Avete scritto e commentato in tanti: indignati, arrabbiati, propositivi, demoralizzati, pieni di idee e richieste. Siete il popolo dei trenta-quarantenni, la generazione che lo studioso Mario Morcellini, già prorettore all’università Sapienza e oggi anche commissario Agcom, ha definito in un’intervista a Alley Oop – Il Sole 24 Ore “sotto scacco”. Un articolo che ha suscitato tante reazioni ed emozioni. E in tanti, infatti, avete scritto per far sentire la vostra voce, la vostra storia. La generazione 30-40 è stata la più penalizzata dalla flessibilità del lavoro e dalla crisi economica che ha investito il nostro Paese negli ultimi anni. E’ la generazione che sta pagando il prezzo più alto in termini psicologici ed economici. E’ la generazione che oggi, alla vigilia delle elezioni, chiede una risposta alla politica, a quanti hanno o avranno potere decisorio, richiamando attenzione sul caso. Pretendendo di non essere ignorati dal dibattito. Ma ora lasciamo a voi la parola, scusandoci, per dovere di sintesi, di poter riportare solo una piccola parte dei vostri numerosi commenti.
“Ci siamo laureati, specializzati, abilitati, salvo poi entrare in un mondo professionale che, di fatto, ci ha chiuso le porte in faccia, pretendendo il pagamento di elevati contributi previdenziali pur in assenza di un effettivo guadagno”. A parlare è Nina86, esponente della “lost generation” che però non si arrende: “mentre i nostri coetanei negli altri Paesi europei mettevano su figli e famiglia, abbiamo continuato a studiare ogni sacrosanto giorno“.
Da Chiara, psicologa a psicoterapeuta quarantenne, arriva l’appello ai politici perché “sono loro che hanno il potere di cambiare le cose”: Nel leggere questo articolo – afferma – mi sento compresa e fa tanto bene, finalmente qualcuno che con competenza di parola ha scritto un articolo che è allo stesso tempo denuncia e forte sprone a chi si occupa di politiche del lavoro …si riaccende la speranza ma allo stesso tempo, nel leggere, ho sentito paura …tanta paura di essere ancora una volta tagliata fuori! Eh sì perché avevo 30 anni quando quelli ad essere agevolati nell’ingresso nel mondo del lavoro erano quelli che avevano meno di 28, poi ne avevo 32 quando il limite era quello dei 30, poi ne avevo 35 quando le agevolazioni erano per gli under 32. Adesso di anni ne ho 41 e fra otto giorni ne compio 42. La mia vita sta passando nella precarietà lavorativa più assoluta. Nel frattempo ho studiato e studiato e studiato ancora”. E conclude: “Si sveglino dunque i politici e coloro che al governo del nostro Paese hanno il potere di cambiare le cose!”
C’è poi chi il lavoro ce l’ha, ma è stato colto impreparato dalla differenza riscontrata tra le difficoltà dell’ oggi e il modus vivendi delle generazioni precedenti: “Il lavoro – racconta un ingegnere 39enne – me lo sono creato, nessuno me l’ha dato. La cosa che mi lascia l’amaro in bocca è che per avere un tenore di vita paragonabile a quello che avevano i miei genitori, due persone serie con un lavoro comune, oggi sia necessario un impegno decisamente molto superiore. Questo nessuno me l’aveva detto, a questo non ero assolutamente preparato”.
Salvatore, papà di un ragazzo di 33 anni precario, avanza una proposta, quella di stilare un ‘Manifesto-appello’ che raccolga le richieste della generazione “sotto scacco” e delle loro famiglie: “Siamo i genitori di giovani tra 30 e 40 anni nella totale disperazione perché assistiamo ad un suicidio di massa di giovani altamente preparati, laureati, studiosi, master ed altro, abilitati, avvocati etc. Nessuno se ne occupa anche a livello di media. Tutti i posti di lavoro disponibili teoricamente sono occupati da persone anziane e inadeguate soprattutto per la lingua e informatica. Studiano sempre di più ma invano. A 33 anni, come mio figlio, non hanno ancora una possibilità lavorativa se non in nero e al massimo a 400 euro mensili”. Occorrerebbe, secondo papà Salvatore, un manifesto-appello da parte dei giovani interessati e dei loro genitori rivolto non solo alla politica ma anche ai manager e agli opinionisti dei media.
Elena accende invece un faro sul caso dei precari negli Irccs (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) per cercare di fermare la fuga di cervelli: “Grazie – scrive – finalmente ci voleva un articolo su quest’argomento! Potete fare un approfondimento anche sui quarantenni precari da oltre quindici anni negli Irccs e che, grazie alla legge di bilancio, nonostante abbiano una specialità (quindi i requisiti per accedere al livello dirigenziale) rimarranno precari per altri 10 anni nel comparto (quindi pagati meno) prima di avere la possibilità di fare un concorso (e di conseguenza non avranno mai la possibilità di fare carriera)? Questi ricercatori della Sanità pubblica dopo la legge di bilancio stanno infatti cercando di migrare all’estero o di cambiare lavoro: una vera e propria diaspora dei ricercatori che porterà alla lenta morte della Ricerca pubblica indipendente”.