Climate change: un ottobre tra ultimatum e premi Nobel ottimisti

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Acqua alta a Venezia, in questi giorni di maltempo, e fin qui nessuna novità. Ha colpito però l’immaginario collettivo una fotografia scattata a due giovani turiste orientali, con le gambe immerse nell’acqua e shopping bag di Luis Vuitton. L’immagine potrebbe essere tra il divertente e il patetico, se non fosse che richiama alla mente quelle ben più amare di uno street artist spagnolo, Isaac Cordal: i suoi uomini in miniatura, dallo sguardo vitreo, immersi nell’acqua senza fare nulla per venirne fuori, sono uno spiazzante monito sui cambiamenti climatici in atto. La serie più famosa è intitolata Follow the leaders, e nella scultura situata a Berlino (foto in alto) mostra appunto i leaders del pianeta intenti a discutere dei cambiamenti climatici mentre l’acqua li sommerge lentamente e inesorabilmente.

veneziaA ottobre, durante uno degli autunni più miti e temperati degli ultimi anni, abbiamo saputo dal gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico voluto dall’Onu (Ipcc), che è ufficialmente partito il countdown per la fine del mondo. Perlomeno del mondo così come lo conosciamo. Secondo questo panel di scienziati provenienti da 40 Paesi, infatti, con l’era industriale abbiamo avviato un trend che porterà la temperatura del pianeta a innalzarsi di 1,5° entro il 2050, per poi salire ulteriormente se il trend non dovesse cambiare. In pratica in un tempo che per le ere geologiche non sarebbe altro che un battito di ciglia, l’uomo è riuscito a porre un marchio definitivo del proprio passaggio sul pianeta. La notizia che a ottobre ha fatto il giro del mondo è che abbiamo solo 12 anni per invertire la tendenza, in qualche modo, non si sa bene come. Ma i cambiamenti sono già in atto: un articolo della Yale School of Forestry & Environmental Studies ridisegna la geografia di alcune aree terrestri mostrandoci come stiano cambiando a causa dell’innalzamento della temperatura. Per esempio, i confini dei Tropici, dal 1970 ad oggi, si sarebbero allargati di circa 0,2-0,3° di latitudine per decennio. Il deserto del Sahara si sarebbe ampliato del 10% dal 1920 ad oggi. E per quanto riguarda i ghiacci permanenti delle regioni nordiche, spauracchio ecologista fin dalle prime definizioni di “effetto serra”, non ci sono dati certi ma uno studio canadese mostra che negli ultimi 50 anni il permafrost si sarebbe ritirato per circa 80 miglia.

Non siamo in un film catastrofico americano, la fine del mondo non sarà portata da un meteorite comparso dal nulla, nessun Bruce Willis verrà a salvarci e forse il Big One non faremo nemmeno in tempo a vederlo. La verità è che il mondo cambia ogni giorno sotto al naso, sotto ai piedi, tra le mura di casa, ed è la nostra quotidianità a cambiarlo, i nostri gesti, le abitudini, i presunti bisogni e le irrinunciabili inutilità. La buona notizia è che come la negatività si è infilata subdolamente nelle nostre vite nascondendosi in simpatici packaging di plastica, così le azioni positive sono un’inversione di tendenza già cominciata da tempo, a cui bisogna dare una benedizione istituzionale per spingersi verso l’obiettivo delineato dall’Ipcc: ridurre del 45% le emissioni globali di carbonio entro il 2030.

Non dovrebbe essere difficile a questo punto prendere posizioni nette a riguardo, anche da parte di chi per natura non penserebbe mai all’associazione delle parole green ed economy. Il rapporto GreenItaly 2018 parla chiaro: le aziende che investono in prodotti o tecnologie green aumentano il fatturato (parliamo del 32% contro il 24% di quelle che non lo fanno), creano occupazione, innovazione e registrano un aumento dell’export. Nel rapporto leggiamo che l’Italia non se la cava poi così male: le imprese che hanno investito nel 2014-2018 in green sono una su quattro nel settore extra agricolo, una su tre nel manifatturiero. Una tendenza che può e deve crescere, non solo per salvare l’ambiente, ma anche in una visione più vasta di sviluppo e benessere economico: non è affatto un caso che il premio Nobel per l’economia, negli stessi giorni del rapporto Ipcc, sia stato assegnato a due ricercatori che si occupano di crescita a lungo termine e della relazione tra cambiamenti climatici ed economia, William Nordhaus e Paul Romer. Bisogna cominciare ad associare alla locuzione “cambiamenti climatici” dei messaggi di azione concreta positiva, come spiega lo stesso Romer:

“Dovremmo smettere di dire che la fine è vicina. Dovremmo invece dire: ok, abbiamo fatto degli errori. Possiamo iniziare a risolverli puntando i nostri sforzi innovativi in una direzione leggermente diversa. Se lo facciamo, possiamo fare cose che sono ancora più sorprendenti delle cose veramente straordinarie che abbiamo già realizzato. Sarà così facile che guardare indietro sembrerà indolore. Diamoci da fare”.


A proposito di sostenibilità: è ancora aperta la call per il progetto #Unimpresadadonna di AlleyOop in partnership con la ong Istituto Oikos. Vogliamo raccontare storie di imprenditorialità femminile attorno a questo importante tema. Informazioni e criteri a questo link.