La paternità non è dei padri, è di tutti

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Lo scorso 19 marzo, festa del papà, e nei giorni immediatamente prima e dopo, c’è stata un’ampia fioritura di testimonianze e iniziative a sostegno del “dramma” dei padri separati.  Inutile riportare qui i link alle fonti esterne, basta fare una ricerca con Google. Fra le molte cose che troverà chi avrà voglia di cercare si noterà l’apertura di co-housing a Parma e Ascoli Piceno per padri separati e impoveriti, la nascita di un’associazione a tutela dei loro diritti in Sicilia, un corteo a Genova. Al centro sempre la questione economica, come specifica anche Giorgia Meloni nella sua pagina Facebook.

Il tema è serio e per questo deve essere affrontato con cautela. La separazione che impoverisce i padri, probabilmente è la stessa che impoverisce l’intero nucleo familiare. Difficile immaginare il benessere dell’ex moglie e dei figli, se il padre è ridotto in stato di indigenza. Questo è un tema politico e non meramente legislativo e riguarda la redistribuzione della ricchezza, la disoccupazione, il precariato, i salari, il welfare, la casa. Non i padri separati

Non cambiamo focale, però, e continuiamo a parlare di paternità che è la questione principale se si vuole affrontare il tema della separazione. Lo sviluppo di una paternità consapevole e presente, di cura e accudimento, è un’occasione epocale per progettare la società dei prossimi decenni, gli uomini e le donne che l’abiteranno. Equiparare le figure, rompere il giogo dei ruoli permetterà di togliere sostanza a molto di quello che affligge l’emancipazione femminile: divario salariale e rappresentanza pubblica in primis. Potrebbe essere una cessione reciproca di diritti e doveri, nell’ambito del pubblico e del privato.

Anche questo sarebbe un tema politico, sarebbe pensare al progresso, ma non ce lo aspettiamo più, forse ce lo siamo dimenticati, concentrati come siamo a lottare per vincere contro qualcuno.