’ottica di combattere le nuove povertà che ha sempre contraddistinto il Movimento. Ma proprio per questo, e perché sappiamo che molte madri sono già a rischio povertà, ci adoperiamo perché la legge sia la più equilibrata possibile». Si ipotizza dunque un compromesso per giungere a modifiche consistenti. Una su tutte: ammorbidire la rigidità delle indicazioni per la frequentazione tra genitori e figli. Ma anche evitare ogni ambiguità nei casi di violenza.
La domanda che si pongono i critici, a maggior ragione conoscendo le posizioni del ministro leghista alla Famiglia, Lorenzo Fontana (già noto alle cronache per l’attacco al riconoscimento dei figli delle coppie gay, bloccato proprio da Spadafora come «propaganda»), è però una: l’articolato può essere migliorato in Parlamento oppure è lo stesso contratto di governo a profilare un sistema punitivo nei confronti delle donne e sbilanciato sulla valutazione degli interessi dei genitori anziché sui bisogni dei figli? Come avevamo prontamente denunciato su AlleyOop all’indomani della firma, è lo stesso contratto di governo a vincolare gli alleati a una riforma del diritto di famiglia che preveda «una rivisitazione dell’istituto dell’affidamento condiviso dei figli». «L’interesse materiale e morale del figlio minorenne – si legge – non può essere perseguito se non si realizza un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali, nel rapporto con la prole. Pertanto sarà necessario assicurare la permanenza del figlio con tempi paritari tra i genitori, rivalutando anche il mantenimento in forma diretta senza alcun automatismo circa la corresponsione di un assegno di sostentamento e valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale».
Avevamo commentato lo scorso maggio: «Parole che suonano come il preludio a un altro attacco alle donne». Non sapevamo che uno stuolo di avvocati e politici stesse già lavorando al testo depositato a Palazzo Madama. Nel Ddl Pillon le “valutazioni” auspicate dal contratto di governo si sono trasformate in norme. Ventiquattro articoli che puntano a una progressiva degiurisdizionalizzazione «così da rimettere al centro la famiglia e i genitori», ha spiegato lo stesso senatore durante l’illustrazione del Ddl in commissione Giustizia. I pilastri sono stati sviscerati nelle ultime settimane: l’introduzione della mediazione familiare obbligatoria di sei mesi al massimo in caso di separazioni di coppie con figli minorenni, con l’istituzione dell’albo dei mediatori e la nascita della figura del “coordinatore genitoriale” come esperto qualificato; l’obbligo di un “piano genitoriale concordato” nel caso di separazioni consensuali; la garanzia del diritto del minore alla bigenitorialità, con tempi paritetici ed eliminazione dell’assegno di mantenimento; contrasto al fenomeno (assai controverso, in verità, e spesso usato nei tribunali contro le donne da padri accusati di violenze) dell’«alienazione genitoriale».
Poiché ha la copertura del contratto di governo, è quasi impossibile che la maggioranza ceda alla richiesta di ritiro del Ddl arrivata dalle associazioni delle donne e dai centri antiviolenza, che scenderanno in piazza il 10 novembre. Ma il destino del provvedimento, oltre che dalla reazione della società civile, dipenderà anche dal confronto tra i due partner di governo.