Tra poche ore, per milioni di studenti italiani, suonerà la campanella più sognata, più desiderata. Quella dell’ultimo giorno di scuola. Il suono della libertà, che profuma di vacanze, di estate, di giochi e relax. Per molti, il suono di un nuovo inizio, di un nuovo percorso, come accadrà ai miei alunni, pronti a cominciare la scuola primaria, a tutti i ragazzi che approdano al grado di scuola successivo e a quelli che, invece, si affacceranno alla vita, dopo aver affrontato l’esame di maturità.
Sarà l’ultima campanella anche per me, che guardo il mondo dall’altro lato della cattedra. Con il registro sotto un braccio e una guida didattica sotto l’altro, mi guarderò intorno, come ogni anno, nella classe vuota, troppo silenziosa. Osserverò quei banchi, fino a poco tempo prima, occupati da bambini curiosi, vivaci, attenti e penserò ad ognuno di loro, chiedendomi se avrò fatto davvero le scelte migliori. Si, perché la fine della scuola, per una maestra, significa porsi decine di domande, a cui, probabilmente, nessuno risponderà.
I traguardi prefissati sono stati raggiunti da tutti? La mia valutazione sarà stata giusta? Ho dato il meglio di me? Ho fatto il possibile per consentire a ciascuno di esprimersi? Sono stata capace di valorizzare i talenti? Le potenzialità dei miei alunni?
Essere un bravo educatore è difficile, è uno di quei lavori che non hanno mai fine, perché l’educazione è un processo infinito, che ha inizio e non ha fine e i cui frutti possono essere raccolti nel lungo termine. Non è come, ad esempio, scrivere un libro, o dipingere un quadro. Il prodotto finito infonde soddisfazione in chi lo compie e spinge a continuare, migliorandosi, se possibile.
Una maestra o un maestro semina, consapevole che il raccolto lo vedrà in piccola parte. I bambini sono in continua evoluzione e ciò che imparano oggi, servirà a costruire la loro personalità futura. L’ educazione, credo, abbia a che fare con la capacità di lungimiranza e con il sentimento della speranza. Si agisce, sperando che questi piccoli semi, questi piccoli bambini, possano sbocciare come fiori rigogliosi. Non so cosa diventeranno i miei alunni, che uomini e donne saranno, quali scelte avranno il coraggio di fare o di non fare. Molti di loro non li rivedrò più e quello che auguro a tutti loro, così come ad ogni bambino o ragazzo, è di trovare insegnanti che credano in loro, di impegnarsi e di studiare, perché l’istruzione rende liberi; è un’arma potentissima senza la quale non sarebbero in grado di crescere, di diventare adulti in grado di compiere le scelte più giuste, per se stessi e per la collettività.
Alla fine, quando suonerà la campanella dell’ultimo giorno di scuola, come sempre, non troverò risposte alle mie domande. Eppure guarderò Matteo, che era timido e riservato, che adesso sorride e chiacchiera con i suoi amici; penserò a Maria, che soffriva il momento del distacco dalla sua mamma, che ora gioca e non vorrebbe mai andar via; penserò a Luca, che ha imparato a chiedere scusa, a Lorenzo, che ha imparato che aiutare un amico infonde gioia; penserò a Marta, che ha superato un periodo triste e mi abbraccia ogni mattina, da tre anni ad oggi.
No, non avrò risposte certe. Una maestra deve accontentarsi di farsi tante domande e di intuire, di osservare, di carpire, se i suoi alunni sono, prima di tutto, bambini sereni; se è riuscita a trasmettere le competenze, insieme all’empatia; se è stata capace di essere una tutor efficace, e allo stesso tempo, amorevole.
Quando la campanella suonerà, penserò a tutto questo, già pronta ad affrontare un nuovo anno scolastico, accogliere alunni nuovi, nuove personalità, nuove sfide, nuove storie da raccontare. Perché, come ha detto la pedagogista Maria Montessori: ”Questo è il nostro obbligo nei confronti del bambino: dargli un raggio di luce, e seguire il nostro cammino.”