Un miglioramento di 4,2 punti in dieci anni. Un nulla, quindi. E’ il risultato che emerge dall’analisi del Gender Equality Index 2017 di Eige (European Institute for Gender Equality). L’indice a livello europeo è salito, infatti, a 66,2 punti su 100 nel 2015 contro i 62 punti del 2005, con un’accelerata nell’ultimo triennio. Certo un panorama non particolarmente roseo.
Il rapporto, presentato oggi a Bruxelles, conferma i Paesi del Nord Europa alle prime posizioni, con Svezia e Danimarca che svettano. L’Italia, passata dal 26esimo al 14esimo posto in classifica, è stata, però, menzionata come Paese in cui il miglioramento delle condizioni delle donne è stato più evidente, anche se restiamo comunque sotto la media europea.
Il nostro Paese ha fatto registrare i “più significativi miglioramenti nella direzione dell’uguaglianza di genere, con un incremento dell’indice di 13 punti (da 49,2 a 62,2) nel
decennio”. Hanno contribuito al risultato italiano la “sensibile diminuzione delle differenze di genere in quattro domini di studio: lavoro, ricchezza, conoscenza e potere”. In particolare, sono “l’istruzione delle donne italiane e la loro capacità decisionale ad aumentare negli ultimi dieci anni in modo tale da rendere massima a livello europeo la diminuzione delle differenze rispetto alla situazione degli uomini in questi settori”, si legge nel rapporto.
Una spinta non irrilevante è venuta dal 2012 ad oggi alla Legge Golfo Mosca, che prevede che un terzo dei posti dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società quotate e partecipate pubbliche sia riservato al genere meno rappresentato. Questo ha permesso all’Italia di posizionarsi fra le best practise europee: dal 5,9% del 2008, infatti, si è superato il 30% di presenze femminili nei board delle società quotate. Sul fronte dell’istruzione, poi, aumenta, anno dopo anno, anche il livello di educazione delle ragazze, che, si sa, si laureano prima e con voti più alti rispetto ai compagni di corso. Le differenze vere, però, poi si riscontrano nel mondo del lavoro: occupazione, differenza salariale di genere, mortalità professionale dopo la maternità, poche donne ai vertici manageriali delle aziende, poche anche ai livelli più alti nelle università e così via.
Certo a ben guardare i numeri presentati a Bruxelles c’è da sottolineare che almeno in Italia la situazione è migliorata. Ci sono, infatti, 12 Paesi europei in cui le differenze di genere sono andate aumentando invece che diminuire nell’ultimo decennio. Una fra tutte la Germania, che comunque resta due passi davanti a noi. Oppure la Finlandia, che resta in ogni caso terza in classifica. Tutt’altro che una consolazione, quindi.